Insieme a Christopher Nolan, il genio di Denis Villeneuve è uno dei pochi della sua generazione a essere paragonato (a volte giustamente, altre meno) a quello di Stanley Kubrick. Un accostamento, questo, che sembra essere riservato al giorno d'oggi soltanto a quei nomi capaci di alternare senza soluzioni di continuità generi differenti, visioni magistrali e una cinematografia d'impatto sotto l'egida di una rigida grammatica autoriale, che lavorando in sottrazione o addizione riesce sempre ad emergere.
L'attuale conto filmografico aiuta poi l'immaginario collettivo come curioso elemento aggiunto d'analogia: Kubrick 13, Nolan 12, Denis Villeneuve 11, il che rende il regista di Dune - Parte 2 (leggi la nostra recensione) una sorta di secondo erede di uno dei migliori filmmaker mi esistiti. Al di là di questo, va effettivamente riconosciuta all'autore canadese la grande capacità di spaziare dal dramma a tutto tondo al thriller psicologico, dalla fantascienza più lisergica e impressionante a quella più intellettuale e filosofica, riuscendo sempre e comunque a lasciare il segno, a volte meglio e altre meno. Vogliamo allora provare oggi a stilare una classifica dell'intera filmografia di Denis Villeneuve, dal film migliore a quello "peggiore", sfruttando ovviamente il successo di Dune - Parte 2 come momento di riflessione su uno dei registi più applauditi e richiesti del momento.
1. Prisoners
È un po' il The Prestige di Christopher Nolan, quel thriller dalle tinte oscure dove le ramificazioni psicologiche e sociali giocano un ruolo fondamentale nello sviluppo dell'intreccio, in contesto anche nell'indagine. Un film magnifico, Prisoners, che nel 2013 sdogana internazionalmente e a grande voce il genio di Villeneuve, che confeziona un lungometraggio portentoso, costantemente bagnato dalla pioggia, straordinariamente interpretato da Jake Gyllenhaal, Paul Dano e Hugh Jackman. Un viaggio nella psiche umana e nel tormento di un genitore alla disperata ricerca della figlia, ma anche l'inossidabile dedizione di un investigatore nella scoperta della verità. Ci sono immagini magniloquenti, frame di puro stupore, una scrittura che sa come comporre il giallo, dove sezionarlo per scopi introspettivi, raccontando anche la violenza dell'uomo buono quando perde ogni speranza. A undici anni di distanza dal suo debutto, resta poi il film di Denis Villeneuve con il finale più bello della sua carriera, facilmente definibile un capolavoro nella sua composizione, per regia, montaggio, scopo e intuizione. Non a caso è il titolo che ha cristallizzato dopo tre lungometraggi il talento cinematografico dell'autore.
2. Dune - Parte 2
C'è poco da fare: Dune - Parte 2 traspone un romanzo fantascientifico tra i più complessi della storia della letteratura di genere, raggiungendo una commistione esaustiva e spettacolare tra forma e contenuto, tra adattamento e visione registica, tra blockbuster e autorialità. Rispetto al primo capitolo della trasposizione villeneuviana del romanzo di Frank Herbert, questa seconda parte entra nel cuore della storia e della trasformazione di Paul Atreides nel Lisan al-Gaib, trovando una forza cinematografica molto più dirompente del predecessore, gestendo in modo adeguato la narrazione dell'azione e il racconto vero e proprio, creando suggestioni visive totalizzanti tra close up e campi lunghi, coadiuvato da un comparto musicale eccellente e da una fotografia magistrale. È il punto d'arrivo della fantascienza d'autore odierna, in grado di irretire i sensi dello spettatore e di trattare tematiche spirituali, sociali e ambientaliste universali, restando fermamente ancorato al materiale originale pur aggiungendo "la spezia" della personalità artistica di Villeneuve.
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3. Sicario
Un racconto dedicato alla moderna frontiera americana pensato da Taylor Sheridan e sapientemente maneggiato dalla visione del regista canadese. Un thriller ad alta tensione che sfrutta il sonoro in modo impeccabile, coadiuvato da un montaggio estasiante che gestisce spazio, tempo e forma del racconto con cura pressoché maniacale, trasformando ad esempio traffico e autostrade nel peggiore nemico possibile e plasmando di fatto il mito della frontiera in qualcosa di attuale, con un suo preciso mordente civile (l'immigrazione, la droga) inserito in una dimensione di genere dove strategie, interrogatori, tradimenti e morte maturano e convivono tra azione e dramma. Sicario vive di sequenze impressionanti e di virtuosismi da manuale, ma anche di un anti-eroe come Alejandro (Benicio del Toro) a cui è consegnata una delle scene di confronto più belle e brutali del cinema di Villeneuve.
