"Ci sono attori il cui talento è talvolta dato per scontato. Donald è uno di loro. Lui piace perché ogni volta diventa il personaggio, senza strafare, e il pubblico si riconosce sempre nella sua performance". Così ha aperto le danze Michael Barker, co-fondatore di Sony Pictures Classics e moderatore della masterclass di Donald Sutherland al Festival di Zurigo, dove l'attore canadese ha ricevuto il Lifetime Achievement Award. Un riconoscimento che ha sostenitori del calibro di Pedro Almodóvar, come ha svelato Barker: "Pedro mi ha telefonato l'altro giorno, e quando gli ho detto che avrei moderato questa masterclass mi ha detto che dovevo farlo bene, perché Donald merita tutti i premi possibili immaginabili." Sutherland, dal canto suo, si è subito dato all'ironia: "Niente di quello che ha detto è vero".
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Quella sporca dozzina... e una star con le orecchie grandi
La conversazione inizia evocando il film che ha lanciato la carriera americana di Sutherland: "Per Quella sporca dozzina, per gli ultimi sei della dozzina, presero attori che vivevano a Londra, avevo studiato recitazione lì. Ottenemmo le nostre parti perché avevamo degli accenti almeno parzialmente americani. Dopo due settimane di riprese, durante una pausa, Clint Walker disse a Robert Aldrich che rifiutava di girare una scena dove il suo personaggio deve far finta di essere un generale. Aldrich, senza pensarci due volte, mi disse 'Tu, con le orecchie grandi, sostituiscilo!'. Non sapeva neanche il mio nome". Quanto all'arrivo a Hollywood, non si tratta di un episodio particolarmente intriso di glamour: "Poco prima dell'uscita del film mi telefonò l'agente di Aldrich, e mi consigliò di trasferirmi in California per motivi professionali. Non avevo soldi, e me li feci prestare da Christopher Plummer. Durante il volo da Londra, mio figlio Kiefer mi vomitò addosso. Alla dogana, dopo aver visto la mia giacca ricoperta di vomito, mi chiesero quanto tempo avrei passato a Los Angeles. Io dissi 'Qualche mese', e il mio figliastro urlò 'Avevi detto tutta la vita!'. Mi fecero passare".
Collaborazioni eccelse, da Fellini a Bertolucci
Si passa quindi ai cineasti con cui Sutherland ha lavorato, in alcuni casi preservando l'esperienza in modo molto personale: "I miei figli hanno tutti nomi legati ai registi con cui ho lavorato: Nicolas Roeg, Robert Redford, Warren Kiefer [pseudonimo di Lorenzo Sabatini, n.d.r.]". Non fu sempre tutto rose e fiori: "Robert Altman non mi voleva per MASH. Il produttore, Ingo Preminger, si oppose. Poi Bob disse che non dovevo essere il primo nome nei credits, e Ingo si oppose di nuovo. Iniziò così. Bob disse che alcune parole del copione sarebbero apparse sullo schermo, tipo "il" o "la", ma è praticamente tutto improvvisato. Il montatore del suono vinse un Oscar per quel film, ma secondo me meritava il Nobel". La carica politica del film rimane molto attuale, e l'attore non esita a infilare negli aneddoti delle parentesi legate all'attualità: "La prima proiezione a New York fu un successo fenomenale, e il marketing non era stato un granché. Non esisteva internet all'epoca, non esisteva quella cosa che usa il presidente, come si chiama? Ah sì, la menzogna".
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Com'è stato lavorare con Fellini e Bertolucci? "Bello. Avete tre settimane per ascoltarmi? Fellini disse che mi scelse perché secondo lui avevo gli occhi da onanista. È stato un rapporto bellissimo: prime settimane imbarazzanti, poi undici mesi di idillio. Mi dava le pagine da memorizzare subito prima di girare le scene, è stato magico. Federico si sedeva i braccio a me per dirigere gli altri attori". E sebbene il ruolo di Attila in Novecento sia estremamente sgradevole, l'esperienza sul set fu l'esatto contrario: "Con Bernardo è stato eccezionale. Avevamo due idee diverse sul personaggio, per due settimane girammo due versioni di ogni scena, poi rinunciai e seguii le indicazioni di Bernardo. Per la scena dove uccido il gatto usarono un animale finto, riempito di sangue. Volevo girarla una volta sola, per non rischiare di farmi male, invece durò un giorno intero".
