Sotto il nome di Django esistono più di trenta film. Di questi, l'originale diretto da Sergio Corbucci del 1966 ha ricevuto solo un sequel ufficiale negli anni '80, circa vent'anni dopo. Poi tanti progetti interpretati da innumerevoli attori diversi, tra cui anche il Django: Unchained di Quentin Tarantino. Questi tre i più famosi, ma la gloria del personaggio continua a perdurare e ad affascinare tuttora. Insieme ai personaggi di Clint Eastwood nei capolavori di Sergio Leone e al Trinità di Terence Hill, il pistolero con la bara di Franco Nero è infatti una delle figure leggendarie e più importanti del genere degli spaghetti western, per questo immorale. Di fatto continua a sopravvivere re-inventato e ri-narrato continuamente, e questa di Sky, Cattleya e Canal+ è solo la più recente delle iterazioni di Django ma la prima a essere pensata per un formato televisivo, il che la rende unica in partenza. A presentarla alla stampa nella cornice della 17a edizione della Festa del Cinema di Roma sono intervenuti la regista Francesca Comencini, i protagonisti Matthias Schoenaerts, Noomi Rapace, Lisa Vicari, i produttori e gli sceneggiatori Leonardo Fasoli, Maddalena Ravaglia e Max Hurwitz. Ecco cosa ci hanno raccontato.
Intimo e ribelle
La Comencini, figlia d'arte e filmmaker affermata, ha subito chiarito l'importanza del genere nella sua formazione e vita: "I Western anni '60-'70, americani o italiani, erano tutti film di rivolta, con protagonisti e storie refrattarie al potere. Un grande racconto sotto forma di favola nera per adulti in grado di parlare di quei tempi indomiti. Io almeno così li vedevo e per questo hanno avuto un ruolo fondamentale nella mia formazione cinematografica e personale, da ragazza ribelle". Come riproporre tutto questo, dunque, cercando di parlare dei nostri tempi?: "Nel rispettare e omaggiare la tradizione", continua la Comencini, "abbiamo cercato di parlare al nostro tempo, inserendo una parte di modernità utilizzando questo sogno di cinema smisurato del western per dare ad esempio un importante protagonismo ai personaggi femminili, sia in chiave positiva che cercando di raccontare una nuova tipologia di antieroe". Parla di Elizabeth, la villain principale della serie interpretata da Noomi Rapace, che in merito racconta: "Nella prima chiamata via Zoom, Francesca mi ha subito detto cosa voleva esplorare con questo personaggio, aprendo numerose possibilità sulla creazione della sua personalità così distorta. Abbiamo iniziato a scavare a fondo nella sua interiorità per comprendere che tipo di persona fosse, essendo guidata da rabbia, odio e risentimento, e abbiamo scoperto la sua superfice cattiva ma un intimo molto più complesso. Il processo è stato estremamente collaborativo e ho davvero amato portare in vita Elizabeth".
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La collaborazione è avvenuta in realtà con tutto il cast, caso per caso: "Ciascuno degli interpreti ha collaborato attivamente al miglioramento dei rispettivi personaggi e della serie", ha spiegato la Comencini, "hanno implicato molto di loro stessi in modo personale e appassionato per elevare il prodotto. Ho imparato molto da ognuno di loro, a volte anche dolorosamente. L'incontro con Noomi è poi stato importante per me, sia come regista che come donna. Ci siamo capite subito, simili in tante cose. Lei è una grande attrice ma è soprattutto una donna davvero forte. È stato un onore lavorare con lei e con tutti".
Django oggi
Il pistolero con la bara di Schoeaerts ha qualcosa di familiare e di nuovo, comunque diverso tanto dall'iterazione di Corbucci quanto da quella di Tarantino. I due autori e le rispettive ispirazioni emergono tra le righe del progetto, mentre Franco Nero vive nello sguardo penetrante dell'interprete belga. Il suo Django è introspettivo e ponderato: "Ha delle crisi intime", dice la Comencini: "Con lui abbiamo voluto interrogarci sui codici più intimi della virilità". Le fa eco Matthias Schoenaerts: "Il suo è un arco individuale. È rimasto solo, al cuore, e soprattutto oggi c'è una certa risonanza con la solitudine e il dolore che affrontano tante persone nella sua condizione. Prova e riesce però a esprimere amore per le persone che ha intorno, anche se vive una profonda crisi personale a tutto tondo". Si va poi sulla contemporaneità, tematica e produttiva: "Abbiamo voluto raccontare un mondo senza frontiere", aggiunge la Comencini, "ancora oggi un'utopia che dà infatti il nome alla città inclusiva e aperta a tutti della serie. L'utopia dell'accoglienza contro chi ha paura della diversità e sceglie di chiudersi a tutto con intransigente rifiuto come Elizabeth. Proprio in lei vive anzi il paradosso principale, perché da donna diviene comunque feroce guardiana di un ordine storicamente patriarcale (la religione cattolica) e da qui abbiamo voluto interrogarci su questo estremismo e confrontarlo appunto con una comunità opposta, senza barriere culturali, etniche o religiose".
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Ma specifica: "Non c'è intenzione di dare un messaggio, ma solo il tentativo di confezionare un'opera accattivante e sorprendente sulle contraddizioni e dedicata ai personaggi più invisibili e meno raccontati, affrontando anche le complessità della modernità". Aggiunge il co-produttore francese: "La grande sfida era anche trasformare Django in serie, visti i tanti riferimenti che c'erano. Dovevamo usare gli strumenti della televisione per qualcosa da sempre concepito per il cinema, in formato e idee diverse. Ma un ottimo show è costituito da ottimi personaggi, e da lì siamo partiti per poi confezionare un solido prodotto di genere che andasse a esplorare tematiche attuali con la giusta dose di drammatizzazione, epica e azione". La sua controparte tedesca aggiunge: "Django - La Serie è davvero come New Babylon: uno show collettivo composto da tanti talenti internazionali e per questo ricco d'inclusione e diversità". E il commento di Riccardo Tozzi di Cattleya, alla fine, elogia i cuori impavidi: "Ottima serie, felici di aver partecipato al progetto. Ci sono anche le chicche di Vinicio Marchioni in una piccola ma intrigante parte e Manuel Agnelli, che ha deciso di posare la chitarre e imbracciare il fucile per noi. Ma la presenza di quello sguardo così ribelle ed essenziale per me è stata la decisione più importante e fondamentale".