4. Arrival
La fantascienza è nella sua completezza un linguaggio di genere, e attraverso Arrival l'autore canadese ha voluto approfondire proprio il tema del linguaggio mediante questo genere. Una sci-fi dai marcati tratti intellettuali, dal ritmo compassato e desiderosa d'indagare il contatto con specie aliene partendo dalle barriera linguistiche, le stesse che possono generare incomprensioni e diffidenza. Un film che tesse la trama del racconto seguendo un approccio filologico esattamente come la sua protagonista, che tenta di ricostruire il senso esatto di simboli sconosciuti dovendo imparare al contempo ad accettare il proprio destino. Una critica fondamentale che sfrutta il genere per colpire tutti quei muri culturali e pre-concettuali che impediscono all'Uomo di progredire e più semplicemente di comprendere il diverso, diretto con estremo rigore e immacolata visione da un Villeneuve disinteressato allo spettacolo in senso stretto e molto più affascinato dall'inconoscibile, dalla suggestione della scoperta, da un impatto formale che vuole esaltare la paura e lo stupore dell'inafferrabile pure se alla continua ricerca di confronto e comunicazione, comunque vissuta in negativo (i media, la politica, le masse) e in positivo.
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5. Blade Runner 2049
Recentemente, parlando proprio di Blade Runner 2049, Denis Villeneuve ha rivelato: "Mi sveglio ancora la notte con gli incubi, pensando 'ma perché l'ho fatto'? Pensavo continuamente al film originale, che considero un vero capolavoro, e volevo a tutti i costi il benestare di Ridley Scott per ciò che stavo facendo, leggere nei suoi occhi che fosse tutto ok. Blade Runner 2049 è per me una lettera d'amore a quel mondo ma anche uno dei progetti più difficili ai quali abbia mai lavorato, tant'è che penso che non mi approccerò mai più a l'universo di qualcun altro in questo modo". Un film energico e cinematograficamente portentoso, Blade Runer 2049, certo aiutato non poco dalla fotografia di Roger Deakins, ma dai contenuti sfilacciati e con poca presa, incapaci di eguagliare i passaggi cult del film del 1982, pietra miliare del genere e caposaldo del cinema contemporaneo. Un racconto formalmente immacolato e di grande spessore artistico che sconta però interpretazioni un po' troppo fredde, una storia dal sapore conosciuto e un villain non sempre convincente. Il commento di Villeneuve è onesto e centra il punto, anche se in termini di set pieces e colossal fantascientifico forse solo il suo Dune è riuscito a raggiungerlo e superarlo davvero nell'ultimo decennio.
6. Dune - Parte 1
Il difetto più grande di Dune - Parte 1 rispetto al suo sequel è quello di essere fisiologicamente introduttivo al corpo centrale del racconto di Herbert, e per questo estremamente compassato nel ritmo e sbilanciato nella gestione delle parti. La poca azione presente, ad esempio, soffre di un profondo disinteresse da parte di Villeneuve (si nota dal montaggio, dalla cura registica, dalla voglia di inserirsi nel contesto action) e la necessità di dover presentare un intero universo con le sue regole, i suoi rivali, i suoi tempi e una sua precisa nomenclatura sembra bloccare l'esplodere della storia e del suo potenziale. Il film è di per sé un embrione dell'enorme portata cinematografica della Parte 2, per cui già impreziosito da una visione encomiabile e da un rispetto del materiale di partenza semplicemente maniacale, eppure ancora impossibilitato a coniugare perfettamente la grandeur colossale dello spettacolo blockbuster con la cifra autoriale villeneuviana in ogni singolo aspetto del progetto. La colpa è certamente imputabile alla divisione dell'adattamento e alla struttura del romanzo di partenza, ma Dune - Parte 1 resta a prescindere un signor lungometraggio di fantascienza, anche se forse è meglio considerarlo in un unicum insieme a Dune - Parte 2.
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7. La donna che canta
Prima dell'uscita e del successo di Prisoners, Denis Villeneuve si era fatto notare per La donna che canta, trasposizione cinematografica dell'omonima piece teatrale di Wajdi Mouawad. Un film drammatico e complesso, dove emergevano già tematiche care all'autore quali la guerra, la violenza dell'uomo, il ruolo della donna nella società contemporanea, la volontà d'immortalare lo straziante spettacolo della vita sul grande schermo. Doloroso, toccante, diretto con piglio classico ma virtuoso, ricco d'immagini potenti ma soprattutto dedito a una storia d'eredità che procede all'indietro, alla ricerca delle proprie radici in un paese martoriato come il Libano, comunque a cavallo tra due culture - quella occidentale e quella orientale - che convivono nel corpo e nell'anima della straordinaria protagonista. Un titolo che si addentra anche nelle macerie della guerra civile e nei sacrifici della genitorialità, nell'amore di una madre per il figlio. Un Villeneuve forse diverso da tutto il resto, dal suo passato e dal suo futuro, dallo stile ancora in divenire ma già esauriente e bellissimo, che ha ricevuto nel 2011 la sua prima e meritata nomination agli Oscar. Forse il suo film più drammatico e di grande impatto emotivo.
