Dimmi un po' di più
Lello Morgese è un comico affermato, simpatico, talentuoso. I suoi spettacoli, numeri di cabaret vecchio stile, in cui lo slogan "non me lo dire" provoca regolarmente l'ilarità del pubblico, fanno registrare sempre il tutto esaurito; il suo volto, grazie anche a una costante presenza televisiva, è noto e apprezzato, specie tra la gente della sua Puglia che lo stima come emblema solare e positivo della propria terra. Tutto sembra andare per il meglio nella vita personale e professionale di Lello, insomma, finché un bel giorno, di punto in bianco, sua moglie Silvia non decide di piantarlo: il mezzo, un laconico biglietto vergato a penna in cucina, il motivo, un'ormai insostenibile lontananza del marito a causa dei suoi molti impegni lavorativi. Qualcosa, in Lello, si rompe: la sua spensieratezza infantile, un po' egoista e superficiale, ormai compromessa dall'abbandono coniugale, lascia il posto a una sorda malinconia; continuare a far ridere la gente, in questa situazione, è ormai impensabile. Il comico abbandona i suoi spettacoli, con ricadute disastrose sulle persone che lavorano con lui e sul loro posto di lavoro. La soluzione prospettata dal suo psicoterapista: un viaggio attraverso la sua terra, alla ricerca delle tante persone che in passato gli hanno espresso la loro stima, per parlare con loro e ritrovare, attraverso il loro contatto, la fiducia in sé stesso e la voglia di vivere e amare. Ad accompagnare Lello in questo singolare tour tra città e campagne pugliesi, i suoi collaboratori Volume e Salvavita, rispettivamente tecnico del suono e delle luci per i suoi spettacoli e ora compagni di un viaggio i cui risvolti saranno prevedibilmente tragicomici.
Accanto a cinepanettoni, cinepandori e derivati, la commedia italiana sta esprimendo, negli ultimi anni, anche un filone di prodotti dai quali viene bandita ogni forma di volgarità, figli di una comicità per famiglie di chiara matrice televisiva. Filiazione più che evidente, e dichiarata, in una pellicola come questo Non me lo dire, che rappresenta l'approdo al cinema del comico pugliese Uccio De Santis; ex barzellettiere a La sai l'ultima e volto noto al pubblico televisivo, soprattutto locale, oltre che cabarettista apprezzato da spettatori di tutte le età, chiara ispirazione per una pellicola (scritta dal fratello Antonio De Santis) dai tratti in parte autobiografici. Siamo di fronte, in effetti, a una commedia on the road costruita su ritmi e modi narrativi propri del piccolo schermo, ma soprattutto dai tratti garbati e improntati a una comicità leggera, onesta nei suoi intenti ma anche sostanzialmente poco incisiva. Il viaggio di Lello nel cuore della provincia pugliese, in effetti, regala una serie di gag in cui si sorride spesso, in cui la macchiettistica presenza di certi personaggi (il prete di campagna, i contadini col fucile, il padre della bambina delusa) è funzionale a un divertimento facile e disimpegnato, ma in cui il background della storia raramente viene fuori in una rappresentazione più che schematica. Lo scopo della sceneggiatura era forse anche quello di rappresentare l'anima più solare e spontanea della terra pugliese, di far respirare un po' della quotidianità delle persone che vivono quegli ambienti, di catturare un po' del sapore delle feste di paese, dei canti e dei balli, di una realtà contadina che non smette di preservare, gelosamente, le sue tradizioni. Tutti aspetti sì presenti, ma inevitabilmente in secondo piano rispetto a un impianto da commedia sentimentale programmaticamente centrata sul protagonista e sulle due simpatiche spalle (i comprimari Nando Paone e Umberto Sardella). Diverte ma non incide più di tanto, questa pellicola, né tantomeno graffia; intento che, per onestà, bisogna ammettere comunque non emergere mai dalla sua narrazione. Tuttavia, in una sceneggiatura in cui si evidenziano anche alcuni momenti riusciti e divertenti (tutta la parte sul fan defunto regala risate autentiche e spontanee) era legittimo attendersi qualcosina in più sul versante della costruzione del personaggio, sul suo rapporto col suo stesso mestiere e sulle ricadute di quest'ultimo sulla sua vita personale: l'interessante spunto sul fare ridere o meno le persone a sé vicine (il protagonista è indispettito dalla parte del messaggio lasciatogli da Silvia in cui questa dichiara la sua incapacità di divertirla) e sulle risate involontariamente provocate nel pubblico dal suo ultimo spettacolo, resta appena accennato. La stessa regia di Vito Cea, che già aveva diretto De Santis sul piccolo schermo, denuncia la sua impostazione televisiva e non riesce a legare tra loro con sufficiente convinzione una serie di episodi che, troppo spesso, danno l'impressione di essere gag a sé stanti.
Piacerà comunque al pubblico per cui è stato pensato, questo Non me lo dire, e sicuramente ai fans del protagonista, di cui resta indubbia la simpatia; ma non si può non rilevare che il soggetto, pur nei limiti del suo filone di appartenenza, aveva qualche potenzialità in più, sfruttando la quale non se ne sarebbe certo compromessa la leggerezza. Paradossalmente, insomma, poteva dire un po' di più, Uccio De Santis con questo film; ma il suo pubblico, che immaginiamo benevolo quanto quello del suo simpatico alter ego cinematografico, probabilmente apprezzerà lo stesso.
Movieplayer.it
2.0/5