Inutile nasconderlo: era l'appuntamento che tutti noi aspettavamo con maggior trepidazione, l'incontro sognato da ogni cinefilo che si rispetti, nonché l'evento di punta a sancire la chiusura della dodicesima edizione del Festival di Roma. L'arrivo di David Lynch all'Auditorium, anticipato sabato mattina da una nebbia degna di Twin Peaks, è stato accolto da ovazioni degne di una rockstar, con i critici e il pubblico che non hanno lesinato entusiasmo per il regista settantunenne nato in Montana.
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Protagonista prima di una conferenza stampa fluviale, durata quasi un'ora, e poi di una master-class pomeridiana, al termine della quale ha ricevuto un premio alla carriera dalle mani di un febbricitante Paolo Sorrentino ("Sarei venuto qui anche in barella"), David Lynch, serafico come da tradizione, ha parlato del proprio cinema, delle sue passioni e di tanto altro ancora. Incalzato sulla possibilità di una quarta stagione di Twin Peaks, David si è schermato con uno sbrigativo "Troppo presto per dirlo"; non si è dichiarato affatto pentito di aver rinunciato alla regia de Il ritorno dello Jedi ("Non era roba mia"), e a proposito dell'aggettivo "lynchiano" ha commentato: "Il mio dottore mi ha detto di non pensare a cose del genere". A chi, invece, gli ha domandato con ben poca eleganza se temesse di restare coinvolto in uno degli scandali sessuali di Hollywood, l'imperturbabile Lynch si è limitato a rispondere sornione: "Stay tuned!".
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Gli attori, David Bowie, l'arte e la TV
David Lynch, ha dei modelli a cui si ispira? Cosa pensa dei frequenti paragoni con Werner Herzog?
No. Mi piacciono Franz Kafka, Jacques Tati e tante cose diverse, ma prendo ispirazione dalle idee: le idee sono come un regalo di Natale. Werner mi piace molto, come persona e come regista: è ossessivo, e io amo le persone ossessive.
Qual è il suo ricordo di David Bowie, con cui ha collaborato spesso?
Come tutti, amavo David Bowie, è stata un'emozione lavorare con lui. Gli avevo proposto di partecipare alla terza stagione di Twin Peaks ma aveva rifiutato, senza dirmi perché... ora purtroppo lo so. Quando recitò in Fuoco cammina con me si sentiva a disagio per il suo accento, ma io lo trovavo eccellente: per rassicurarlo gli dissi che tutti i poliziotti della Louisiana parlano come David Bowie. I cantanti sono abituati ad esibirsi in pubblico, e questo di solito li rende dei grandi attori.
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Invece qual è il suo ricordo di Harry Dean Stanton, da poco scomparso?
Amavo Harry Dean Stanton, era un attore molto spontaneo. Subito dopo le riprese di Una storia vera abbiamo passato una serata in un bar con altri amici, e Harry ci ha raccontato un suo sogno su dei conigli di cioccolato, ci ha fatto ridere tantissimo. Poi ha continuato con altre storielle, e per diciotto volte è riuscito a farci ridere sempre di più. È stata un'esperienza magica, pronunciava ogni frase con innocenza... era un uomo fantastico!
Qual è il suo rapporto con gli attori? Lascia loro spazio per l'improvvisazione?
Gli attori danno una loro interpretazione al copione, ma poi durante le prove ti rendi conto di come la loro interpretazione differisca dalla mia interpretazione di queste idee, e allora devi far capire loro qual è la tua visione. Solo a quel punto, quando gli attori hanno compreso, possiamo intraprendere insieme la strada giusta, quella tracciata dall'idea.
Cosa pensa delle serie televisive?
Il cinema oggi è in difficoltà, gli spettatori dal grande schermo cercano l'azione; il cinema d'autore va scomparendo e la sua casa sta diventando la TV, che ti concede una grande libertà. L'unico problema è la minore qualità del video e del sonoro, ma la TV sta facendo straordinari progressi anche in quella direzione. Le mie serie preferite sono Mad Men e Breaking Bad.
La musica è utile come fonte d'ispirazione?
La musica è un'arte talmente astratta da poter suscitare emozioni e idee. Per esempio ho scritto Velluto blu ascoltando Cajkovskij, ma anche la versione di Bobby Vinton di Blue Velvet mi ha dato tante idee. La musica è potentissima.
E per quanto riguarda l'arte, invece?
Amo Francis Bacon, è uno dei più grandi pittori di sempre: amo la sua distorsione della figura umana. Spesso ricevo delle idee dai quadri, e alcune idee si possono trasferire su tela, come in un fenomeno di azione e reazione. E poi adoro le opere di Edward Kienholz, mi piace la sua tridimensionalità. A volte nei miei quadri pratico dei fori e in mezzo ci metto qualcosa, oppure le aggiungo sulla tela.
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Nella mente di David Lynch: l'ispirazione e le idee
Come procede dopo aver ricevuto un'ispirazione?
Le idee si materializzano in testa all'improvviso: le vediamo e le sentiamo nella nostra mente, e poi vanno rielaborate per iscritto servendoci delle parole. Quando si va a rileggere, a partire dai frammenti iniziali le idee prendono una forma completa: sono come le tessere di un puzzle, da cui poi nasce una sceneggiatura.
Qual è l'utilità della meditazione trascendentale per il suo lavoro?
