L'attesa è quasi terminata. Esattamente a venti anni distanza dal terzo episodio di una trilogia che ha indissolubilmente cambiato il cinema horror e non solo, George A. Romero ritorna all'antico con il quarto film dedicato ai morti viventi. Lo abbiamo atteso a lungo, ce n'è stato dato un gustoso assaggio di venti minuti al festival di Cannes ed ora La terra dei morti viventi è finalmente pronto a sbarcare nelle sale italiane dal 15 luglio prossimo.
In un periodo caratterizzato dall'apparente punto di non ritorno della serializzazione dei titoli (remake a ripetizione, storie di fantasmi noiose e derivative e teen horror dall'estetica mainstream e dalla discutibile qualità) le aspettative riposte in questo ritorno di Romero al cinema degli zombi, specie dai cultori storici dell'horror, rischiava forse di diventare eccessiva, ma sarà sufficiente la visione del film per spazzare ogni dubbio; Romero ha di nuovo fatto centro dimostrando che c'è ancora spazio nel cinema contemporaneo per un autore dalla coerenza e dal rigore indiscutibili.
Il regista americano riesce infatti nell'impresa di dare in pasto agli spettatori un film ancorato al passato e allo stesso tempo attualissimo, raccontando l'evoluzione finale dei morti viventi, i cui primi segni di civilizzazione erano stati accennati nell'eccellente quanto sottovalutatissimo Il giorno degli zombi.
In quest'ultimo episodio, l'umanità vive in una società tetra e desolata che ricorda molto cinema post-atomico; un mondo dove proliferano gli zombi e latitano gli esseri viventi, costretti a rievocare la loro esistenza dignitosa nel grattacielo di Fiddler's Green, ultimo baluardo della società benestante e luogo da cui una spaurita percentuali di benestanti capeggiati dal cinico Kaufman (Dennis Hopper) guarda dall'alto la misera e selvaggia vita dei bassifondi. Il trait d'union tra questi due mondi è rappresentato dalle figure di Riley e Cholo, mercenari dagli scopi diversi, intenti a difendere le mura protetti da un enorme veicolo armato.
Tanta acqua sotto i ponti è passata da quando l'allora ventottenne Romero girò nel 1968 La notte dei morti viventi. E' cambiata la società in cui viviamo e il modo di rappresentarla attraverso il cinema, tanto che anche gli zombi si dimostrano più evoluti e capaci di apprendere. Ciò che non è cambiato è lo sguardo ribelle e nichilista di Romero sulla società, ed è questa sua carica eversiva a fornire alle sue pellicole una durata straordinaria, nell'ambito di un genere che ha nel suo DNA la necessità di continuo rinnovamento. La terra dei morti viventi si svolge in un mondo devastato, dove la gente cerca di vivere 'normalmente' e commette l'errore fatale di ignorare il terrorismo e gli altri problemi sociali solo perché sono al di là della porta di casa, questo è il pensiero del regista americano che aggiunge anche: i miei film non sono tipici splatter o horror, si basano soprattutto sulle storie delle persone. I primi film horror, per quanto belli, raccontavano la distruzione del mondo e le possibilità di restaurare un ordine. Nei miei film l'orrore nasce proprio dall'impossibilità di restaurare quell'ordine.
Sotto il profilo produttivo, siamo certamente lontani dall'assoluta mancanza di mezzi che caratterizzò gli esordi di Romero, ormai dotato del pieno potere di scegliere i suoi collaboratori e gli interpreti, ma soprattutto trovatosi nell'inedita condizione di dover rifiutare molte proposte, vista la valanga di richieste di occuparsi del trucco o anche di recitare semplicemente la parte di uno zombi, ricevute dalla produzione. Greg Nicotero (responsabile del trucco insieme a Howard Berger ricorda a proposito come fu fondamentale per lui esordire nella squadra di Tom Savini proprio ne Il giorno degli zombi: è straordinario: dopo aver iniziato la mia carriera in un film di Romero, ho preso tutto il bagaglio di conoscenze acquisito in vent'anni e ho potuto utilizzarlo proprio nell'ultimo film di zombi del maestro.
Rispetto all'estetica tradizionale degli zombi romeriani, la modifica più sensibile riguarda il trucco degli occhi e il modellamento direttamente sui visi degli interpreti: attraverso l'utilizzo di particolari lenti a contatti che enfatizzano, insieme al celebre comportamento motorio instabile, la sensazione che i corpi provengano dal regno dei morti. Ad ogni modo, è stata mantenuto quel tipico carattere di crudo realismo dei primi film, evitando gli effetti digitali e affidando all'improvvisazione degli attori la resa dei movimenti.
Sotto il profilo visivo invece, questo quarto episodio punta ancora al realismo scenografico, seppur modificato da sottili lampi di futurismo mischiati con un cumulo postmoderno di rottami di recupero del mondo precedente. La suggestione più inequivocabile è decisamente quella del campo di concentramento, recintato e sorvegliato militarmente. Si devono al direttore della fotografia Miroslaw Baszak e allo scenografo Arv Greywal tali scelte rappresentative. E' soprattutto quest'ultimo l'ideatore del Dead Reckoning: l'affascinante veicolo armato che ricorda un carro merci, un camion dei rifiuti e una carrozza ferroviaria contemporaneamente.