"Boris c'est moi". Denis Côté non fa molto per nascondere l'origine autobiografica del suo ultimo lavoro, Boris without Béatrice, in concorso alla 66° Berlinale. Berlino ama Côté e lui ricambia partecipando con passione a tutte le attività del festival, comprese quelle collaterali. Oltre ad accompagnare il suo film, in corsa per l'Orso d'Oro, il regista quebecchese ha tenuto una masterclass in veste di esperto del Berlinale Talents e ha presentato nella Settimana della Critica il suo nuovo corto May We Sleep Soundly. "Non ho mai lavorato in tv, non ho mai girato uno spot pubblicitario" esordisce Côté. "So di essere fortunato perché non ho bisogno di girare qualcosa di commerciale per pagarmi l'affitto. Guadagno solo realizzando i miei film ed è ciò che mi chiedono di fare. Oggi non sono più un esordiente, non ho bisogno di fare un corto eppure la scorsa estate, con una troupe di due persone, ho girato due corti investendo soldi miei. Perché l'ho fatto? Perché mi piaceva l'idea di sentirmi come se avessi ancora 20 anni, perché lavorare in libertà mi fa sentire vivo".
Boris sans Beatrice è un film che nasce da una riflessione molto personale sul senso della vita e sulla natura umana. Quasi una pellicola della crisi, che ha radici profondamente autobiografiche, anche se Denis Côté ci tiene a fare dei distinguo. "A 42 anni ho girato nove film, ho visitato 40 paesi, ho un po' di soldi da parte. So di essere fortunato, ma a un certo punto mi sono guardato allo specchio e mi sono chiesto 'Sono una brava persona? Mi comporto bene con mio padre, mia madre, la mia fidanzata?'. Da qui è nata la mia riflessione su Boris. Boris sono io, ma al tempo stesso non lo sono affatto".
Una parabola morale
Che si trattasse di film di finzione o documentari artistici, Denis Côté ha sempre sottolineato il suo disinteresse nei confronti del cinema politico e sociale. L'autore canadese confessa di essere "ossessionato dalla forma. Capisco bene chi fa cinema sociale o di denuncia, ma non fa per me. Forse il cinema può cambiare il mondo, ma a me interessa il potere del cinema in quanto tale". Di conseguenza, la scelta di raccontare un dramma morale ambientato nel mondo dell'alta borghesia non nasconde, come potrebbe apparire a prima vista, una volontà critica. Anche se Boris è un industriale di successo ricco e arrogante, sposato a una donna di potere e di idee chiaramente conservatrici, non è rappresentativo di un ceto sociale, almeno nelle intenzioni del regista.
"Il mio film è un dialogo di 90 minuti tra Boris e la sua coscienza, incarnata dal personaggio di Denis Lavant. Boris non è né buono né cattivo, è umano. Ci sono un sacco di film che si fanno beffe della borghesia. Io volevo fare qualcosa di diverso, volevo descriverla con serietà. Antonioni lo ha fatto per gran parte della sua carriera. Dopo aver parlato di marginali in Curling e Vic and Flo Saw a Bear ho semplicemente cambiato ambiente". Non solo il regista non ha nessuna intenzione di prendersi gioco del suo Boris, ma anzi, pur non ammettendolo, sembra essere il primo ad assolverlo: "Spesso gli arroganti ci piacciono. Nel caso di Boris, il pubblico non può identificarsi con lui. Non è un personaggio empatico, ma sicuramente il suo modo di essere ce lo rende in qualche modo affine, anche se nella realtà non esiste nessuno come lui".
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L'elogio dell'isolamento
Boris Without Beatrice va a comporre con Curling e Vic and Flo Saw a Bear una sorta di ideale trilogia. Pur essendo molto diverse, le tre pellicole sono accomunate da quella che sembra una costante nel cinema di Denis Côté: la pulsione verso l'isolamento. I suoi personaggi spesso vivono al di fuori della società e sfuggono gli altri esseri umani. Il padre di Curling non manda la figlia a scuola, Vic e Flo si rifugiano in campagna dopo essere uscite di prigione e anche Boris ha la presunzione di poter fare a meno degli altri. "Credo dipenda in parte dal mio carattere e dall'ambiente che mi circonda" spiega Côté. "Vivo abbastanza isolato, mio padre ha pochi amici e la mia ex non ne aveva affatto. Conosco persone che non vogliono pagare le tasse e temono il governo. Questa tendenza si riflette anche nel mio lavoro. Adoro la fase di preparazione dei film, mi piace molto fare location scouting, mi trovo bene a scrivere, mi piace il montaggio, ma odio girare. Sarà perché non mi piacciono le persone".
Dalla parte del pubblico
La professata misantropia di Denis Côté sarà anche vera, ma vedendolo seduto sul bordo del palco alla fine della masterclass intento a intrattenersi con gli aspiranti cineasti qualche dubbio ci viene. Anche se non sarà facile scrollarsi di dosso la fama di autore freddo, cerebrale ed ermetico, con Boris Without Beatrice, Côté sembra aver fatto un passo verso il pubblico. Lo stesso regista ammette: "Quando ero giovane non mi preoccupavo minimamente del pubblico. Con Bestiaire c'è stato un primo cambiamento. Bestiaire è un film sul pubblico e sulle sue reazioni. Vic and Flo va ancora oltre perché è un film sulle aspettative del pubblico e anche Boris Without Beatrice si pone le stesse problematiche. Oggi ho imparato ad ascoltare le persone e ho capito l'importanza dell'opinione degli spettatori".
Da estimatore del medium cinematografico focalizzato sulla resa visiva dei suoi lavori, Denis Côté confessa, però, di non sentirsi a suo agio quando si parla di nuove tecnologie e rivela: "Con la tecnologia sono pessimo. Non guardo film di fantascienza e non sono interessato al futuro. Non sono vecchio, ma sono old fashion. Sono andato a vedere Mad Max: Fury Road in 3D e mi sono detto 'Ma cosa sto facendo'? Quando studiavo cinema avevo difficoltà a usare alcuni programmi di montaggio, ma il mio insegnante mi ripeteva che l'importante non è saperli usare, ma sapere come farli usare alle persone. E' questo il lavoro del regista".