Il mondo è pieno di stress e negatività, e la meditazione trascendentale apre le porte alla creatività e all'amore. Il dolore e la tristezza uccidono la creatività: se riesci a bloccarli, quindi, le idee cominciano a manifestarsi. Esiste un immenso campo di energia a cui tutti noi possiamo accedere attraverso la meditazione trascendentale, ed è una sensazione bellissima. In questo campo siamo tutti una cosa sola, è il grande "Sé" con la S maiuscola. Nella Bibbia questa totalità è chiamata il Regno dei Cieli, ed è il futuro di tutti noi. Gli esseri umani possiedono un enorme potenziale.
Anche la sofferenza può essere fonte di creatività?
Questo assunto dell'artista sofferente è nato in Francia durante il Romanticismo, penso fosse dovuto all'assenza di compagnia per la notte. Ma un artista non deve soffrire, deve comprendere la sofferenza; la depressione invece non ti permette neppure di alzarti dal letto. Dovremmo essere felici, goderci il mondo... e il cibo italiano! Io lavorando mi diverto, e la meditazione aumenta il divertimento insito in ogni attività... perfino quando si tratta di pulire il bagno!
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City of Stars: da Philadelphia a Los Angeles
Era già appassionato di cinema all'epoca in cui studiava arte?
No, non ero un cinefilo. La mia maggiore ispirazione è arrivata da Philadelphia: una città sporca, lurida, corrotta, violenta, folle... la amo per tutti i motivi sbagliati! Amo la sua architettura e i suoi colori, gli interni dalle tinte improbabili, l'ambiente connotato dalla presenza di fabbriche: il mondo di Eraserhead - La mente che cancella deriva appunto da Philadelphia.
Cosa la affascina invece di Los Angeles, in cui ha ambientato altri suoi film?
Sono arrivato a Los Angeles da Philadelphia negli anni Settanta, di notte: la mattina dopo mi sono svegliato in una luce stupenda. Amo le luci di Los Angeles e il fatto che nel suo panorama non si vedano confini: è un simbolo della possibilità di inseguire i propri sogni. Amo Los Angeles perché è stata la dimora dell'età d'oro del cinema, e lo spirito di quell'epoca lì è ancora vivo.
Si è pentito di aver girato Dune, per il quale non ha avuto piena libertà creativa?
Dune è l'unico dei miei film che forse non mi è piaciuto fare. Ho firmato per Dune con Dino De Laurentiis consapevole che non sarei potuto intervenire sul montaggio finale: sapevo che era un errore, ma ho firmato lo stesso. L'unico modo per realizzare Velluto blu però era avere un totale controllo sul progetto, e in quel caso Dino ha mantenuto la sua parola dandomi una totale libertà.
A cosa è stata dovuta la sua 'conversione' dalla pellicola al digitale?
La celluloide è straordinariamente bella, ma è pesante, si sporca, si rovina e si spezza. Il digitale si sta avvicinando sempre di più alla bellezza della celluloide, e dopo aver girato in digitale puoi apportare migliaia di cambiamenti. Con il digitale si sta schiudendo un mondo meraviglioso.
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Gli idoli di David: Kubrick, Wilder e Fellini
Parliamo dei suoi film preferiti: come mai ha scelto Lolita e Viale del tramonto, e da cosa deriva il suo omaggio a Gordon Cole in Twin Peaks?
Stanley Kubrick è grandioso in ogni dettaglio, e Lolita è un film perfetto, lo adoro. Amo l'ossessione di Humbert Humbert. Viale del tramonto invece lo considero un film malinconico sui desideri non realizzati, e Billy Wilder è uno dei più grandi registi di tutti i tempi. In una scena Cecil B. DeMille dice: 'Datemi Gordon Cole al telefono'. Credo che Wilder abbia preso l'idea per quel nome dall'incrocio fra due strade nel percorso verso gli studi della Paramount, via Gordon e via Cole. Wilder era un maestro nella costruzione di ambienti molto evocativi, per esempio con la villa di Norma Desmond, che nella sua decadenza possiede una profonda bellezza. Viale del tramonto è un'opera che cattura appieno lo spirito della vecchia Hollywood.
Il terzo film che ha scelto è 8½: cosa ne pensa di Federico Fellini?
Fellini è uno dei grandi maestri del cinema di ogni tempo: mi ha ispirato senz'altro, i suoi film per me sono opere d'arte. Una sera ero a cena con Silvana Mangano, Isabella Rossellini e Marcello Mastroianni, una cena interamente a base di funghi, e spiegai che amavo molto Fellini. La mattina dopo Mastroianni mandò un'automobile a prendermi e mi organizzò un'intera giornata in compagnia di Fellini, che si trovava a Cinecittà a girare Intervista. Alcuni anni dopo tornai a Roma per girare uno spot per la Barilla; Fellini era stato ricoverato in ospedale, e chiesi al mio direttore della fotografia, Tonino Delli Colli, di poter andare a fargli visita. Discutemmo per mezz'ora di come stesse cambiando il cinema: Fellini era molto triste per questo cambiamento, poiché non si parlava più del cinema come accadeva in passato e non si parlava più di lui. Prima di andar via gli dissi che tutto il mondo stava aspettando il suo prossimo film; due giorni più tardi entrò in coma e non si svegliò più, morì due settimane dopo. In seguito mi hanno raccontato che quel giorno, dopo che me ne ero andato, Fellini disse di me: 'È proprio un bravo ragazzo!'.