Philip Marlowe è come una camicia bianca. Un classico, una certezza, la zona di comfort. Un punto di riferimento, tanto per la letteratura che per il cinema. Aria malinconica, sigaretta tra le labbra, l'ennesimo caso da risolvere, consumando la polvere e la depressione della California degli anni Quaranta. Un'immaginario preciso, creato dal genio di Raymond Chandler, rivendendo gli archetipi immortali delle storie pulp. Storie vibranti, che profumavano di acqua di colonia, di decadenza e di polvere da sparo. Probabilmente, la letteratura americana al suo massimo, e per certi versi anche il cinema hard boiled al suo massimo. Humphrey Bogart ne Il Grande Sonno di Howard Hawks - basterebbe citare anche solo lui -, e poi Robert Mitchum negli anni Settanta. Solo alcuni degli attori che, fin dal 1942 (George Sanders è stato il primo), hanno vestito i panni del detective. L'ultima apparizione è stata quella di un ottimo James Caan in un vecchio film tv anni Novanta.
Ed era effettivamente un po' che Marlowe non veniva riportato al cinema. Infatti, rieccolo in Detective Marlowe del bravo Neil Jordan, interpretato - un po' a sorpresa - da Liam Neeson. A sorpresa perché, se escludiamo il primo Marlowe del cinema, il britannico George Sanders, è la prima volta in epoca recente che l'icona statunitense viene interpretata da un attore non-americano (tant'è che nel film si ammicca all'Irlanda). Con i dovuti metri di paragone, è come se James Bond venisse interpretato da un francese. Una scelta in parte coraggiosa per il film di Jordan, tratto in questo caso dal romanzo La bionda dagli occhi neri di John Banville (riassumendo, il personaggio è stato ereditato da tanti autori, come se fosse un eroe dei fumetti), ma che risulta inaspettatamente funzionale al tono latentemente sommesso del film (che trovate su Sky Cinema e in streaming solo su NOW). In breve, e al netto di uno script che parte da un ottimo materiale originale, lo sguardo allungato e pacato di Liam Neeson, che ci ha abituato a ben altri umori, potrebbe essere la cosa più interessante del film, che non molla mai la silhouette di una leggenda senza tempo.
Philip Marlowe, un detective tormentato
Detective Marlowe inizia come potevamo immaginare: una donna, elegante e biondissima, chiede aiuto al tormentato Marlowe. Lei è Clare Cavendish (Diane Kruger), figlia della diva di Hollywood, Dorothy Quincannon (Jessica Lange). Del resto, è il 1939, Hollywood ruggisce, tra segreti, bulli, pupe e irrivelabili segreti. E potrebbe essere un segreto il destino di Nico Peterson, l'ex amante di Clare. Sembra sparito nel nulla, ma poi ecco la notizia. Nico è morto. Violentemente. Solo che per Marlowe le cose non tornano, il quadro non è completo. E poi c'è Clare che insiste: la morte è inscenata, bisogna indagare. Andare a fondo. A fondo come una sirene. La stessa sirena, di coccio, che pare nascondere un segreto. Marlowe si cala dunque nel sottobosco di Bay City (location immaginaria nella contea di Los Angeles), finendo a ficcare il naso nel Corbata Club, gestito dall'ambiguo Floyd Hanson (Danny Huston).
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Il ritorno di Marlowe? Funziona a metà
Proprio come Philip Marlowe, a cui Neil Jordan riserva un rispetto reverenziale ogni qual volta che entra in scena, il film vuole essere un'alternativa più riflessiva in un cinema generale votato alla velocità. Per questo, tra dettagli ed espedienti, e con una produzione di livello (i costumi come la scenografia sono di ottima fattura, e non manca la luce arancione filtrata dalle tapparelle), questa rivisitazione di Detective Marlowe potrebbe essere cinema d'altri tempi, realizzato però seguendo le regole contemporanee. Con ciò, se la sceneggiatura funziona (scritta da Jordan insieme a William Monahan), e il cast è ben assemblato (Diane Kruger è un'attrice incredibilmente sottovalutata), la sensazione predominante resta indefinita, nell'indecisione generale dettata dal contesto filmico in un'epoca alla ricerca di nuove icone.
Del resto, Marlowe, e la fumosa Los Angeles di fine anni Trenta, sono un cosmo affascinante e fascinoso, che si presta per essere per essere tradotta in arte cinematografica, come dimostra la lunga filmografia sul Detective triste e acciaccato - lo ripetiamo, Liam Neeson è inaspettatamente bravo in un ruolo tanto delicato e quanto sfaccettato. Pur coerente con il suo spirito noir, e con la sua voglia di rispolverare un mito (perché di questo si tratta), Jordan mette in serie i diversi elementi - l'indagine, la femme fatale, l'immaginario di Chandler - senza però dare loro i giusti accordi. Per dire, la prima ora è godile, ben scritta, scorrevole. La parte finale, invece, si inceppa, perdendo l'abbrivio, e restando incastrato in un fiume di parole. Dall'altra parte, Detective Marlowe potremmo intenderlo come un tuffo nel passato (in tutti i sensi); l'alternativa diretta al thriller postmoderno, o al neo-noir: un giallo a regola d'arte, comprese le gustose quanto irrinunciabili ingenuità stilistiche e narrative.
Conclusioni
Neil Jordan rispolvera un mito. Di questo gli va dato merito. Come detto nella recensione di Detective Marlowe, la faccia di Liam Neeson salva in parte il film, e si sposa bene con il tono malinconico del film. Una buona sceneggiatura, poi, riesce ad intrattenere e ad affascinare. La seconda parte del film, però, si sfilaccia, facendo calare il ritmo, e di conseguenza l'attenzione.
Perché ci piace
- L'atmosfera.
- Liam Neeson convince nei panni di Marlowe.
- La prima ora è piacevole...
Cosa non va
- ... la seconda si incastra, perdendo di ritmo.
- Un film indeciso su cosa voler essere davvero.