Mystic River, Gone Baby Gone, Shutter Island, The Drop - Chi è senza colpa, La legge della notte: cos'hanno in comune tutti questi film? Sono adattamenti cinematografici dei libri di Dennis Lehane, tra i più importanti scrittori contemporanei. Professore di scrittura creativa avanzata all'Università di Harvard, Lehane ha un rapporto strettissimo con il cinema. E non soltanto perché registi del calibro di Clint Eastwood e Martin Scorsese hanno portato il suo lavoro sullo schermo. Alla Festa del Cinema di Roma 2024, dove è membro della giuria del Concorso Progressive Cinema, Lehane ha tenuto una masterclass in cui ha spiegato proprio questo forte legame.
L'incontro è cominciato proprio parlando di uno dei film che lo scrittore ama di più: Il braccio violento della legge di William Friedkin. Ma prima Lehane ha ammesso: "Il ruolo del cinema nei miei libri è enorme. Se provenissi da un'altra classe sociale probabilmente sarei un regista. Non pensavo che il cinema fosse alla mia portata: quindi sono divento uno scrittore". Per lui l'opera di Friedkin è speciale: "Il braccio violento della legge è come Moby Dick: non è un film sul crimine, ma su un uomo che è consumato dall'invidia per i ricchi. Il personaggio di Gene Hackman osserva come spendono i loro soldi, come si vestono. È un film che parla delle classi sociali più povere che cercano di far cadere quelle ricche. Amo la scena in cui lui mangia la pizza con del cattivo caffè mentre i due criminali fanno un pranzo lussuoso. È un po' quello che ho fatto con Mystic River: il punto non è ciò che accade alla ragazza, ma come reagiscono gli altri personaggi".
Negli ultimi anni Lehane ha poi deciso di riprendere qualcosa cominciato più di 20 anni fa: dopo aver scritto tre episodi di The Wire, è infatti diventato showrunner. La bellissima Black Bird, per cui Paul Walter Hauser ha vinto un Emmy e un Golden Globe è sua. E ora sta preparando anche un'altra serie per AppleTV+, Firebug. E, come ha detto durante l'intervista, per ora preferisce così.
La violenza e l'ispirazione per Dennis Lehane
Lehane è onesto e schietto. Non è una di quelle persone che gira attorno alle cose. Quando gli viene chiesto quale sia il suo più grande difetto dice: "Mi piace allungare i miei libri. Al cinema e in televisione è un problema, ti tagliano, ma in un libro puoi allungare quanto vuoi. Non credo nella resa dei conti e quindi non la metto nei miei libri. Quindi spesso i miei finali sono sospesi".
I suoi racconti sono pieni di violenza, che per lui deve essere scritta in un modo preciso: "Mi approccio alla violenza come con qualsiasi altra cosa: uno scrittore vuole che tu creda di essere lì. È diverso dallo scrivere in modo grafico: io scrivo in modo viscerale. E questo vale per ogni scena. Voglio che tu creda di essere lì".
Il suo stile e senso dell'umorismo vengono dall'aver frequentato a lungo il locale dove il padre andava a bere dopo il lavoro: "Quando ero un bambino mio padre mi portava al bar e io ascoltavo le persone raccontare storie. Erano storie della classe operaia, quindi erano tristi. Storie di come vieni fregato dal sistema. Ma siccome nessuno vuole ascoltare una storia triste, tutti la rendevano divertente. Penso di aver imparato le regole di come si racconta una storia molto presto. Le persone non se ne rendono conto, ma un libro come Mystic River in realtà è molto divertente. Se lo leggi a voce alta te ne rendi conto. E anche The Drop è così".
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Mystic River: la capacità di persuasione di Clint Eastwood
Mystic River è uno dei film più apprezzati di Clint Eastwood. Il romanzo è considerato il capolavoro di Dennis Lehane, anche perché la storia raccontata prende spunto a piene mani da un'esperienza traumatica vissuta dallo scrittore stesso quando era bambino. Proprio perché è un testo fondamentale, non voleva vendere i diritti perché fosse trasformato in una pellicola. Ma poi è entrato in gioco Eastwood.
"Diverse persone erano interessate a farne un film, ma non volevo vendere i diritti. Ho licenziato il mio agente, non mi capiva. Quindi ho preso un'agente di New York e a un certo punto mi ha detto: c'è una persona con cui forse vorresti parlare, è Clint Eastwood. Aveva ragione. Clint non accetta un no: gli ho detto che non volevo vendere e lui era d'accordo con me. Ma poi mi ha detto: ma se volessi, come potremmo lavorarci? Le parole magiche sono state: non cambieremo il tuo finale. Ha capito che questa è una tragedia greca. Warner Bros. non era d'accordo, voleva cambiarlo. Ma Clint si è battuto per fare il film che volevamo".
Una volta messo in chiaro che il finale di Mystic River non sarebbe stato toccato, Lehane ed Eastwood hanno cominciato a lavorare sul resto: "Entrambi eravamo molto affascinati dall'idea che le buone intenzioni possono portare a conseguenze tragiche. Nessuno nel nostro cinema ha cercato di mettere a nudo la figura dell'uomo bianco americano come Clint: in 30 anni di film ha mostrato come sia pieno di violenza e bugie. Nel film Jimmy, il personaggio di Sean Penn, è il classico anti-eroe: la società non fa abbastanza per lui e quindi decide di farsi giustizia da solo. Ma si sbaglia. Solo perché sei arrabbiato e senti di avere il diritto di farti giustizia facendo del male a qualcuno non vuol dire che tu abbia ragione. La cosa sconvolgente è la reazione della moglie: lei non si pone il problema. Questi personaggi si rendono conto di essere cattivi, ma vanno avanti. Perché si dicono che fanno anche cose buone".
