Scrivere la recensione di DAU. Natasha, lungometraggio russo presentato in concorso all'edizione 2020 della Berlinale, è un'impresa in parte ardua e ingrata, per motivi strettamente paratestuali: se infatti di solito è d'uopo fare a meno di considerazioni sulle origini di un progetto cinematografico, con eccezioni a seconda dei singoli casi, per il film di Ilya Khrzhanovskiy è impossibile ignorare tutto ciò che lo circonda, essendo il singolo titolo in realtà parte di un tutto, un'operazione ambiziosa e transmediale, tra cinema e installazioni, che il cineasta porta avanti dal 2006, anno in cui ha inaugurato il macroprogetto DAU, nato inizialmente come "semplice" biopic dello scienziato sovietico Lev Landau.
Ma andiamo con ordine: nel 2006 Ilya Khrzhanovskiy ha fatto costruire il set del DAU Institute in un edificio in Ucraina, creando la scenografia più elaborata di tutto il cinema europeo, su una superficie di 12.000 metri quadri. All'interno di quello spazio l'intero cast ha vissuto costantemente nei panni dei vari personaggi, improvvisando intorno a temi suggeriti dal regista e vivendo in loco per tre anni, 24 ore al giorno, per un lungo periodo di riprese avviato nel 2008, riproducendo le modalità di vita sovietiche dal 1938 al 1968 (DAU. Degeneration, anch'esso presentato a Berlino ma fuori concorso, e di una durata di sei ore, si conclude con la distruzione del laboratorio di Landau e il vero disfacimento del set). Dopodiché il regista ha accantonato il tutto per un paio d'anni, per poi rimettere mano alle 700 ore di girato, montando non solo il vero e proprio biopic di Landau, ancora inedito, ma svariati film incentrati su singoli episodi e personaggi, per un totale di quattordici lungometraggi finora, presentati in parte a Parigi nel 2019 e ora, tramite la selezione berlinese, pronti a raggiungere un pubblico più vasto.
Storia di una cuoca
Di cosa parla, quindi, DAU. Natasha? È incentrato sulla figura titolare (Natalia Berezhnaya), che lavora come cuoca nel centro di ricerche e interagisce quotidianamente con praticamente tutto il personale. La sua vita di tutti i giorni è caratterizzata da una rivalità con la collega Olga e una relazione con lo scienziato francese Luc Bigé, in visita all'Istituto. Una routine che sarà distorta con l'arrivo del KGB, nella persona di Vladimir Azhippo (l'attore, come il personaggio, ha fatto veramente parte dell'organizzazione, e come la maggior parte degli interpreti "recita" con il suo vero nome, elidendo il confine tra realtà e finzione). Inizia così un'esperienza poco piacevole per Natasha, coinvolta in una situazione che va ben oltre ciò a cui è abituata.
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Un esperimento ambizioso ed estremo
A metà tra il cinema e l'esperimento antropologico (fatte le dovute distinzioni, il progetto di Khrzhanovskiy ricorda un po' The Truman Show), il singolo film è per certi versi difficile da giudicare come entità singola, separata dal suo contesto produttivo decisamente fuori dal comune. D'altro canto, essendo stato riportato che ogni lungometraggio ha uno stile proprio (non possiamo affermarlo in maniera definitiva avendo visto solo uno dei quattordici film che compongono il macrocosmo che è DAU), può essere che questo fosse il più "convenzionale" da inserire in un contesto relativamente mainstream come il concorso ufficiale del Festival di Berlino: un dramma incentrato su una donna comune, in un contesto dove alcune situazioni scritte (l'interrogatorio) incontrano scene di banale quotidianità, improvvisate come se si trattasse della vera vita delle persone coinvolte. Una donna che, essendo incarnata da un'attrice che è effettivamente diventata Natasha per un periodo protratto, senza mai uscire dal personaggio, trascende il concetto della pura figura di finzione e diventa un essere umano a tratti fin troppo reale.
Questo confine tra il reale e l'immaginazione del regista è molto labile, e rende la visione in parte difficile, con diverse sequenze forti, non sempre simulate, che mettono a dura prova lo stomaco dello spettatore. Così facendo, però, il cineasta restituisce un ritratto piuttosto verosimile della vita ai tempi del regime sovietico nella sua forma più crudele, portando i suoi personaggi e il suo pubblico all'estenuazione. E al netto della natura parziale di ciò che abbiamo visto nelle quasi due ore e mezza della storia di Natasha, si tratta di un intrigante biglietto da visita per il resto dell'operazione DAU, a patto che si abbiano i nervi abbastanza saldi per affrontare l'esperienza nella sua interezza.
Conclusioni
Chiudiamo la recensione di DAU. Natasha con una certa sensazione di angoscia, stremati dai 145 minuti di un film che, anche estrapolato dal suo contesto originale, mette in evidenza la natura sperimentale del suo contenuto e la volontà di mettere in dubbio il confine tra realtà e finzione. Non è una visione facile, ma l'ambizione di Ilya Khrzhanovskiy è evidente in ogni singola inquadratura e nella magnifica non-performance della protagonista Natalia Berezhnaya.
Perché ci piace
- Natalia Berezhnaya è dolorosamente intensa.
- L'ambizione del progetto è evidente anche in questa sede "singola".
- Il film funziona anche senza conoscere l'intero progetto DAU...
Cosa non va
- ... Ma è evidente che si stia vedendo solo una piccola parte di un tutto.
- Alcune sequenze possono mettere a dura prova lo spettatore.