Non possiamo non avere in mente serie come Friday Night Lights e Parenthood mentre scriviamo la recensione di Dear Edward, l'ultima creatura seriale di Jason Katims, questa volta per Apple Tv+, disponibile dal 3 febbraio con appuntamento settimanale. In un certo qual modo un erede ideale per This Is Us, un dramma "puro" che racconta l'elaborazione del lutto da parte di un gruppo di persone attraverso gli occhi del bambino protagonista del titolo. Un gruppo che diventa a suo modo una famiglia mentre ogni nucleo a propria volta cerca di affrontare la perdita in modo personale, dimostrando e ricordandoci cosa ci rende umani: i legami tra le persone, la connessione più profonda che esista e che ci permette di sopravvivere.
Caro Edward
Tratta dall'omonimo bestseller di Ann Napolitano, Dear Edward guarda il mondo attraverso gli occhi del dodicenne Edward (un sorprendente ed esordiente Colin O'Brien, per ricordarci i casting pazzeschi a misura di bambino che fanno oltreoceano), unico sopravvissuto a un terribile incidente aereo. Qui le possibili suggestioni lostiane però c'entrano poco, se non per l'aura quasi sacra che avvolge il ragazzino dopo l'accaduto agli occhi del mondo. Nello schianto Edward ha perso la propria famiglia, così come gli altri parenti dei passeggeri deceduti. Sua zia Lacey (l'ex Orange is the New Black Taylor Schilling) deve provare a rimettere insieme i pezzi della vita del nipote ma anche della propria, dato che è molto tempo che prova ad avere un figlio senza riuscirci.
La compagnia aerea provvede a creare un gruppo di supporto per l'elaborazione del lutto ed è lì che persone apparentemente senza alcun legame scopriranno che forse possono diventare l'uno per l'altra la famiglia che hanno perduto. Tra questi l'apparentemente superficiale e sulle nuvole Dee Dee (Connie Britton che torna a lavorare con Katims dopo il film e la serie di Friday Night Lights), vedova con figlia a carico il cui marito le ha tenuto nascosti molti aspetti della loro vita; la giovane preda degli ormoni della gravidanza Linda (Amy Forsyth) che ha perso il compagno che non sapeva fosse incinta; Adriana (Anna Uzele), che ha perso la nonna, deputata al Congresso, nell'incidente aereo proprio quando le aveva detto che non avrebbe preso il suo posto a fine mandato; Kojo (Idris DeBrand), che ha perso la sorella aspirante attrice nello schianto e si ritrova con la nipote a carico, che non riesce più a parlare per il trauma subito; il silenzioso e taciturno Steve (Ivan Shaw).
Sei gradi di elaborazione del lutto
Più che Lost o Fringe o Manifest, Dear Edward ricorda Six Degrees - Sei gradi di separazione, la serie sfortunata e durata pochissimo ma che raccontava in modo molto intelligente la teoria dei gradi di separazione, ovvero che ognuno di noi è legato a chiunque altro nel mondo attraverso una catena di sei persone, che magari non conosce ancora. Qui le vite di Lacey, Dee Dee, Linda, Adriana, Kojo e Steve si intersecheranno in modi davvero inaspettati e sorprendenti, dato che ad unirli sarà un evento tragico e traumatico come l'incidente aereo e un bambino "del miracolo" come Edward. Un dodicenne che si ritrova solo al mondo e simbolo di un potere che non sente di avere, ma potrebbe scoprire il contrario guardando i legami che riuscirà indirettamente a creare tra le persone che sono rimaste. È su questo che Jason Katims e gli autori vogliono provare a riflettere, mentre mettono in scena questo dramma umano e familiare, attraverso una sceneggiatura piena di cuore ma mai patetica o stucchevole (ma una lacrimuccia non potrà non scendere durante la visione). Complici una colonna sonora pacata e rilassante, una fotografia che gioca simbolicamente con la luce e una regia che affronta primi piani, dettagli e soggettive oniriche per provare ad entrare nella mente e soprattutto nell'animo dei personaggi.
Casting perfetto e scelte coraggiose
Connie Britton torna a interpretare con grazia e puntualità una rappresentante apparentemente snob dell'alta borghesia dopo The White Lotus, ma scopriremo ben presto che si tratta di una donna semplicemente profondamente sola, ben lontana dalla sua Nicole Mossbacher. Sola come si sentono tanti al mondo senza ammetterlo. Sola come si sentono quelli che sono rimasti in vita dopo la tragedia dello schianto aereo nello show. Taylor Schilling colora di tantissime sfumature il proprio personaggio, che deve bilanciare l'avere ciò che ha sempre desiderato nella maniera peggiore possibile. Anna Uzele carica subito d'energia lo spettatore con la sua Adriana, divisa tra ciò che è e ciò che vorrebbe essere, non volendo venire fagocitata e rovinata dalla politica come succede a molti. Ma a sorprendere più di tutti è sicuramente Colin O'Brien. Il casting fatto dalla serie nell'unire personalità conosciute dello showbiz televisivo ad altre più o meno emergenti è uno dei punti di forza dello show, tanto da utilizzare alcuni volti noti per personaggi che ci lasciano già nell'incipit della storia raccontata. Una scelta coraggiosa e azzeccata.
Uno show che parte da un plot non scontato e che sorprende: inizialmente si può pensare che da quell'aereo scenderanno solamente alcuni passeggeri, e non solamente uno. È qui che proprio come in Lost e The Leftovers (che parlava guarda un po' di coloro che sono rimasti e non coloro che se ne sono andati) è importante non risolvere il mistero di come sia stato possibile l'incidente, ibridandolo col genere thriller e crime, ma piuttosto affrontare l'enigma di come andare avanti nella vita reale, rimanendo nel genere drama, affidandosi al credere in qualcosa di più grande, che fa accadere ogni cosa per un motivo. Anche se il quadro generale non ci è immediatamente chiaro e siamo troppo devastati per vederlo. Per Katims è sempre stata importante la squadra, la comunità anche in Parenthood. La famiglia, a volte proprio per davvero, non è quella in cui nasci ma quella che ti scegli, in cui cresci e in cui diventi il te stesso che sei destinato ad essere.
Conclusioni
Un drama puro non contaminato da altri sottogeneri ma dalla dicotomia scienza e fede. È questo che emerge dalla recensione di Dear Edward, in cui Jason Katims affronta i drammi familiari e umani con il suo tocco delicato ma mai stucchevole, affidandosi a un cast talentuoso fatto di nomi noti e giovani promesse e tornando al nucleo della comunità, della squadra, della famiglia a lui caro fin dai suoi primi lavori.
Perché ci piace
- La penna col tocco inconfondibile di Jason Katims.
- Il cast ottimamente scelto, a partire da Connie Britton e Taylor Schilling fino alla sorpresa emergente Colin O’Brien.
- Anche il cast secondario di chi è rimasto sull’aereo è scelto con cura.
- La messa in scena che utilizza colonna sonora e fotografia per trasmettere emozioni.
Cosa non va
- Chi cerca l’ibridazione e il crime/soprannaturale potrebbe rimanere deluso.