Gli Anni Trenta sono stati un decennio cruciale e nodale per l'evoluzione della cultura e delle società del Ventesimo secolo, per una lunga serie di motivi che non staremo qui a spiegare nel dettaglio. Ma - nell'ottica di quanto ci interessa adesso - ci basti dire che un film come il King Kong di Cooper e Shoedsack (targato 1933) è al tempo stesso conseguenza e concausa di questo processo, e che risiede proprio nel suo rispecchiare un periodo tanto importante e ricco di spinte complesse e persino contrastanti che avrebbero aperto un nuovo capitolo della modernità il motivo del suo essersi radicato in maniera tanto profonda nell'immaginario collettivo.
Considerato uno dei primi film fantascientifici o persino horror della storia del cinema sonoro, King Kong raccoglieva e rielaborava molte delle istanze irrisolte e sottilmente conflittuali di quegli anni, anni in cui il mondo stava entrando di gran carriera e senza possibilità di fermarsi in quella modernità di cui oggi siamo figli, ma nei quali era ancora parzialmente possibile trovare, sognare, temere l'esotismo più estremo, l'ancestralità rimasta intatta.
Nel film del '33 si parte dall'epitome della metropoli contemporanea, New York, si giunge in un'isola rimasta appunto selvaggia e primordiale quanto le più radicate pulsioni umane e si ritorna alla modernità con un pezzo - quello più significante - di essa, nel lucido e folle al tempo stesso tentativo di conciliare antico e (post)moderno.
Alla guida di questa spedizione un regista che è imprenditore di sé stesso, è avventuriero, è documentarista; è uomo che si prepara alla costruzione della modernità. Con lui una donna, un'attrice, personaggio per sua stessa natura candido ma ambiguo e sempre pronto a cedere ai lati più oscuri della sua natura (e non è un caso che sia un furto a dare il la alla sua avventura).
Ed è nel rapporto classico ma quanto mai significativo tra la Bella e la Bestia che si esprime il massimo della conflittualità ed il massimo della conciliazione: una relazione impossibile quella tra i due, perseguita però fino all'ultimo, fin quando lo Spettacolo non mostra la sua inadeguatezza nel costringere e sublimare la Bestia e la modernità è costretta a sopprimerla proprio per poterla metabolizzare e dimenticare appieno.
Lo Spettacolo, il cinema, di cui King Kong tutto è riflesso e metafora, altro elemento nodale di quegli anni, altro tema centrale di un film immortale. Un film che Peter Jackson ama, dichiaratamente, per la fascinazione che incarna ma del quale, siamo sicuri, riuscirà anche a catturare e riprendere le visioni e le riflessioni più profonde e proprio per questo più puramente filmiche e cinematografiche.