"Great writing finds a way to reach its audience"
È con un mix di sensazioni contrastanti che scriviamo questa recensione di Dickinson 3, la terza ed ultima stagione della serie Apple Tv+ con Hailee Steinfeld nei panni della celebre poetessa, considerata madre del lirismo moderno, che arriva dal 5 novembre sulla piattaforma con appuntamento settimanale. Questo perché fin dal suo esordio la serie si è presentata come una rilettura che giocava fra vecchio e nuovo, antico e moderno, femminismo e futurismo in modo non sempre omogeneo e spesso discontinuo. E giunta al canto del cigno, sceglie la via degli affetti e della "consacrazione" della protagonista come poetessa tentando di uniformare le tante facce che compongono lo show.
Trovare la propria voce
Dickinson, come dicevamo, è una serie diversa dalle altre, perché mescola tanti elementi e generi in modo quasi sovversivo. Non è propriamente una comedy, non è propriamente un drama (non solo per la durata degli episodi ma proprio per la loro struttura e sviluppo), e non è propriamente una riscrittura moderna. Gioca tantissimo con il raccontare la società patriarcale del 1800 dove Emily Dickinson è nata e cresciuta ma sterzando continuamente con battute, riferimenti, citazioni al mondo contemporaneo e alla (fin troppa) consapevolezza di trovarsi in un mondo antiquato e patriarcale per la protagonista. Del resto, chi riscrive l'arte come ha fatto Emily con le sue poesie, profonde e dolci ma allo stesso tempo crude per le tematiche che affrontavano come la morte, ottiene spesso questo effetto. La morte torna nelle vesti del rapper e cantautore di fama mondiale Wiz Khalifa, che interpreta ancora una volta una versione quasi steampunk del Triste Mietitore.
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E la morte torna anche come tematica che i vari personaggi dovranno affrontare e che li porterà non solo, come spesso capita, a fare un bilancio della propria vita ma a voler ricucire i rapporti prima che sia troppo tardi piuttosto che lasciare che si spezzino per sempre. Alena Smith, creatrice e produttrice che in quest'ultimo ciclo di 10 episodi debutta anche come regista, continua il frullatore di toni e generi che è stata la serie finora ma per l'ultimo atto decide di chiudere in modo dolce, con Emily che tenta di ricostruire i propri affetti - familiari e amorosi - dopo alcune fratture interne dovute anche al rapporto tra il fratello e i genitori.
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Consacrazione
La terza stagione di Dickinson è proprio come l'ultimo verso di una poesia - del resto ogni episodio si ispira a un'opera di Emily e ne ricalca alcuni versi nello svolgimento, mostrandoli sullo schermo allo spettatore - e si concentra sul trovare la propria voce e il proprio pubblico, non solo per la protagonista ma anche per gli altri personaggi, prima di tutto per se stessi e poi per gli altri. È struggente vedere se il percorso di Emily la porterà ad essere pubblicata o meno, e quasi sbirciare quando rimane da sola a scrivere, il flusso di coscienza dei suoi pensieri e sentimenti, grazie ad una regia intimista, quasi invasiva. E parallelamente l'interpretazione di Hailee Steinfeld, anche produttrice della comedy, si fa sempre più sentita, trovando il proprio ritmo con quello di Emily, un senso quasi di "pace", nonostante non siano solo le lotte intestine a rendere travagliato il suo periodo di scrittura più produttivo, ma anche le battaglie esterne della guerra civile, che vedrà coinvolta direttamente la famiglia di Emily.
Come era stato fatto in Hollywood di Ryan Murphy, anche in questo canto del cigno di Dickinson si riflette sul potere dell'arte, e se questa possa mantenere viva la speranza in tempo di guerra e far intravedere un futuro migliore del passato e del presente. L'altra tematica della serie è sicuramente quella LGBT, grazie alla quale lo show ha ottenuto una nomination al GLAAD Media Award, ma anche in questo caso la rabbia giovanile e la voglia di riscatto in una società che vede con diffidenza la figura della donna non sono sempre fluide con il resto del racconto. Infine l'aspetto visivo e la colonna sonora sono altrettanto importanti nella serie e quindi non solo i costumi (come un siparietto di Emily e la sorella sull'uso del corsetto) ma anche le scenografie curatissime regalano un divertente contrasto fra ciò che si racconta e ciò che si mostra, fra vecchio e nuovo appunto. Oltre al cast principale, questo ultimo atto è impreziosito da alcune guest star, spesso nei panni di altri letterati celebri che incrociano la propria strada - personale e professionale - con quella di Emily: Ziwe, nei panni di Sojourner Truth, che si è unita al progetto anche come autrice, Billy Eichner, nel ruolo di Walt Whitman, Chloe Fineman che è Sylvia Plath, e il ritorno di Zosia Mamet come Louisa May Alcott e Will Pullen nel ruolo di Nessuno.
Conclusioni
Concludiamo questa recensione di Dickinson 3 apprezzando la chiusura data alla “consacrazione” letteraria di Emily Dickinson, che cerca di trovare la propria voce prima di tutto per se stessa che per gli altri, in mezzo alla guerra civile e alle lotte intestine della propria famiglia. Ma saranno proprio gli affetti la chiave per comprendere meglio il mondo che la circonda. Hailee Steinfeld offre un’interpretazione che sembra trovare un tutt’uno col personaggio di Emily, pur nella sua rilettura moderna, femminista e ribelle, e anche la regia, dove debutta la creatrice Alena Smith, offre una visione più intimista della poetessa e delle sue opere, sciorinate per l’ultima volta nel corso dei 10 episodi come specchio di quanto vediamo sullo schermo.
Perché ci piace
- Il mantenere l’assetto quasi steampunk della serie dandogli però una visione più intimista.
- Il percorso per la “consacrazione” letteraria della protagonista, con Hailee Steinfeld che sembra trovare la stessa lunghezza d’onda col suo personaggio.
- Le guest star a impreziosire il racconto.
Cosa non va
- La serie è un mix spesso confuso e discontinuo di generi e toni e questo potrebbe destabilizzare qualche spettatore.