Un David di Donatello come miglior attore protagonista. Quando lo hanno annunciato, ieri, la commozione era evidente. Non solo in lui, ma in platea, fra tutti i registi, gli attori, gli artigiani del cinema che c'erano. Perché, se vinci il David alla tua prima nomination, e hai settantacinque anni, e mezzo secolo di lavoro dietro le spalle, qualcosa di eccezionale c'è.
Di eccezionale c'è il talento di Renato Carpentieri. Una carriera diesel; con tanto teatro sperimentale, di ricerca, di dibattito, di proposta politica. Il cinema lo scopre a cinquant'anni. O meglio, è il cinema a scoprire lui. Con la stessa persona a cui ieri ha idealmente dedicato il premio. "Quel signore in platea", dice, e indica Gianni Amelio, "ha rischiato su di me scegliendomi quando non c'era nessun motivo per farlo. E ha dimostrato che rischiare a volte è importante".
"Amelio mi ha preso per Porte aperte, ventotto anni fa. Mi ha chiamato ancora per Il ladro di bambini. E mi ha scelto di nuovo adesso, rischiando ancora una volta. Vale la pena rischiare. Ce ne sono tanti di attori bravi, in Italia. A volte è necessario rischiare, scegliendoli". Carpentieri lo ha abbracciato forte, ieri, appena sceso dal palco. Anche questa è tenerezza.
Rinascere a settantacinque anni. Accade a Renato Carpentieri, classe 1943, che cesella nelle pieghe dello sguardo, nelle sfumature della voce, nella temperatura dello sguardo il protagonista de La tenerezza di Gianni Amelio. Da quando il film è uscito, Carpentieri ha vinto il Nastro d'argento, il Globo d'oro. Il premio Flaiano, alla carriera, d'accordo, ma una carriera illuminata da quest'ultima accelerazione. E ieri, il David di Donatello. "In realtà, mi sento come se fosse una mia prima volta. È come se fossi per la prima volta accolto dentro la società del cinema".
Aveva iniziato nel 1990 con Amelio, in Porte aperte insieme a Gian Maria Volonté; ha proseguito con Martone, con i fratelli Taviani, con Nanni Moretti - "Caro diario" - e con Gabriele Salvatores in "Puerto Escondido". E nella sera dei David di ieri, c'è ancora un altro pezzettino del suo talento: è lui a dare la voce a uno dei personaggi di "Gatta Cenerentola". Ma la consacrazione arriva per "La tenerezza". E pensare che, nel manifesto del film, il suo volto non compariva neppure.
Carpentieri, è un momento incredibile...
"Sì, sono ancora un po' frastornato".
Tanti i film che ha interpretato: il pubblico, paradossalmente, però, sembra scoprirla adesso.
"Ma li capisco. Non pretendo che la gente mi riconosca: di film in definitiva ne ho fatti pochi, e raramente in ruoli da protagonista. Se adesso è cambiato qualcosa, devo tutto a questo film, a questo personaggio. A Gianni Amelio che mi ha permesso di lavorarci su, di trovare delle profondità in esso. Ne sono usciti dei silenzi, degli sguardi, delle cose che rendono il film diverso da tutti gli altri. E poi c'è il lavoro di un direttore della fotografia di livello mondiale come Luca Bigazzi. Io stesso, vedendo il film, mi sono visto migliore di come sono!". Sorride.
Gianni Amelio è il anche regista che la ha scoperta.
"Sì, con Porte aperte. Mi ha scelto rischiando, mi aveva soltanto visto a teatro, e ha deciso di darmi un ruolo importante. Il giorno in cui abbiamo girato la prima scena, che era la prima scena che in assoluto ho fatto al cinema, dovevo confrontarmi con Volonté. È stata una prova decisiva. Alla fine del ciak, ho capito dai loro sguardi che non era andata male. E anche con Gian Maria abbiamo stretto un lungo rapporto di amicizia, di rispetto".
Ha spesso fatto più di un film con gli stessi registi. Martone, Salvatores, Amelio...
"Moretti no. Avrei voluto: ma con Nanni è difficile fare il secondo film! Lui cambia, prova differenti maschere. In generale, mi piace lavorare con le stesse persone. Un film è anche un atto di fiducia, fra un regista e i suoi attori".
Lei ha iniziato a fare teatro negli anni '70, con un impegno sociale, politico. Oggi come è la situazione del teatro?
"E' peggiorato. Nel senso che l'attività di ricerca non viene promossa. Vengono privilegiati i teatri stabili, che volenti o nolenti sono spinti a produrre opere di consumo. Il teatro oggi funziona con i personaggi televisivi, che portano sempre pubblico, o con i soliti classici. Si fanno lavori che costano molti soldi, e con quegli stessi soldi ci vivrebbero cinque compagnie indipendenti".
In generale avrebbe voluto fare più cinema, o è andata bene così?
"Avrei voluto fare più cinema, ma anche più teatro. Ma sono sempre stato un outsider, non ho frequentato una scuola, non ho intessuto rapporti, amicizie... Sono sempre stato indipendente. E in fondo, questa cosa non mi dispiace".