Che bel film quello di Laetitia Dosch, al debutto. Stringato, luminoso, emotivamente rilevante, nella sua poetica stravagante di opera dramedy (decisamente più dramma che commedia), dalla vivacità coinvolgente, necessariamente vitale. Del resto, se al cinema il protagonista è un cane, si sbaglia raramente (mai lavorare con cani e bambini, sono più bravi degli attori veri e propri!). Eppure, Dog on Trial - che potremmo tradurre come Un cane sotto processo - è molto altro che una semplice commedia. La regista francese ma naturalizzata svizzera ha presentato il film a Cannes 77, confessando quanto "i cani siano straordinari" (come non essere d'accordo?). Nonostante questo, ha anche ammesso di non averne mai avuti, pur amandoli.
E nel film c'è un riflesso diretto del suo pensiero, mostrando disagio verso l'evoluzione indotta dagli uomini, che hanno plasmato i cani, incrociando e selezionando razze a seconda delle necessità (spunto di riflessione, tutt'altro che banale). Per questo, Dog on Trial, si pone come atto di difesa verso qualcuno che, agli occhi della legge, non è considerato capace di intendere e di volere. In un certo senso, Dog on Trial è una sorta di To Kill a Mockingbird (passateci il paragone), ed è cinema idealista che parte da un presupposto, portandolo avanti al meglio delle proprie possibilità. Per questo, se oggi l'Europa cinematografica sta vivendo una nuova primavera autoriale (un ricambio atteso, che si sta poco a poco compiendo), potremmo dire che il futuro della regista svizzera sembra promettere decisamente bene.
Dog on Trial, a difesa di un cane... misogino
Laetitia Dosch, che ha scritto Dog on Trial insieme a Anne-Sophie Bailly, si è ritagliata anche il ruolo della protagonista, ovvero Avril, la solita (ma narrativamente efficace) avvocatessa delle cause perse. È nota nell'ambiente per accollarsi processi senza speranza, spinta in primis da un coinvolgimento umano. In questo caso, spinta da un coinvolgimento... canino. Contattata da Dariuch Michovski (François Damiens), accetta di difendere Cosmos, il cane dell'uomo, accusato di aver morso tre donne (un cane misogino, sentiremo dire nel film, per una tesi portata avanti dalla classica avvocatessa d'accusa boriosa, arrogante e spregevole). Un'azione legale che potrebbe riservare al cane un destino crudele. Avril accetta il caso, portando avanti la tesi che un cane andrebbe giudicato come un'essere vivente con le proprie autonomie, i propri bisogni e le proprie ragioni. Soprattutto, con i propri sacrostanti istinti.
Idealismo, sorrisi e un film militante in difesa della giustizia
Quella di Dog on Trial non è una storia vera nel senso stretto del termine (anche se nel film viene detto il contrario), piuttosto un pretesto, un processo che ne raccoglie tanti altri, come ha spiegato la stessa autrice, che ha presto spunto da alcuni casi reali, che hanno acceso - surriscaldando - l'opinione pubblica (che nella stra-grande maggioranza dei casi sta dalla parte del cane). L'accenno è presente anche nel film: la polarizzazione populista degli ideali, oggi sovraesposta, è cavalcata in qualche modo dal capo d'accusa sfruttato dalla "vittima". Per questo lo spunto è forte, e socialmente rilevante: un cane è un essere con una personalità, una motivazione, uno scopo, una ragione. Se non risponde alle nostre regole sociali, andrebbe comunque considerata la sua indole, prima di giudicare e, nel peggiore dei casi, "addormentare". Un cane andrebbe rispettato e difeso, capito, compreso, e per quanto possibile de-umanizzato, riconoscendo il suo imprescindibile essere. Più in generale, un animale, prosegue il film, non dovrebbe mai essere considerato alla stregua di un oggetto, e quindi non può essere distrutto se "non funzionante" - o intemperante alle regole. Questione di civiltà, di nobiltà e di progresso.
Parallelamente, c'è una sottostoria riguardante il vicino di casa di Avril, un bambino (Tom Fiszelson) con una complicata situazione famigliare. Anch'esso, come Cosmos, non è tutelato dalla Legge, anzi. Temi e sfumature colte in pieno da Laetitia Dosch, affidando ad un voice-over l'andatura di un'opera a tratti umoristica e a tratti rivelatoria per come vengono trattati gli umori di una storia esuberante e ben scritta (portandoci fino all'obbligatorio finale), facendo chiaramente leva sulla presenza di un cane come protagonista (a proposito, ad interpretare Cosmos troviamo Kodi, un esperto cane attore che a Cannes, ha annunciato il ritiro). Insomma, in poco meno di novanta minuti, Dog on Trial ci ricorda quanto siamo fortunati a vivere sullo stesso pianeta abitato dai cani. Ciononostante, ci ricorda quanto i nostri preziosi amici a quattro zampe non abbiano ancora la stessa dignità riservata agli esseri umani. E ci ricorda anche di quanto la giustizia di un tribunale, invece che essere uguale per tutti, sia invece cieca, abietta, retrograda. Ecco, con passione e decisiva commozione, quello della Dosch è un film teneramente militante, che lotta per cosa è giusto, e non per cosa è ordinario.