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Il finale di Shutter Island
Se con Mystic River Lehane è riuscito a mantenere intatta la conclusione della sua storia, lo stesso non gli è riuscito con il finale di Shutter Island. Nel film di Martin Scorsese c'è una frase che non è presente nel libro: "È meglio vivere da mostro o morire da uomo per bene?". È diventata la frase simbolo della pellicola, ma allo scrittore non è proprio andata giù: "Nel testo quella battuta non c'è. Il film è bellissimo, fatto dal più grande regista del mondo. Però io non ero d'accordo con l'inserire questa frase. Perché tradisce il libro: il libro è molto più aperto. Ti lascia il dubbio. So che Mark Ruffalo era d'accordo con me, ma la frase piaceva molto a Leonardo DiCaprio. E anche a Scorsese".
"Mi chiedono sempre cosa succede alla fine di Shutter Island, ma io non rispondo mai. L'ho detto solo a pochissime persone che mi sono molto vicine. Mia figlia mi tormenta con questa storia, mi chiede perché non lo dico. E io le rispondo che è proprio perché la gente continua a chiederselo, anche se il libro è uscito 20 anni fa! Per me questo è nuovo gotico, ispirato a Mary Shelley e le sorelle Brontë. Volevo che il film finisse con la paranoia, esattamente come all'inizio. Gli anni '50 sono stati anni caratterizzati dalla paranoia. Non voglio farvi fare i compiti, non voglio obbligarvi a mangiare le verdure. Vi voglio intrattenere. Ma se riesco a intrattenervi e contemporaneamente a farvi fare delle domande allora ancora meglio".
Lehane ha anche spiegato da dove viene l'idea di Shutter Island: "Shutter Island è l'unico libro di cui posso raccontare una storia figa di come mi è venuta l'idea. Nella mia famiglia abbiamo tutti un senso dell'umorismo molto nero. Mio zio ci ha portato in una città al largo di Boston, dove c'è un istituto abbandonato, che prima era un manicomio. Lui una volta lavorava lì. Diceva che faceva un freddo incredibile. Ci ha detto che in quelle notti gelide a volte i fantasmi dei detenuti criminali morti lì si facevano vedere. Io e mio fratello avevamo 11 e 9 anni e siamo rimasti traumatizzati".
"Quando mia madre è stata male ed è stata ricoverata in ospedale era molto tardi e non potevo chiamare nessuno. Quindi mi sono messo a dormire accanto a lei. Mi sono svegliato alle 4 del mattino e tutta la trama di Shutter Island era lì. Compresi gli anagrammi: non sarei mai riuscito a concepire gli anagrammi da sveglio. In quelle due pagine c'era tutto. Anche il finale: di solito non so mai come vanno a finire i miei libri. E mi era rivenuta in mente l'immagine di quell'istituto abbandonato. Sapevo che dovevo finirlo più in fretta possibile. L'ho scritto in 4 mesi. Facevo sogni in continuazione in quel periodo: molti li ho inseriti nel libro. Mi sentivo così male per il personaggio di Teddy: sapevo che per lui sarebbe andata a finire malissimo! All'epoca stavo affrontando una forte crisi personale. Mio fratello dice che è il mio libro più personale. Spesso esorcizzo ciò che mi succede nei miei libri e Shutter Island in effetti ha molto di me. Ho finito di scriverlo il giorno di Natale del 2002. Quando hanno comprato i diritti del libro hanno assoldato sceneggiatori bravissimi, ma gli Studios volevano cambiare il finale. Mi sono opposto nel modo più assoluto: se il finale cambia il puzzle non funziona più. E lo so da quella notte, in cui tutto mi è apparso".
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Black Bird e il lavoro da showrunner
Come dicevamo, per ora Dennis Lehane preferisce fare lo showrunner: "Se sei uno showrunner, negli USA sei molto più rispettato di uno scrittore. Come showrunner ho il controllo: le decisioni sono mie. In Black Bird abbiamo girato diverse versioni di varie scene. Gli Studios erano pronti a farsele andare bene, ma io invece ho insistito per rifarle. Non sono un maniaco del controllo, ma quando si tratta del tuo lavoro è meglio poter decidere!".
Questa cosa dello scrivere per la televisione gli piace parecchio: "Al momento non ho romanzi in cantiere. E mi sento bene. Spero di farne altri, ma per ora non ho nessun contratto, nessuno che mi punta una pistola alla testa per una consegna. E mi va bene così! Al momento preferisco fare lo showrunner. Fare film e televisione è un lavoro molto sociale. E io sono una persona socievole. Eppure per anni mi sono chiuso in una stanza a scrivere da solo. Da quando sono uno showrunner sono una persona migliore: i miei figli e mia moglie se ne sono accorti. Scrivere un romanzo è estremamente difficile: ti assorbe totalmente. È come comporre una sinfonia. Invece scrivere per la televisione è molto più facile. Hai tante persone che ti aiutano. È un lavoro più rilassante. E poi mi piace la sensazione di scrivere una scena e poi vederla mettere in scena sul set".