È con lacrime di gioia che scriviamo la recensione di Dolor y gloria, che segna il grande ritorno al cinema di Pedro Almodóvar, film che ha la stessa potenza emotiva di una delle sue pellicole più amate, Tutto su mia madre, Oscar al miglior film straniero nel 2000. Il corpo come mezzo per conoscere il mondo, tanto più istruttivo quanto maggiore è la sua sofferenza: ogni cicatrice, ogni cedimento è una lezione preziosa per conoscere l'anatomia della vita.
La trama di Dolor y gloria, il film testamento di Pedro Almodóvar
Al centro della trama di Dolor y gloria, Salvador Mallo, regista che ha fatto del cinema tutto il suo mondo, ma che ora, arrivato a 60 anni, con sempre più malanni, sente di non poter più gestire come un tempo, finendo per soffrirne moltissimo, tanto da arrivare a mettere in discussione la propria esistenza. Il restauro di una delle sue pellicole più amate e controverse, Sabor, che, nonostante il successo, ha sempre odiato, diventa l'occasione per cercare di riconciliarsi con i propri sentimenti e le figure che hanno forgiato, nel bene e nel male, il suo lavoro e carattere.
Con Dolor Y Gloria Pedro Almodóvar realizza un film testamento, senza paura di raccontare il suo lato più privato, quello fatto di problemi fisici (dal mal di schiena alle emicranie) che lo piegano da anni, rendendogli sempre più difficile il lavoro sul set, a quelli, forse più insidiosi e dolorosi, della mente, che il protagonista chiama "mali astratti". Per fare questo viaggio nei ricordi, il regista ha scelto come alter ego l'attore feticcio di una vita, Antonio Banderas, con cui è all'ottava pellicola insieme, a cui ha affidato la responsabilità di rappresentare non solo la sua figura, ma anche tutto il lavoro fatto in 37 anni di collaborazione.
Grazie a un viaggio sinestetico nei ricordi, in cui odori, colori, sapori e suoni richiamano alla mente i momenti più significativi della vita del protagonista, Dolor y Gloria tratteggia con pennellate dense la sinfonia della vita di un artista che vive il cinema in modo letteralmente viscerale, affidando alla pellicola parti del proprio corpo e dell'anima, quasi come se stesse dando alla luce un figlio.
Penelope Cruz è la madre di Almodóvar, Banderas e della Spagna
Per anestetizzare il dolore, a sessant'anni Salvador cerca di attutire il senso di colpa per non essere stato il figlio che sua madre, "santa, cattolica e apostolica", come la Spagna, avrebbe voluto stordendosi con l'eroina, droga legata al suo primo grande amore, Federico, suo compagno negli anni '80, in piena movida madrileña, rivoluzione culturale che lo stesso Almodóvar ha contribuito a plasmare. La dipendenza diventa un altro modo per raccontare le ossessioni di un artista che non conosce la realtà se non attraverso la sua arte: l'amore, il legame con i genitori, tutto si mescola e si confonde in quel fumo stupefacente, che non riesce però a impedire che, ascoltando una canzone legata alla propria infanzia, i ricordi tornino immediatamente a galla con una forza maggiore di prima.
Da sempre musa e madre nei suoi film, per il ruolo di Jacinta, genitrice d'acciaio, disposta a tutto per suo figlio ma allo stesso tempo dura e intransigente con lui, Almodóvar non poteva non scegliere il premio Oscar Penelope Cruz, ormai vera e propria Marianne di Spagna. Dotata di una forza straordinaria, resiliente, premurosa ma anche aspra, Jacinta simboleggia la parte più antica del paese, un mondo in cui sembra non essere entrato il colore più vivace e tollerante che il regista ha sognato e raccontato nei suoi film. Nonostante le incomprensioni e le parole che tagliano come lame, il legame tra Salvador e Jacinta è inscindibile e totalizzante, viscerale e tumultuoso. Un rapporto che soltanto attraverso la scrittura il regista riesce a metabolizzare.
Antonio Banderas alla sua migliore interpretazione
Il brano di Mina "Come sinfonia" (Sogno, sogno/ e tu sei con me/ chiudo gli occhi/ e in cielo splende già/ una luce ... Ascolto/ e ti sento ancora più vicino/ la musica che sento/ è come sinfonia) racchiude tutta la potenza emotiva del film: la simbiosi tra Salvador è l'arte è totale, così come quella tra Almódovar e la pellicola e tra Antonio Banderas e il regista. Riuscendo a catturarne lo spirito senza imitarlo, l'attore porta sullo schermo l'essenza di Almódovar e del loro rapporto, che ha arricchito la vita e la carriera di entrambi, permettendo di plasmare l'uno il mito dell'altro.
A quasi sessant'anni, Banderas, colpito poco tempo prima di realizzare Dolor y gloria da un infarto e quindi molto vicino anche fisicamente al proprio personaggio, regala la sua interpretazione migliore: mai così umano e fragile, delicato nel tratteggiare in ogni lampo dello sguardo, in ogni piccolo gesto delle dita la complessa figura del suo mentore, l'attore diventa un simbolo, raccontando con i propri silenzi una condizione universale, quella dello smarrimento di fronte alla morte. Antonio è Pedro e Pedro è l'uomo: fatto di carne e spirito, dolori e gioie, rimpianti e bei ricordi. Un testamento commovente, che suona non come un canto funebre, ma come una melodia piena di vita, che esorta ad apprezzare la bellezza che ci circonda, nonostante sia circondata da tanta sofferenza.
Conclusioni
Come detto nella recensione di Dolor y gloria, Pedro Almodóvar scrive e filma il proprio testamento spirituale, raccontando la storia di un regista, Salvador, con cui condivide il legame indissolubile con l’arte, il dolore fisico e la capacità di metabolizzare i sentimenti grazie alla scrittura. Il regista spagnolo ha scelto come alter ego il suo attore feticcio, Antonio Banderas, mai così umano e commovente sul grande schermo, qui al ruolo della vita. Come madre di entrambi c’è invece Penelope Cruz, che interpreta Jacinta, genitrice di Salvador, ancora una volta assurta a simbolo di tutte le donne: fragile e dura allo stesso tempo, forza vitale che spinge ad abbracciare la vita nonostante tutto.
Perché ci piace
- Pedro Almodóvar torna alla grande scrittura, firmando il suo film testamento.
- Antonio Banderas, alter ego del regista, è alla sua migliore interpretazione.
- Scrittura, regia, colori, suoni si fondono alla perfezione, dando forma al racconto di una vita, che parte dal vissuto personale per diventare universale.
Cosa non va
- Il miglior film di Pedro Almodóvar da anni: non gli abbiamo trovato davvero nessun difetto.