Le tragedie che scorriamo nella cronaca nera succedono ad altri e noi ne siamo immuni: siamo i protagonisti della nostra vita, e un film non può andare avanti senza il suo protagonista. Come vedremo in questa recensione di Dirty John, la nuova serie su Netflix ci sprona ad aprire gli occhi: può capitare a tutti d'imbattersi in una persona che appare molto diversa da ciò che è, quindi la propria fiducia va centellinata con intelligenza, e i campanelli d'allarme vanno sempre ascoltati. La serie televisiva scritta e creata da Alexandra Cunningham, e basata sull'omonimo podcast true crime del reporter del Los Angeles Times Christopher Goffard, è approdata sulla piattaforma streaming il giorno di San Valentino, e sembra quasi un monito beffardo nei confronti di chi celebra l'amore romantico senza prestare attenzione a quegli atteggiamenti che con l'amore hanno ben poco da spartire.
Se progetti una vita bellissima, non può accadere niente di brutto
Il primo incontro
Debra (Connie Britton) è una interior designer ricca e avvenente, con tre figli che adora e quattro matrimoni falliti alle spalle, che non si lascia abbattere dalla sfilza di appuntamenti deludenti rimediati online, e persevera nella ricerca in rete dell'uomo più adatto a lei. "Io credo nei sogni, sogni in cui si può vivere. Se progetti una vita bellissima, non può accadere niente di brutto". Con queste affermazioni dogmatiche in voice over, che contrastano con gli allarmanti sprazzi di flashforward, si apre la prima puntata, quasi a indicare il tracciato da non seguire, il tipo di fiducia sconsiderata da non riporre mai negli sconosciuti.
Infatti, dopo l'ennesimo uomo noioso o ancora innamorato della sua ex, Debra incontra John (Eric Bana), che insiste per passare a prenderla e la cui unica macchia sembra essere l'abbigliamento un po' troppo casual per un primo appuntamento. Si può soprassedere, soprattutto se John è brillante, spiritoso e galante, e se conduce una vita impegnata da Medico Senza Frontiere, che è stato ferito in Iraq da vero eroe. L'appuntamento prosegue a casa di Debra; quando ad avances un po' troppo invadenti lei dichiara conclusa la serata, John si dirige verso la porta di casa e la richiude stizzito dietro di sé. Quello sarebbe stato il primo segnale a cui prestare la dovuta attenzione. Ma Debra non lo fa.
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Chi non si fida
I figli criticano spesso i genitori più del necessario e si pongono in aperto conflitto con loro per le inezie. A volte, però, dietro quelle recriminazioni reiterate che suonano come lagne infantili, si nasconde una saggezza maggiore di quanto si voglia riconoscere. Veronica (Juno Temple) sembra lo stereotipo della bionda viziata: cresciuta sugli sfondi assolati di Newport Beach, in California, custodisce borse da migliaia di euro in cassaforte e ha scolpita sul volto la disapprovazione leziosa di chi sente sempre di meritare di più di quanto non le venga concesso. La sorella minore, Terra (Julia Garner), ha un'indole più dolce e concessiva; eppure anche lei, quando conosce John, nutre diffidenza e antipatia, e non viene invitata alla Festa del Ringraziamento quando quella sfiducia viene suffragata da indizi che delineano la scarsa onestà del pretendente materno.
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Debra continua a considerare i sospetti delle figlie come ingiuste richieste di attenzioni, e alla famiglia via via preferisce l'amore che sembra destinarle uno sconosciuto attraente: John la sveglia ogni giorno con un centrifugato diverso, coloratissimo come la vita a cui lei ambisce, e si commuove teneramente quando viene portato a una funzione religiosa. Poco importa se le dice en passant che una soluzione alle lagne di Veronica sarebbe quella di spararle in testa: è una battuta infelice di chi ha visto la guerra da vicino e ne riporta letteralmente le cicatrici sul corpo.