8. Polytechinque
Al suo terzo film, Denis Villeneuve traspone sul grande schermo la storia vera del Massacro del Politecnico di Montreal, un tragico fatto di cronaca avvenuto il 6 dicembre del 1989 nella città tanto cara al regista. Girato in un ricercato bianco e nero, Polytechnique narra il massacro dal punto di vista di due studenti e di quello del killer. Un film che unisce dramma e thriller in un concentrato di violenza e ricostruzione storica degli eventi minimizzando gli effetti sanguinosi della strage senza mai nasconderli, invocando pensieri inespressi e momenti drammatici sottoforma di opera d'arte, composta e calcolata, stilisticamente ricercata, concettualmente solida, soprattutto nella volontà di accostarsi ad Elelephant di Gus Van Sant, tentando di razionalizzare l'estrema violenza attraverso una decente analisi cinematografica degli eventi. Qualcuno, al tempo, è arrivato a paragonare Polytechnique addirittura a uno slasher, sbagliando paragone soprattutto per l'importanza delle tematiche trattate, quale ad esempio la misoginia dietro al massacro. Vive forse di un formalismo di facciata troppo pronunciato, ma resta ancora oggi un film invecchiato benissimo.
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9. Enemy
A mani basse è Enemy il film più complesso e grottesco della filmografia di Denis Villeneuve, insieme thriller e fantascienza, dai tratti indecifrabile ma di profonda e connaturata fascinazione, forse perché ispirato a uno scritto di José Saramago, ai suoi flussi di coscienza, alla sua prosa svestita di punteggiatura. Enemy mantiene intatto il tessuto narrativo dell'opera di Saramago rendendolo però più onirico ed ermetico nella trattazione del tema del doppio e dell'ossessione, disvelando fragili identità e desideri d'evasione in una storia che unisce noir, torbido e fantastico. È qui soprattutto Jake Gyllenhaal a reggere sulle spalle il peso di un lungometraggio coinvolgente anche quando respinge, con un Villeneuve particolarmente individuabile nella gestione del pathos e della tensione, che raggiunge il suo apice a metà, quando arriva il confronto tra i due protagonisti. Un'opera che è punto di giunzione tra Prisoners e Sicario e primo esperimento cinematografico con vibrazioni vagamente sci-fi dell'autore canadese.
10. Maelstrom
Il Maelstrom che dà il titolo all'opera seconda di Villeneuve è un vortice di dolore e depressione in cui è risucchiata la protagonista del film, Bibiane. Il regista firma una solida sceneggiatura dove il dramma personale e psicologico di una ragazza sembrano non riuscire a trovare sollievo, intercettando poi nel senso di colpa uno dei motori principali di un lungometraggio che prova a cercare nell'amore una rinascita personale, riuscendoci solo in parte. Un titolo che sfrutta un pesce parlante come narratore, sintomatico del bisogno d'evasione dell'autore verso nuovi generi, più aperti e disponibili, ma che al contempo non tenta di dare risposta al destino o al senso della vita, concentrandosi sul reale, sul dolore e la ripresa, dove il pretesto narrativo d'innesco è un incidente, a sottolineare l'inafferrabilità degli eventi, e il punto d'arrivo è l'impossibilità di capire la vita, anche per chi, come il pesce, sembra conoscerla e raccontarla con disinvoltura. Il problema principale di Maelstrom è la forma grezza dello stile dell'autore, ancora in formazione, al netto di una solidità d'intenti già evidente nel 2000.
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11. Un 32 Aout Sur Terre
Esordio alla regia di Denis Villeneuve targato 1998. Come Maelstrom, trae ispirazione da un incidente automobilistico vissuto direttamente dal regista, così impattante da divenire la base di ben due lungometraggi. A differenza della sua opera seconda, però, che affonda la sua scrittura nella depressione e nei sensi di colpa, il Villeneuve esordiente guarda al sentimentale e alla famiglia, raccontando già al debutto una protagonista femminile e il suo ruolo di donna in una società difficile, cercando a priori attraverso il cinema una risposta alla vita, un senso al tutto. In Un 32 Aout Sur Terre la risposta a tutto è un bambino, che Simone - la protagonista - decide di concepire insieme al suo migliore amico in un deserto, lontana dal trambusto metropolitano, in un ambiente spoglio e naturale, bello e difficile. Il film è figlio delle primigenie velleità artistiche di un regista alla sua prima esperienza in solitaria dietro una macchina da presa e per un lungometraggio, ma trasparivano già alcuni elementi cardine della sua autorialità. Paradossalmente, poi, il Villeneuve di 26 anni sembrava già destinato a curare un adattamento cinematografico di Dune, dove il tema del concepimento e degli incroci genetici è fortissimo, così come la ricerca di sé e ovviamente la cornice di un deserto.