Se si guarda ai film o ai documentari dedicati alla figura di Pier Paolo Pasolini, senza andare troppo indietro con la memoria fino a Pasolini - un delitto italiano di Marco Tullio Giordana, presentato nel 1995 a Venezia52, basterebbe guardare ai titoli usciti negli ultimi due anni, in concomitanza con l'anniversario dei quarant'anni dalla morte dell'artista friulano, per capire quanto ancora ci sia voglia e bisogno di approfondire e conoscere sul più grande intellettuale del secolo scorso. Dal controverso Pasolini di Abel Ferrara, con il quale il regista newyorchese ha infiammato e diviso la platea della 71ª Mostra del Cinema di Venezia, al documentario di Emanuela Audisio, Pier Paolo Pasolini - Maestro e Corsaro, a Pasolini. Il corpo e la voce, fino all'indiretto Alfredo Bini, ospite inatteso di Simone Isola, - tutti premiati ai Nastri d'Argento 2016 -, nel quale il regista racconta la storia semisconosciuta di uno dei più importanti produttori cinematografici italiani, al quale dobbiamo quell'assoluto capolavoro che è stato e continua ad essere Accattone e molti altri film dello scrittore/regista.
A quarant'anni da quella notte tra il primo e il due novembre 1975, fatta di sangue e menzogne, David Grieco, amico ed ex assistente di Pasolini, realizza La macchinazione, pellicola tratta dal suo omonimo romanzo pubblicato da Rizzoli negli scorsi mesi, per accendere un fascio di luce nel buio di anni di depistaggi, segreti e falsità partendo da Petrolio, il romanzo incompiuto con il quale Pasolini ricostruiva i fitti intrecci della corruzione politica italiana, per mostrare come le sue indagini su Eugenio Cefis, presidente della Montedison, fondatore della loggia P2 e burattinaio invisibile di un potere tentacolare e nebuloso che ha cambiato, nell'ombra, il profilo del nostro Paese, siano il reale movente che ha portato all'uccisione di una voce scomoda e pericolosa, con il coinvolgimento di forze politico/criminali.
Per farlo Grieco, parte dal rapporto, affatto occasionale come si è voluto far credere per anni, tra Pasolini e Pino Pelosi, "ragazzo di vita" che lo scrittore frequentava da quattro mesi e dal furto e il relativo riscatto del negativo di Salò o le 120 giornate di Sodoma che lo portò, con l'inganno, sulla sua Alfa Romeo GT 2000 grigio metallizzata, su quel campetto di calcio dell'Idroscalo di Ostia dove venne ucciso da piccoli criminali, tutt'oggi non ancora identificati, che agivano per conto di poteri ben più grandi di loro. La morte di Pier Paolo Pasolini, dunque, non sarebbe il risultato, sfociato in tragedia, di un approccio sessuale respinto da Pelosi ma un nome da aggiungere alla lunga lista di vittime della strategia della tensione. Una verità, o meglio, la verità che si è sempre saputa ma che è sempre volontariamente rimasta niente più che una teoria complottista.
Un film di denuncia
"Questo film è un atto di coraggio, così come il libro dal quale prende vita. Si sono susseguiti molti ostacoli durante la sua realizzazione e non ci sarebbe stato nessun film senza Guido Bulla, che purtroppo non c'è più, e Marina Marzotto, rispettivamente alla prima sceneggiatura e produzione. Un produttore "normale" non l'avrebbe mai fatto, non si sarebbe mai preso questi rischi". Esordisce così David Grieco prima di rispondere alle domande dei giornalisti presenti alla conferenza stampa del suo film. Una dichiarazione istintiva, un grazie doveroso a chi gli ha permesso di realizzare La Macchinazione, pellicola con la quale il regista ricostruisce, seppur con la dovuta dose di finzione narrativa, gli ultimi tre mesi della vita dell'artista friulano, portando a galla realtà finora sempre ufficiose. "Vorrei che La Macchinazione facesse discutere come accadeva tanto tempo fa quando intorno ai film nascevano dibattiti importanti e magari anche aiutare l'avvocato Stefano Macconi che, con la criminologa Monica Ruffini e Paolo Bolognesi, hanno fatto riaprire il caso sull'omicidio dopo la scoperta di cinque DNA ignoti sulla scena del crimine, portando all'istituzione di una commissione d'inchiesta parlamentare".
Un film con il quale il regista denuncia la concussione di poteri - politico, criminale e massonico - che hanno portato all'uccisione del regista de Il vangelo secondo Matteo, allontanando l'immagine scabrosa, provocatoria e scandalosa con la quale un'Italia di allora e anche di oggi continua ad etichettare Pasolini. "Non abbiamo presentato il film alla Festa del Cinema di Roma ma in altri Festival sì. Ora però capisco che doveva deflagrare prima in Italia e poi uscire in altri paesi. È un film nostro e sul nostro rapporto con Pasolini. Dopo tanti anni c'è ancora un modo diverso di percepirlo qui rispetto al resto del mondo. All'estero la sua omosessualità non è mai stata un problema, non è mai stato definito un pedofilo" sottolinea il regista che rimarca il castello di bugie costruito all'indomani della sua morte, soffermandosi sui tragici attentati e omicidi avvenuti nel nostro Paese negli anni '70 e dei quali ancora sembra lontano il capitolo finale. "Di tutte le mistificazioni che ci sono state dalla bomba di Piazza Fontana in poi, il delitto di Pasolini è quello che ne contiene di più. Non c'è nessuna parola credibile nella verità ufficiale".