Chi si fida
Un personaggio emblematico è la madre di Debra, Arlane (Jean Smart), che viene sedotta come la figlia dallo charme di John, dalla sua sensibilità in chiesa, dal suo umorismo, dal suo rivolgersi a lei con cordiale spontaneità. Insomma, da tutti quegli atteggiamenti posticci che Arlane ha scelto di osservare molto più dei segnali negativi. "Ma c'era una strana sensazione che mi sfuggiva di lui, mi spiego?", chiede alla figlia quando John si rivela per quello che è realmente. "Sì, l'onestà", stempera Debra in una risata, come ammettendo che hanno deciso entrambe d'ignorare l'aspetto più importante che andava colto quando i danni sarebbero stati ancora gestibili.
Ma non è la prima volta che Debra sopporta delle angherie dal partner, così come non è la prima volta che Arlane confonde la vulnerabilità dell'altro per bontà d'animo e affetto. Religiosissima, in passato aveva concesso il suo perdono e addirittura il suo sostegno a un uomo che le sembrava animato da un amore profondo, anche dopo aver sporcato di sangue e di tragedia la sua vita e quella di Debra. Non è casuale che la figlia soffra della stessa sindrome da crocerossina e che individui nella disonestà criminale di John quella "cattiva sorte", citata nel giuramento matrimoniale, a cui bisogna far fronte in nome di una promessa inestinguibile. Al primo piano di Arlane vent'anni prima, mentre testimoniava a un processo in cui avrebbe dovuto prendere le distanze dall'accusato, segue il primo piano di Debra oggi, mentre decide di tornare con John anche dopo la scoperta di verità terribili sul suo conto. E questa fusione di perdoni sbagliati segna uno dei momenti più commoventi e agghiaccianti di Dirty John, perché indica con chiarezza come la colpa sia da ravvisare anche nell'aiuto reiterato verso chi non lo merita.
Passato e presente
Dalla terza puntata, la serie introduce altre linee narrative temporali, e noi scopriamo il passato di John e notiamo come i meccanismi con cui mente alle donne, e con cui s'insinua nelle loro vite fino a guidarne il timone, siano sempre gli stessi. Vediamo un passato di John più recente, cui fanno da contraltare gli spezzoni del filmino del suo primo matrimonio: i testimoni lo chiamavano "Dirty John" e incoraggiavano scherzosamente la novella sposa a scappare. E vediamo un passato più lontano, in cui John bambino viene incoraggiato dal padre mafioso a ingoiare pezzi di vetro in un ristorante o a buttarsi sotto le macchine. E constatiamo come i bugiardi patologici non mentano su tutti gli aspetti della propria vita.
L'intreccio tra passati diversi e presente diventa sempre più serrato, e Alexandra Cunningham si dimostra brava nello stupirci a ogni passaggio dall'uno all'altro e a comporre via via un puzzle che parla di stalking, bugie e manipolazione. La tendenza della serie a scivolare nella soap così come la cornice glamour ricordano vagamente Desperate Housewives, di cui la Cunningham è stata sceneggiatrice, serie che però raccontava con molta più ironia e più gusto per il romanzato i segreti che nascondono persone insospettabili. Però quel rischio d'incorrere nello stereotipo, soprattutto verso il finale, s'intravede pure in questa serie, basata su fatti reali e molto più vicina alla cronaca che alla telenovela. Per fortuna ai protagonisti prestano il volto Connie Britton, la grintosa ma rassicurante moglie del coach Taylor in Friday Night Lights, perfetta tanto nel ruolo della donna che non si fa mettere i piedi in testa quanto in quello della donna che si fa abbindolare, e Eric Bana, che passa con grande naturalezza dal personaggio del corteggiatore galante a quello dello stalker calcolatore e bugiardo. E noi sentiamo i brividi nel contare via via i segnali che preannunciano il disastro, e rabbia nel vederli sistematicamente minimizzati dalla protagonista: dopo tutti gli otto episodi, avremo forse appreso l'importanza di avere una visione dei fatti più oggettiva possibile, e probabilmente guarderemo con diffidenza chi ci preparerà un centrifugato a colazione.
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Movieplayer.it
3.5/5