Si chiama Antoine Fuqua ma sembra Luke Cage. Possente, carismatico, aria da duro degna del protagonista del suo Training Day. Poi Alonso Harris arriva davvero e, nonostante siano passati 15 anni da allora, il signor Denzel Washington conserva quel fascino e quel carattere granitico che ne hanno segnato la carriera. Vestito di nero come l'ufficiale Sam Chisolm, l'icona-Denzel e il regista americano hanno presentato a Venezia I magnifici 7, rilettura in salsa blockbuster del grande classico I magnifici sette. E uno dei fautori di questa svolta di puro, riuscito intrattenimento si chiama Chris Pratt. Ancora una volta, dopo Guardiani della Galassia e Jurassic World, l'aitante attore porta sullo schermo un perfetto equilibrio di ironia e limpido eroismo, consacrando la propria nomea di "nuovo Harrison Ford".
E a proposito di Ford, dimenticate pure il grande western di John Ford, perché I magnifici 7 guarda al passato per aggiornarlo ai canoni moderni; lo fa con ritmo, personaggi caratterizzati e battute ficcanti, senza ricreare una classica epica di frontiera. Dopo essere stato presentato fuori concorso alla Mostra del Cinema di Venezia, il film di Fuqua è stato seguito da una conferenza stampa dove abbiamo chiesto a questi "magnifici tre" quale sia il loro approccio ad un grande classico e ad un genere testardo come quello del western. Ve lo anticipiamo: il triello, a suon di battute e affabilità, lo ha portato a casa Chris Pratt.
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Cowboy o samurai
Cimentarsi nel remake di un remake non è cosa facile, così viene spontaneo chiedersi cosa abbia spinto Fuqua a rispolverare una storia talmente mitica. Il regista ha risposto così: "Penso che questo racconto abbia dentro di sé qualcosa di universale. E per questo è facile poterla leggere in chiave contemporanea. Si parla di prepotenza, di terrorismo, di soprusi sui deboli e poi di altruismo, con delle persone che aiutano gli altri. Questi sono ideali non devono tramontare. Kurosawa ha insegnato a tutti che la parola samurai significa servire. Dovete sapere che prima di accettare la direzione del film ho esitato, perché io adoro I sette samurai, e non avrei mai voluto tradirne lo spirito. esitavo. Invece, leggendo lo script ho capito che il DNA è lo stesso: ci sono sette tizi che trovano un obiettivo comune.
Il mio primo commento è stato: muore della gente, vero? Perché questa storia ha bisogno del sacrificio, bisogna che i suoi personaggi paghino un prezzo". A chi gli chiede se la nuova composizione multietnica dei magnifici sette abbia una maggior attenzione agli equilibri razziali (nel film di John Sturges gli eroi erano tutti bianchi), il regista risponde con un laconico "sì", prima di aggiungere: "Volendo si possono anche trovare dei temi politici, e a me fa solo piacere se succede, perché significa che si tratta di un film interessante. Ma va detto che spesso il pubblico porta la sua vita in sala e vede sullo schermo quello che gli interessa. L'interpretazione è un bene ma noi queste volta volevamo prima di tutto intrattenere. Vogliamo l'intrattenimento, siamo qui per questo"
Montare a cavallo
Poliziotto corrotto, giustiziere vendicativo e ora eroe d'altri tempi. Dopo Training Day ed The Equalizer - Il vendicatore, Denzel Washington è al suo terzo film assieme a Fuqua, e per la prima volta in una pellicola western. Quando gli viene chiesto se questo fosse un sogno atteso sin da bambino, l'attore ha risposto: "In realtà no. Mio padre era un uomo di chiesa, e quando andavamo al cinema insieme il genere di film era sempre roba tipo I dieci comandamenti. Per cui da bambino non ho mai visto western, ma ho giocato tanto a indiani contro cowboy. Ma ne I magnifici 7 ho dovuto vestire i panni dell'eroe, ed è stato come tornare bambini". Poi una voce si inserisce con perfetto tempo comico dicendo: "E ci hanno anche pagato!". La battuta è di Chris Pratt, ed ecco che il bellimbusto di Virginia sembra davvero uno dei suoi personaggi: faccia da schiaffi e ironia a portata di mano. Immaginate quanto sia sentito a suo agio quando la nostra Valentina D'Amico gli chiede se sia più difficile lavorare con procioni, dinosauri o cavalli.
Il buon Star-Lord ha risposto sorridendo: "Sono certo che i cavalli siano molto più pericolosi dei dinosauri, perché imparare a cavalcare per me è stato complicato. Ho optato per un approccio saggio e prudente, come se stessi imparando ad andare in moto. Prepararsi per un ruolo simile non richiede soltanto un lavoro fisico e abilità nel cavalcare, ma nel mio caso anche tanta destrezza nel maneggiare carte e pistole". Sul suo rapporto con il genere western, l'attore ha poi aggiunto: "Anche per me il western è stato un sogno sin da bambino e in questo senso il cinema italiano di Sergio Leone mi ha aiutato tanto. Ma va detto che non sono film che ho visto da piccolo ma soltanto negli ultimi sei sette anni. E mi sono sentito un bambino di oltre 30 anni".
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Né buoni, né cattivi
Fuqua sembra un regista molto interessato alla figura dell'eroe, un tema fondamentale per le aride terre del Far West. A proposito di questo, il regista ci ha tenuto a ricordare il fondamentale esempio di Sergio Leone nel tratteggiare la morale dei personaggi: "Per me Kurosawa è stato una grande ispirazione, ma Leone è un maestro assoluto. Lui ha cambiato il western, prima era facile individuare il buono e il cattivo, ma nei suoi film non era sempre così facile. I suoi personaggi erano più veri, più sporchi, duri e aggressivi. Leone mi ha influenzato anche nel modo di gestire i protagonisti sullo schermo, perché soprattutto nel western non è sempre importante spiegare e raccontare le origini di questi uomini, perché basta definirli attraverso quello che fanno, le scelte che compiono nel presente. Va detto che il western è un genere con suo codice cinematografico, con dei tempi più dilatati, che ti chiede di soffermarti sulle panoramiche e sui suoi grandi spazi. Tutto questo va rispettato, per cui mi sono dovuto adeguare attraverso uno stile più classico anche nei metodi di ripresa. Per cui niente elicotteri, niente GoPro, ma solo obiettivi da 35 e 50 millimetri". Tornando sull'etica dei personaggi, Denzel Washington puntualizza: "Sono d'accordo, le backstory sono fondamentali per noi attori, per entrare nel personaggio, ma non è detto che tutto vada raccontato anche al pubblico.
Questa è una cosa che Tony Scott ci teneva sempre a ribadire. Nelle scuole di recitazione ti insegnano ad amare il tuo personaggio, positivo o negativo che sia. Non devi giudicarlo. Nessuno è totalmente buono o cattivo. Non esistono scissioni nette". E anche Chris Pratt ci tiene a dire la sua: "In effetti il vissuto del personaggio conta ma non dev'essere per forza esplicito. Ogni film racconta una storia, e ogni storia è un viaggio, con una partenza e una meta. Ma è il viaggio che conta, è questo che appassiona e coinvolge il pubblico. Sul mio Faraday posso dirvi che si porta dietro un senso di colpa perenne ed è in cerca di riscatto. E sì, lo ammetto, non sono affatto coraggioso come lui". Ma con quel sorriso sornione stampato in faccia è davvero difficile prenderlo sul serio.