Tutte le persone di successo in questi tempi sembrano essere nevrotiche. Forse dovremmo smetterla di dispiacerci per loro e iniziare a dispiacerci per me, che sono confusamente normale.
Fra le sequenze in assoluto più iconiche dell'immaginario cinematografico di ogni tempo si può annoverare senz'altro il bacio appassionato fra Burt Lancaster e Deborah Kerr sdraiati sulla spiaggia, con le onde che si infrangono ai loro piedi. È un paradosso legato alla grande attrice scozzese: se la scena d'amore di Da qui all'eternità costituisce una delle vette di erotismo per gli standard della Hollywood degli anni Cinquanta, in compenso Deborah Kerr ha incarnato un modello di femminilità ben più posata e rassicurante. L'eleganza e la compostezza, del resto, sono virtù che la Kerr ha saputo trasferire a tutti i suoi personaggi: donne affascinanti quanto affettuose e spesso 'materne', capaci di imbrigliare perfino i sentimenti più impetuosi dietro un autocontrollo che ne testimonia la forza granitica. Anche per questo il sorriso di Deborah Kerr, seppure talvolta velato di malinconia, costituisce una parte integrante del cinema britannico e americano a cavallo fra gli anni Quaranta e Sessanta.
Nata a Glasgow il 30 settembre 1921, Deborah Jane Trimmer assume il nome d'arte di Deborah Kerr (da un antico cognome dei suoi progenitori) quando decide di dedicarsi alla recitazione, attività portata avanti in parallelo con la danza. A neppure vent'anni, nel 1941, si ritrova di colpo a diventare una star in Gran Bretagna, e nel 1943 interpreta il primo, superbo classico della sua filmografia: Duello a Berlino, melodramma a sfondo bellico per la regia di Michael Powell ed Emeric Pressburger, in cui la Kerr si cimenta addirittura in un triplice ruolo. Hollywood non si fa attendere: nel 1947 debutta nel suo primo film americano, I trafficanti, con Clark Gable, mentre nel 1949 divide la scena con Spencer Tracy nel dramma familiare Edoardo, mio figlio di George Cukor, che le fa guadagnare la sua prima candidatura all'Oscar. Nell'arco di una dozzina d'anni la Kerr si aggiudicherà un totale di ben sei nomination, tutte da protagonista, mentre nel 1994 le verrà tributato il premio Oscar alla carriera.
Gli anni Cinquanta saranno un decennio d'oro per Deborah Kerr, grazie a titoli di enorme successo come Le miniere di Re Salomone (1950) e Quo Vadis? (1951). A valorizzare il suo talento, però, sono soprattutto quei ruoli in grado di metterne in luce la sensibilità espressiva: ad esempio Tè e simpatia di Vincente Minnelli (1956), nel ruolo di una donna che offre l'unica fonte di conforto a un adolescente maltrattato dai suoi coetanei, e poi ancora Buongiorno tristezza! di Otto Preminger (1958), Tavole separate di Delbert Mann (1958) e I nomadi di Fred Zinnemann (1960), nei panni della moglie del mandriano Robert Mitchum nella selvaggia terra australiana. La straordinaria prolificità della Kerr va diminuendo nel corso degli anni Sessanta (come accade nello stesso periodo a molte altre attrici della sua generazione), ma la diva scozzese continuerà a raccogliere consensi in palcoscenico e ad essere ricordata per le sue grandi interpretazioni del passato. Interpretazioni fra le quali, per festeggiare il centenario dell'attrice, abbiamo selezionato in ordine cronologico cinque tra i migliori film di Deborah Kerr, quelli che più hanno scandito il suo percorso nella storia del cinema.
1. Narciso nero (1947)
Dopo Duello a Berlino, nel 1947 Michael Powell ed Emeric Pressburger tornano a dirigere Deborah Kerr in un altro titolo consacrato come un classico della loro filmografia: Narciso nero, trasposizione del romanzo di Rumer Godden ambientato alle pendici dell'Himalaya, suggestivo scenario di un convento di missionarie inglesi gestito da suor Clodagh. All'interno di un antico palazzo che in precedenza aveva ospitato un harem indiano, il ruolo della Kerr è quello di una giovane donna che, facendo leva sulla ragione e sulla fede, tenta strenuamente di opporsi alle inquietudini e agli impulsi irrazionali incarnati da una delle monache, suor Philippa (Flora Robson). Il volto di Deborah Kerr si impone dunque come una maschera di solennità sulla quale compaiono tuttavia le crepe dell'angoscia, nel momento in cui le sicurezze della donna e l'equilibrio della sua piccola comunità cominciano a incrinarsi di fronte alle pressioni di forze misteriose. L'attrice tornerà a vestire i panni di una monaca dieci anni più tardi, nel 1957, in un altro tra i suoi film più fortunati, L'anima e la carne di John Huston.