Nel film si nota la premura di Grieco nel cercare di ricostruire a tutto tondo il Pasolini uomo e intellettuale, inserendo nella pellicola quanto più possibile per riportare a pieno le sue idee, la sua lungimiranza, il suo sentire, scivolando in sottolineature che stridono ma che a detta del regista: "Sono volute. Ho fatto un film anni '70. Il primo giorno sul set mi sembrava di essere nel dicembre del '75. Il mio è un film di pancia su un'intellettuale ideologo complesso", aggiungendo un commento sulle scelte delle musiche del film, la leggendaria suite di Atom Heart Mother dei Pink Floyd. "Ho scelto le musiche dei Pink Floyd perché sono quelle della mia vita. Anche Pasolini, per i suoi lavori da regista, usava sempre musiche pre-editate e mi sono detto che dovevo usare qualcosa che avesse senso per me. Non ho fatto un film "figo", così come non faceva film "fighi" Pasolini. Sarebbe stato il più grande insulto che potessi fargli" raccontando, inoltre, di come è stato relativamente semplice avere il benestare del gruppo inglese: "Gli ho scritto una lettera e gli ho inoltrato il copione. Tutti ci prendevano per pazzi. Mi hanno risposto e hanno detto che per Pasolini e per questo progetto ci avrebbero dato le loro musiche, aggiungendo che volevano che spendessimo il meno possibile per i diritti".
Un cast corale attorno a Ranieri/Pasolini
La macchina da presa per la durata del film indugia su primi piani e dettagli del volto di Pier Paolo Pasolini, per farci sentire tutta l'oppressione e la fatica vissute dallo scrittore, dubbioso sull'esito e la direzione che stava prendendo Petrolio e consapevole del rumore che avrebbe causato una volta pubblicato, grazie anche ai paragrafi "rubati" a Giorgio Steimetz e al suo Questo è Cefis. Un ruolo interpretato con bravura e generosità da Massimo Ranieri la cui somiglianza con Pasolini rende ancora più intensa la sua prova attoriale e per la quale non c'è stato bisogno di ricorrere a nessun tipo di trucco durante le riprese. "L'unico elemento "aggiuntivo" sono stati gli occhiali", sottolinea il cantante/attore, raccontando di come si è avvicinato al progetto che l'ha portato ad accettare un ruolo così impegnativo: "Prima di dire sì a questo film ho rifiutato molte sceneggiature perché si concentravano solo sulla sua omosessualità. Io e David ci conosciamo da quarant'anni e quando mi ha proposta la parte, dicendomi che avrebbe scritto la sceneggiatura solo se avessi accettato, gli ho confidato le mie paure", ma, continua Ranieri, "Non ho neanche finito di leggerla che ci siamo ritrovati a discuterne insieme a casa mia. Gli dissi che anche se firmavo il contratto, per la paura che il ruolo mi incuteva, avrei potuto non presentarmi sul set. E così è stato! Ho dovuto ritardare di una settimana l'inizio delle riprese perché mi è venuta una febbre psicosomatica!".
Nel cast del film anche Libero De Rienzo, Matteo Taranto - "Ho cercato di rendere il mio personaggio il più umano e buffo possibile perché, senza giustificarlo, ne capivo le fragilità, sospendendone il giudizio" - e l'esordiente Alessandro Sardelli, rispettivamente nei ruoli di Antonio Pinna, Sergio e Pino Pelosi. "Non ho letto il copione e non ho visto il film fino ad oggi perché volevo essere anche io uno strumento di questa "macchinazione"" racconta De Rienzo che aggiunge: "I fatti reali su Pinna sono venuti fuori dopo la conclusione del film. Era l'incarnazione di un modo di essere. Strumento al servizio della Banda della Magliana prima e per uno degli omicidi più oscuri del nostro Paese poi". L'uomo svanito nel nulla e proprietario dell'altra Alfa GT, uguale a quella di Pasolini, presente sul luogo del delitto quella notte del '75 e usata per ucciderlo per poi essere ritrovata, abbandonata, nel parcheggio dell'Aeroporto Leonardo Da Vinci nel '76.
Ruolo fondamentale è quello del giovanissimo esordiente Alessandro Sardelli chiamato ad interpretare la pedina dell'omicidio Pasolini: Pino Pelosi: "Adesso, a distanza di tempo, riesco a capire meglio quello che ho fatto. Quando mi è stata consegnata la sceneggiatura l'ho divorata in un pomeriggio. Il mio personaggio, nella sua innocenza, ricorda a Pasolini Ninetto Davoli e ho cercato di immedesimarmi in questo ragazzo che aveva all'incirca la mia età, aiutato dal grande privilegio di lavorare al fianco di attori incredibili che mi hanno aiutato e dai quali ho rubato con gli occhi sul set" al quale si riallaccia Massimo Ranieri che ricorda le settimane di lavorazione trascorse gomito a gomito. "Il nostro è stato un rapporto tenero. Attraverso le nostre cene, anche fuori dal set, riuscivo sempre a guardarlo come Pier Paolo vedeva Pelosi".
Prima di concludere la conferenza stampa David Grieco ci ha tenuto a sottolineare, ancora una volta, l'importanza che ha avuto per lui il riportare più fedelmente possibile sullo schermo il Pier Paolo Pasolini che ha conosciuto e con il quale ha lavorato, provando, attraverso il film, a dargli tutta la giustizia che merita, giudiziaria e umana. "Volevo si capisse e sapesse che Pasolini era un uomo molto convinto delle proprie idee ma anche capace di fare autocritica. Forse l'ho smitizzato, come mi ha detto Marina, ma sono contento di averlo fatto".