Ha avuto una gestazione particolarmente tormentata Water, il nuovo film di Deepa Mehta, regista indiana scomoda per i gruppi fondamentalisti indù di estrema destra, che già con i suoi film precedenti aveva attirato su di sé l'odio dei leader di tali gruppi, che la accusavano di denigrare la loro religione. Nel 2000, a pochi giorni dalle riprese, una folla di fanatici ha bruciato i set già allestiti a Varanasi, distrutto le attrezzature e dato fuoco alle fotografie della regista. La lavorazione del film è così rimasta bloccata per cinque anni e solo nel 2005 ha potuto rimettersi in moto, in un posto più sicuro, lo Sri Lanka, con un nuovo cast, e nel più totale segreto. Water, storia di una bambina vedova confinata in un istituto dell'India del 1938, tra altre vedove senza più speranza, arriva questa settimana nelle sale italiane dopo il successo internazionale e rappresenterà il Canada, che lo ha prodotto, alla prossima edizione degli Oscar. Ad accompagnare la regista indiana alla conferenza stampa per l'uscita del film in Italia, il ministro Emma Bonino e Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International.
Signora Mehta, Il suo film è ambientato nel 1938. Quanto è cambiata la situazione negli ultimi decenni nella società indiana?
Deepa Mehta: Purtroppo ci sono molte affinità con la situazione odierna. Dall'ultimo censimento risulta che ci sono 31 milioni di vedove in India, 12 delle quali vivono in istituti come quelli descritti nel film. La sola cosa che è cambiata è che ora non si vedono più bambine in queste strutture, ma ci sono comunque ragazze molto, molto giovani. L'oppressione della donna non è un problema contemporaneo, ma è sempre esistito. Io sono una regista e ho voluto raccontare la storia di questa particolare oppressione sulle donne a causa della religione. Ho voluto mettere il dito nella piaga e l'unico modo che avevo per far luce su questo grosso problema era fare un film.
Perché ha scelto di girare un film su un tema così scottante in India?
Deepa Mehta: La ragione per cui ho fatto Water è il conflitto tra la fede e la coscienza. Se non ascoltiamo la nostra coscienza, ma obbediamo ciecamente alle regole che ci impone la fede, si possono fare cose terribili agli esseri umani. Credo che oggi viviamo in un mondo sempre più intollerante, in cui si sfrutta la fede per commettere atti disumani
Punto centrale del suo film è quello della discriminazione, in questo caso della donna.
Deepa Mehta: Continuiamo ad emarginare gli altri in virtù delle credenze religiose, del colore della pelle e di ragioni economiche. Sono stata in diversi paesi per promuovere il film. Negli Stati Uniti una donna mi ha detto: "Qui non riserviamo questo trattamento alle vedove, ma agli anziani"; in Australia succede lo stesso con gli aborigeni e in Canada con gli indiani.
Uno dei problemi più gravi degli ultimi anni è quello dei fondamentalismi religiosi, come quello indù della sua storia. Cosa pensa di questi gruppi così intransigenti?
Deepa Mehta: Gandhi fu assassinato da un fondamentalista indù e dopo quell'episodio il suo gruppo era stato bandito, ma ultimamente abbiamo assistito ad una sua nuova ascesa. Questa rinascita dei fondamentalismi, che è un problema comune a tutte le religioni, cattolicesimo compreso, ha a che fare con gli avvenimenti degli ultimi sette anni.
Il suo film è stato preso di mira da questi fanatici religiosi che hanno ritardato di cinque anni le riprese. Perché pensa ci sia stata questa rivolta?
Deepa Mehta: Una folla inferocita non si ferma certo a leggere la sceneggiatura di un film. Loro protestavano perché credevano che il mio film fosse contro la religione indù, perché per loro le vedove devono essere adorate perché scelgono di vivere come degli asceti. Secondo il leader il mio film metteva in dubbio questa regola perché faceva vedere che forse questo modo di vivere non era il migliore. Il giorno in cui ho deciso di scrivere Water non ho pensato che volevo lanciare un messaggio, volevo semplicemente raccontare una storia. L'argomento andava però trattato con emozione ed amore per non cadere nella propaganda. Vorrei perciò che tutti vedessero la dimensione umana ed emotiva di questa storia.