2. Da qui all'eternità (1953)
Uscito con enorme successo nel 1953, Da qui all'eternità rappresenta uno dei picchi assoluti della popolarità di Deborah Kerr, nonché la pellicola più famosa della sua carriera. Adattamento diretto da Fred Zinnemann dell'omonimo best-seller di James Jones, Da qui all'eternità è un racconto a sfondo bellico che si svolge in una base militare americana nelle Hawaii nel 1941, nei giorni precedenti all'attacco a Pearl Harbor: qui si intrecciano le esistenze di un gruppo di personaggi, fra cui Karen Holmes, moglie di un ufficiale dell'esercito, la quale inizia una relazione amorosa con il Sergente Milton Warden (Burt Lancaster). Se la scena di passione fra Lancaster e la Kerr sulla riva dell'oceano fa ormai parte della cultura popolare, l'interpretazione dell'attrice scozzese riesce a suggerire il conflitto interiore di una donna divisa fra il proprio ruolo di moglie e la passione per un altro uomo: un conflitto sottolineato in silenzio sul viso della Kerr nell'amaro finale. Ricompensato con otto premi Oscar, tra cui miglior film, il melodramma di Zinnemann farà ottenere a Deborah Kerr la sua seconda nomination.
3. Il Re ed io (1956)
Altro grande classico della Hollywood degli anni Cinquanta che vede Deborah Kerr come protagonista è Il Re ed io, diretto nel 1956 da Walter Lang sulla base del musical teatrale di Richard Rodgers e Oscar Hammerstein II, ispirato a sua volta al romanzo Anna e il Re di Margaret Landon. L'immagine amorevole e benevola della Kerr risulta perfetta per la parte di Anna Leonowens, istitutrice britannica che giunge nella Bangkok dell'Ottocento in qualità di insegnante per i quindici figli di Mongkut (Yul Brynner), Re della Thailandia; ma le differenti prospettive di Anna e del sovrano li porteranno a confrontarsi con ostinazione e durezza. Tra i maggiori campioni d'incassi del decennio in patria, Il Re ed io segna un altro tassello fondamentale nella filmografia della Kerr (doppiata da Marni Nixon nelle esibizioni canore), che per questo ruolo riceverà la nomination all'Oscar e il Golden Globe come miglior attrice.
4. Un amore splendido (1957)
Il periodo d'oro nella carriera della diva scozzese prosegue nel 1957 con L'anima e la carne ma ancor di più con Un amore splendido, altra pellicola entrata nel novero dei classici del cinema romantico hollywoodiano (l'American Film Institute la inserirà tra i dieci film d'amore più importanti di sempre). Remake di Un grande amore del 1939, firmato a distanza di quasi vent'anni dallo stesso regista dell'originale, Leo McCarey, Un amore splendido unisce i toni della commedia sentimentale e del melò per dipingere l'incontro tra Nickie Ferrante (Cary Grant), noto playboy prossimo a convolare a nozze, e Terry McKay: un incontro che culmina nell'innamoramento fra i due e nella promessa di rivedersi in cima all'Empire State Building. Dai toni ironici delle prime sequenze al sommesso dramma vissuto da Terry nella seconda parte del film, Un amore splendido funziona proprio grazie alle sfumature di realismo che la Kerr conferisce al suo personaggio.
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5. Suspense (1961)
A nostro avviso, però, l'interpretazione più complessa e avvincente dell'attrice britannica è quella fornita nel 1961 in The Innocents, noto in Italia con il titolo Suspense: un'eccellente trasposizione de Il giro di vite di Henry James, per la regia di Jack Clayton. Dal capolavoro a tinte gotiche di James prende vita infatti un memorabile horror psicologico in cui Deborah Kerr presta il volto a Miss Giddens, la nuova governante di una coppia di bambini che vivono in un maniero di campagna; ma giorno dopo giorno, in lei si insinua il sospetto che sui due ragazzi penda un atroce pericolo, legato a sinistre presenze soprannaturali. In un racconto imperniato sul dubbio e sul "non detto", la Kerr si rivela una protagonista davvero magistrale: nella sua Miss Giddens si alternano premura, determinazione e una sottile vena di paranoia. E alla Kerr spesso basta uno sguardo per far emergere il groviglio di pensieri e di emozioni di una donna costretta a fronteggiare una minaccia che ha i contorni indistinti dell'allucinazione e dell'incubo.
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