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Da Animal House a JFK, inquadrature oltraggiose e monologhi di spessore
La discussione della sua filmografia si fa più trasversale, andando agli inizi: "Il mio primo provino fu nel 1962, a Londra. La mattina dopo mi telefonarono il regista, il produttore e lo sceneggiatore, tutti e tre insieme. Mi dissero che non avrei avuto la parte perché loro immaginavano il personaggio come uno della porta accanto, e secondo loro era evidente che io non fossi mai stato il vicino di casa di nessuno". Da lì si salta al controverso (per lui) episodio di Animal House: "Per la scena dove si vede il mio sedere, quella doveva essere solo una gag, un ciak per far ridere la troupe. Mia moglie fece promettere a John Landis che non l'avrebbe incluso nel film, e lui lo fece comunque". Si gira quindi verso il figlio Roeg, che l'ha accompagnato: "Tua madre gli ha parlato dopo l'uscita?" La famiglia viene evocata anche quando menziona due rinunce di un certo peso: "Ho rifiutato il ruolo di Jon Voight in Un tranquillo week-end di paura e quello di Dustin Hoffman in Cane di paglia, perché all'epoca ero convinto che non ci dovesse essere violenza al cinema. Però se li avessi fatti non avrei conosciuto mia moglie Francine". Roeg lo punzecchia anche quando si parla di JFK - Un caso ancora aperto, dove Sutherland ha un memorabile monologo girato in un solo ciak, grazie a sei mesi di preparazione. Il commento ironico del figlio: "È stato bellissimo vivere con quel personaggio per sei mesi".
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Viene quindi evocato Gente comune di Redford, con un retroscena curioso per una delle sequenze più struggenti: "La scena in cui dico a Mary Tyler Moore che non sono più sicuro di amarla all'inizio non mi convinceva, perché sul set la girai piangendo. Tre mesi dopo le riprese Bob mi telefonò e disse che avevo ragione, così la rigirammo, senza lacrime, con lui fuori campo che leggeva le battute di Mary. Quello è il ciak che avete visto". A proposito di quel film, trionfatore agli Oscar nel 1981, c'è anche un dettaglio sorprendente legato alla prolificità di Sutherland: "Dopo l'uscita di Gente comune non ho ricevuto nessuna offerta per un anno intero. Quello del cinema è un business complicato".
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Impegno politico
Barker chiude la discussione a due menzionando l'importanza della politica nella vita e nella carriera di Sutherland, e questi non può fare a meno di sfogarsi, parlando della recente udienza per la nomina alla Corte Suprema americana: "Avete visto Brett Kavanaugh l'altro giorno? Un privilegiato che vuole rivendicare qualcosa che non gli spetta per diritto!". L'attualità si cela anche dietro la sua partecipazione a Hunger Games: "Il mio agente ha un assistente giovane che mi manda sceneggiature, tra cui quel film. Ho avuto torto su due aspetti: ero convinto che avrebbe spinto i giovani a votare, per il contenuto politico, e pensavo che sarebbe stato un film d'animazione". E anche in questo caso il lavoro con il regista è stato fondamentale: "Nella prima stesura del copione avevo una manciata di battute. Ne parlai con Gary Ross, e lui, per venirmi incontro, aggiunse un paio di scene che nel libro non esistono".
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Per questioni di tempo, le domande del pubblico si limitano a una sola. Uno spettatore gli chiede cosa pensa del fatto che ci siano tre generazioni di Sutherland - lui, Kiefer Sutherland e la figlia di quest'ultimo, Sarah Sutherland - attive nel cinema e nella televisione. La risposta, intrisa di ironia: "Mi fanno concorrenza". Prima di congedarsi dai numerosi fan presenti nella sala del Filmpodium, l'attore fa ancora in tempo a scherzare sulla propria longevità professionale, quando Barker sottolinea che, dal 1962 a oggi, ha recitato in quasi 200 film, con quattro progetti in uscita solo quest'anno. "Non sembra che tu voglia rallentare", dice il moderatore. Sutherland, con il tempismo perfetto che lo contraddistingue da sempre, tira fuori il bastone che gli serve per camminare e dice, col sorriso sulle labbra: "No".