Pochi l'hanno visto nel ruolo di James Dean, e di questo è a dir poco dispiaciuto, ma a 31 anni Dane DeHaan può dirsi uno degli attori più eclettici della propria generazione. A partire dalla serie tv In Treatment questo biondino dalle labbra sensuali e lo sguardo temerario non si è mai fatto sfuggire l'occasione di mettersi in gioco attraverso progetti cinematografici sempre molto diversi tra loro. Dopo aver visitato l'universo Marvel (The Amazing Spider-Man 2: Il Potere di Electro), raccontato uno degli episodi più drammatici della Beat Generation (Giovani ribelli - Kill Your Darlings) e sperimentato il thriller (La cura dal benessere) è arrivato ad essere protagonista di Valerian e la città dei mille pianeti.
Il nuovo attesissimo film di Luc Besson è nelle nostre sale il 21 settembre ma ha già ricevuto recensioni durissime da parte della critica internazionale. "Il frontrunner per i Razzie Awards", l'ha definito l'Hollywood Reporter. Non abbastanza per demoralizzare l'attore originario della Pennsylvania che afferma con disinvoltura di leggere con piacere tutte le recensioni, anche quelle negative. Lo abbiamo incontrato a Cannes dove ci colpisce per l'aspetto, notevolmente più giovane della sua età anagrafica, e un'autoironia difficilmente riscontrabile in altri suoi colleghi, talvolta perfino più navigati.
Leggi anche: Luc Besson contro Captain America, i cinecomics e la "supremazia USA"
Maledizione James Dean
Da dove nasce la sua passione per la recitazione?
Che io ricordi ho sempre desiderato diventare un attore, sin da bambino. Il mio percorso finora è stato molto fortunato perché subito dopo aver concluso gli studi di recitazione ho avuto l'occasione di lavorare e crescere sul campo.
Considera l'interpretazione di James Dean un momento chiave della sua carriera?
No, è stata un'esperienza che mi ha insegnato tanto ma continua a sorprendermi che i giornalisti me lo chiedano perché credo che purtroppo Life sia stato visto da troppe poche persone a causa di alcuni problemi di distribuzione. È un film di cui sono molto orgoglioso e mi sarebbe piaciuto avesse avuto più fortuna. Considero la partecipazione a In Treatment la vera svolta.
Accetterebbe il ruolo in un'altra serie tv?
Mai dire mai ma non è una cosa a cui ambisco. Mia moglie lavora per la tv e la ammiro perché hanno davvero dei ritmi incredibili. A me piace lavorare con calma e senza fretta. In Treatment era un set televisivo anti-convenzionale dove avevamo il tempo di entrare nel personaggio ed esplorare ogni angolo della sua personalità. È uno show atipico ecco perché sono riuscito a godermelo. Le serie non riesco a seguirle neanche da telespettatore, richiedono troppo impegno. L'ultima è stata Breaking Bad.
Leggi anche: Bryan Cranston: "Un film su Breaking Bad? Una pessima idea"
Sognando Leonardo DiCaprio
Sin dagli esordi è riuscito ad alternare cinema indie a grandi produzioni hollywoodiane. Che differenze ci sono?
Ci sono grandi differenze ma mi appassionano in egual misura. Essere parte del cast di un blockbuster ti consente di poter dire sì ad un piccolo film. Allo stesso tempo una buona prova in un piccolo film ti permette di essere notato dagli studios. Per un attore è molto stimolante poter alternare. Scelgo la varietà dei progetti per mettermi alla prova.
Di istinto quale dei due ambienti predilige?
Non riuscirei a scegliere. Ogni tanto è bello sfidare la propria natura e lasciarsi andare emotivamente come accade nel cinema d'autore, altre indossare il costume da supereroe e salvare il mondo. Ma c'è una costante: lavorare tanto sui personaggi per capirne istinti e motivazioni.
Le sue più grandi fonti di ispirazione?
Tra i colleghi ci sono tre attori che per me hanno fatto la differenza: Philip Seymour Hoffman, Al Pacino e James Dean. Mi piacerebbe poter vantare la carriera di Tom Hanks e Leonardo DiCaprio. Tra i registi mi piacerebbe moltissimo lavorare con Paul Thomas Anderson e Wes Anderson.
Leggi anche: Un mondo dentro un sogno: viaggio nelle complessità di Vizio di forma di Paul Thomas Anderson
Capitolo Valerian: al diavolo le critiche!
Com'è stato lavorare con Luc Besson?
Uno spasso! È stato il set più divertente su cui abbia mai lavorato. Ama il suo lavoro, ha le idee chiare e questo gli consente di essere molto rilassato. Valerian è un film unico che dipende non solo dalle sue decisione ma da quelle dei responsabili di altri 12 reparti. Il capitano della nave è lui. È bellissimo lavorare ed avere così tanto tempo. Questo film è una sua creatura.
E che rapporto ha con le critiche?
Credo che nel mio lavoro siano essenziali per crescere. Non vedo perché non dovrei leggere le recensioni dei film in cui recito.
Qual è la parte del suo lavoro che detesta?
Trovo molto difficile trovare un equilibrio tra la mia vita privata e quella professionale. Sono sempre in viaggio per lavoro ma cerco di trovare il modo e il tempo per prendermi cura di me stesso, della mia famiglia e della relazione con mia moglie. Vorrei poter stare più a lungo con lei, è molto importante per me.
Leggi anche: The Kid: Dane DeHaan tra i protagonisti del film di Vincent D'Onofrio
L'uomo oltre l'attore
Si considera un ambizioso?
Mi do molto da fare ma non so dirle fino a che punto arriva la mia ambizione. La realtà è andata già ben oltre le mie aspettative. Sento di aver già realizzato il mio sogno. Se mi chiedessero cosa sceglieresti tra una vita intera da attore e la vittoria di un premio Oscar sceglierei senza dubbio la prima. L'anno scorso ho lavorato con Alicia Vikander sul set di Tulip Fever, un'attrice e una ragazza favolosa. Lei sì che la considererei una persona ambiziosa. Non a caso ha vinto un Oscar!
Ha molti amici ad Hollywood?
Qualcuno ma i miei amici più cari non hanno nulla a che vedere con il cinema.
Ma è lì che vive?
No, abito a Brooklyn, il mio posto preferito al mondo, dove mi sento veramente a casa. A Los Angeles ci vado per lavoro ma cerco di andarci il meno possibile. Viverci non porta nulla di buono. C'è un'atmosfera troppo rilassata e non riuscirei a concentrarmi.