Passo dopo passo, Netflix continua ad espandersi. Con una produzione originale dopo l'altra, amplia un catalogo già ricco per assicurare ai suoi utenti un numero di contenuti originali, che non possono trovare da nessun'altra parte, sempre maggiore sia in numero che in varietà. Una pluralità di voci assicurata anche dando spazio ai nuovi paesi in cui arriva il popolare servizio streaming, realizzando le sue prime produzioni europee che si vanno ad affiancare a quelle americane, britanniche e degli altri paesi che hanno iniziato questo cammino.
E così dopo Francia e Spagna, negli ultimi mesi è arrivato l'agognato debutto della prima produzione nostrana, Suburra, e la prima serie tedesca di Netflix, Dark, una serie che ci aveva incuriositi sin dalle prime immagini viste lo scorso inverno e che non solo ha confermato le aspettative, ma ci ha sorpresi per la sua capacità di immergere lo spettatore nei suoi tanti misteri, diventando a tutti gli effetti un unico complesso enigma che si rivela man mano che ci si orienta nei numerosi livelli di cui è composta la storia per tutti i dieci episodi che la compongono.
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C'era una volta Lost
Se avete indagato su Dark online, avrete notato che più di una testata ha paragonato la nuova serie Netflix a quello che si può considerare uno dei suoi cult, quello Stranger Things che ha catalizzato l'attenzione nell'ultimo anno e mezzo con il suo approccio nostalgico alla cultura degli anni '80. Ciò è comprensibile perché anche Dark ha una parte della sua storia, sulla quale non anticiperemo molto, che si colloca in quel periodo, ma la similitudine si limita a questo: diverso è il tono, diverso l'intento, diverso il modo in cui l'ambientazione degli anni '80 è trattata. Se proprio un confronto vuole essere cercato, è più facile avvicinare la serie di Baran bo Odar e Jantje Friese a Lost e la sua capacità di immergere lo spettatore nella struttura a scatole cinesi dei suoi misteri. Lost e I segreti di Twin Peaks, ci hanno detto gli autori nel corso del nostro incontro berlinese, e sono riferimenti comprensibili guardando Dark.
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Più volte, infatti, guardando i dieci episodi che la compongono, ci siamo ritrovati a pensare a quanto hype la serie avrebbe potuto sollevare con una programmazione tradizionale, con una cadenza settimanale tra un episodio e l'altro che permettesse ai suoi spettatori di fare supposizioni, ragionare, discutere. Ma si tratta di un'altra televisione che forse non potrà più esistere e che nel caso di Dark, per come la Friese ha sviluppato e scritto gli episodi, non sarebbe stata realizzabile: la serie tedesca di Netflix chiede dedizione e attenzione per seguire lo sviluppo delle sue linee narrative, ma è un'attenzione che viene ampiamente ripagata dalla qualità e profondità che restituisce.
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A spasso nel tempo
Se abbiamo già detto che una porzione della storia di Dark è ambientata negli anni '80, la vicenda prende le mosse nell'immediato futuro. Si alternano infatti due piani narrativi separati da 33 anni, quello del 2019 e del 1986, per seguire dei casi che appaiono simili o quantomeno ricorrenti. C'è la sparizione di alcuni ragazzi a far decollare una storia che coinvolge quattro famiglie e che impegna i detective Ulrich Nielsen e Charlotte Doppler, emotivo il primo, più pragmatica e metodica la seconda; c'è una misteriosa caverna in qualche modo collegata alla vicenda; c'è la cittadina, Winden, con tutti i suoi segreti e misteri di carattere quotidiano che coinvolgono i membri della comunità; c'è la centrale locale, che si ricollega ad una sottotrama legata al nucleare che rimanda all'incidente di Chernobyl dell'86; c'è, soprattutto, una gestione dei diversi piani temporali, con tutti i paradossi e le correlazioni del caso tra un periodo storico e l'altro.
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Una serie da binge-watching
La natura della programmazione Netflix e l'approccio impostato sul binge watching permettono alla Friese di non doversi preoccupare di accompagnare lo spettatore da un episodio all'altro: non ci sono i cosiddetti spiegoni, non c'è necessità di agevolare la comprensione dei passaggi più complessi o di semplificare i collegamenti tra i personaggi e tra i piani temporali. L'autrice va dritta per la sua strada, sviluppa la storia, ne costruisce incastri e riferimenti incrociati, riuscendo a gestire i tempi della narrazione coadiuvata dalla regia attenta e puntuale di Baran bo Odar ed un uso suggestivo della colonna sonora, scegliendo quando accelerare, quando fornire informazioni per rendere più chiaro il mistero, quando complicarlo ulteriormente fino ad un finale di stagione che lascia con la voglia di vedere altro.
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Nino D'Angelo è meglio di Falco
Se l'uso dell'ambientazione non è paragonabile a quanto fatto per Stranger Things, questo non vuol dire che mancano riferimenti e citazioni: ci sono canzoni degli anni '80 a fare da contrappunto al racconto: c'è il bizzarro riferimento al nostro Nino D'Angelo e Falco che dà il titolo a questo paragrafo, ci sono Nena ed altri esponenti della musica tedesca di quegli anni, ma ci sono anche collegamenti più sottili e ricercati: avrete fatto caso al dettaglio dell'impermeabile giallo presente anche nel poster di Dark, che è un ovvio riferimento a Stephen King ed al suo It che va al di là del recente adattamento, tanto che un certo gusto kinghiano è riconducibile a diverse situazioni e atmosfere della serie, così come c'è un non so che di Twin Peaks in alcune situazioni della cittadina che fa da sfondo alla storia, ma non mancano riferimenti ad opere che trattano i viaggi del tempo ed i suoi paradossi, Ritorno al futuro su tutti.
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Insomma Dark attinge e cita, ma lo fa con una consapevolezza di sé e del proprio contesto narrativo che le evita di diventare derivativa di altre opere, ma originale e intelligente nell'approccio alla propria mitologia ed i propri misteri. Dark non è né Stranger Things né Lost, è essenzialmente sé stessa e crediamo che ne sentiremo parlare per alcuni anni.
Movieplayer.it
4.0/5