Dopo il diluvio
La biblica epopea dell'arca di Noè è nota a tutti, credenti o meno: un giorno Dio, esasperato dall'incessante decadimento dei costumi dei mortali e deciso a dare un definitivo colpo di spugna all'egemonia di violenza e iniquità su cui la loro società era fondata, scatenò una pioggia torrenziale sul creato dal cui passaggio nessuno potesse uscire indenne. Da questa riduzione ai minimi termini della vita solo in pochi si salvarono: il giusto Noè con la sua famiglia, premiato per la sua devozione ai principi di generosità e tolleranza così pertinacemente evasi dal resto dell'umano genere, insieme ad una coppia di ogni specie animale. La storia dal punto di vista di Noè ci è stata ormai raccontata in tutte le salse, compresa recentemente anche quella parodistica, in cui il moderno Steve Carell è chiamato a far fronte ad una nuova imponente minaccia acquea; meno indagata è la vicenda dal punto di vista degli animali, sebbene anche all'interno della loro società l'evento deve aver avuto dei risvolti più che significativi.
Ci ha pensato Juan Pablo Buscarini, autore argentino pluripremiato in patria e non come regista e produttore, a dare voce a queste problematiche solitamente inascoltate con il suo lungometraggio animato L'arca di Noè. Da un lato abbiamo infatti il buon Noè che, tra una moglie più accondiscendente che solidale e tre nuore che, oltre a considerarlo completamente rimbambito, altro non fanno che litigare tra loro, si accinge alla titanica impresa di costruire la salvifica imbarcazione con le sole proprie forze (i figli sono infatti impegnati a decidere la meta di quella che considerano una crociera di piacere), ma dall'altro abbiamo il regno animale che, messo in allarme da una colomba non particolarmente abile nel volo, deve decidere se fidarsi dell'avvertimento umano, e quindi rispondere all'adunata, ma soprattutto deve designare un leader a cui fare riferimento. Il problema è che l'erede al trono, un immancabile leone, non rappresenta certo un fulgido esempio di regalità, dedito com'è alla messa in piega della sua criniera e a subire rinvigorenti massaggi da parte della scimmia Divina (nonostante il nome ingannevole, di sesso maschile). Non sono quindi troppo da biasimare l'unicorno ed altri animali fantastici che, convinti che il rimedio sarebbe stato peggiore del male, hanno però condannato se stessi all'estinzione rinunciando a seguire il poco promettente rampollo; eppure, sebbene reticente, il giovane Katanga dovrà alla fine guidare il resto del suo popolo verso la salvezza. Una salvezza che però è ben lontana dall'essere raggiunta tramite il semplice gesto di salire a bordo dell'arca: una volta alla deriva in mezzo ai flutti, il retaggio dell'evoluzione si farà sentire, lasciando gli inermi erbivori alla mercè delle esigenze del gradino superiore della catena alimentare. Si preannunciano tempi duri per l'impreparato Katanga, per sua fortuna (anche se in un primo momento egli stesso stenterà a riconoscerla tale) coadiuvato dall'efficiente e un po' maestrina Karaley, da sempre innamorata del principe ma altrettanto da sempre ignorata per via delle sue forme un po' troppo generose. Una storia di convivenza dunque, dove la difficoltà di accettare se stessi quanto gli altri si intreccia con la necessità, anzi l'imperativo, di collaborare, pena una fine tristemente ingloriosa.
Una storia in cui ognuno dei protagonisti deve per forza di cose crescere, abbandonare il proprio
piccolo mondo, incentrato su sterili bisogni primari, e imparare ad assumersi le responsabilità che comporta l'essere membro di una società civile. E se sull'arca possono vivere in pace due scimmie dichiaratamente omosessuali, non si capisce perché non potrebbe succedere qualcosa di simile anche nel mondo contemporaneo di cui la gigantesca imbarcazione è metafora. Se i carnivori possono decidere di modificare, almeno momentaneamente, la propria dieta, allora forse anche noi possiamo rinunciare ad un benessere immediato per inseguire il sogno di un futuro migliore. Che i buoni sentimenti facessero da padroni in questa pellicola era prevedibile e probabilmente anche giusto, essendo essa indirizzata ad un pubblico infantile (che però difficilmente apprezzerà la rivisitazione di I Will Survive o colto la citazione alla danza maori assurta agli onori della cronaca grazie agli All Blacks), ciononostante la prevedibilità con cui il messaggio viene pedissequamente snocciolato allo spettatore non fa onore all'intento positivo che certamente animava regista e sceneggiatori.La caratterizzazione assolutamente piatta dei personaggi, che ancora una volta, seguendo una delle peggiori, e più difficilmente spiegabili, mode del momento, sono provvisti ognuno di un diverso dialetto italiano, non dà adito ad aspettarsi alcun colpo di scena che, difatti, non avviene: i buoni rimangono buoni, i cattivi rimangono cattivi, quelli così così non sono altro che buoni in potenza che poi puntualmente diventano tali, e tutti vissero felici e contenti. E se i siparietti tra Dio (un corpulento omaccione di colore dal biondo pizzetto) e Bibbio, l'angelo deputato alla stesura del suo futuro best-seller, possono strappare in qualche caso un sorriso, lo stesso non riescono a fare le gag disseminate lungo tutto L'arca di Noè, fondate su una comicità prettamente fisica e per di più già ampiamente collaudata. Se a tutto ciò si aggiunge un'animazione non soltanto ben lontana dai fasti di Dreamworks e Pixar, ma la cui qualità altalenante non appare nemmeno frutto di una precisa scelta stilistica, non si può che concludere che, sia sul piano puramente visivo che su quello dei contenuti, attualmente il cinema animato è in grado di offrire ben di meglio.
Movieplayer.it
2.0/5