Nel film la tragica condizione della donna vedova non è solo colpa della religione, ma anche di fattori economici.
Deepa Mehta: Tutto è fatto per motivi economici, come la guerra degli Stati Uniti all'Iraq. La condizione delle vedove, la loro segregazione e oppressione, ha soprattutto ragioni economiche. Una donna costa e un istituto risolve i problemi della famiglia. Ci sono oggi alcune organizzazione che stanno aiutando le vedove insegnando loro un mestiere, perché è solo attraverso l'indipendenza economica che queste donne possono diventare libere.
Water è stato scelto come rappresentante del Canada all'Oscar grazie alle nuove regole introdotte dopo il caso Private dello scorso anno, film presentato dall'Italia, ma rifiutato perché recitato in una lingua diversa da quella del paese d'origine. Oggi, invece, un film come il suo, girato in hindi, può concorrere per il paese che l'ha prodotto. E' felice di questa decisione?
Deepa Mehta: Per me è un enorme onore. La cosa che mi da più speranza è che forse i confini geografici possono essere cancellati e nel mondo di oggi è una cosa molto importante. Ognuno di noi ha il diritto di sentirsi parte del paese in cui ha scelto di vivere.
Onorevole Bonino, perché ha scelto di essere presente oggi alla presentazione di Water?
Emma Bonino: Mi occupo di diritti civili ed in particolare di diritti al femminile. La questione dei diritti civili è così grande che deve essere all'attenzione del governo e dei partiti, ma anche della cultura e, quindi, del cinema. Ho deciso di essere qui per vari motivi, tra cui ragioni che riguardano il mio ministero. L'India sarà il paese focale del 2007 e il rapporto tra il nostro paese e quello indiano non vuole essere solo commerciale, ma anche culturale e di amicizia. Inoltre, questo film parla di un tema di grande attualità, come il rapporto tra religione e società. Bisogna stare attenti alle interpretazioni conservative della religione. La pratica descritta nel film è umiliante e risponde a precetti religiosi interpretati in termini misogini.
Riccardo Noury, perché Amnesty International ha scelto di patrocinare questo film?
Riccardo Noury: La nostra campagna mondiale "Mai più violenza sulle donne" vuole porre fine ad un fenomeno che colpisce una donna su tre, e in molti paesi addirittura due su tre, e che è il vero e proprio scandalo del secolo scorso, ma anche di quello che è appena iniziato. E' una campagna che non solo vuole delle leggi adeguate, ma anche la loro applicazione. La forza di questo film è il non limitarsi a descrivere qualcosa che avviene in un paese in un dato momento storico, ma dà un'immagine globale di un problema grave e molto diffuso: la violenza delle spose bambine e lo status infame di penitenza e discriminazione in cui vengono a trovarsi. Ci sono ottanta milioni di matrimoni precoci, decisi dalle famiglie, con tutte le complicazioni e le forme di vera e propria tortura all'interno del matrimonio. E' un fenomeno che si nutre di impunità. La scena che più mi ha colpito del film è stata quella in cui lo sguardo della piccola protagonista, verso la fine, perde la speranza e la fiducia nell'umanità. Lei sa che chiedere punizione per le persone che le hanno fatto del male è un appello che probabilmente non verrà raccolto da nessuno. Una donna che subisce una violenza sessuale ha davanti a se tanti ostacoli che la portano a vergognarsi e a non chiedere nemmeno giustizia. Quando c'è un film così coraggioso ed esteticamente bello Amnesty International è lieta di appoggiarlo. Se questi temi duri vengono resi popolari e fruibili da un pubblico di massa il cinema acquista una grande importanza anche sotto il profilo dei diritti umani.