Dall'Ottocento con furore
Si può tranquillamente dire che il fatale incontro tra Dostojevskij e quel grande maestro del cinema italiano che è Montaldo fosse annunciato da tempo, considerando che diversi anni fa il regista era già andato vicino alla realizzazione del film. L'interesse, all'epoca, si era manifestato per iniziativa congiunta dello sceneggiatore Paolo Serbandini e di Andrei Konchalovsky, figura di punta del cinema russo (allora si sarebbe detto sovietico). Ed è proprio con Paolo Serbandini, passati anni da quando il progetto iniziale venne abbandonato, che Giuliano Montaldo e la co-sceneggiatrice Monica Zapelli si sono ritrovati a scrivere I demoni di San Pietroburgo, pellicola molto attesa anche per un altro motivo: era da Tempo di uccidere (1991) che il cineasta ligure non girava un'opera di fiction!
Col carico di tutte queste aspettative, la visione de I demoni di San Pietroburgo può facilmente lasciare sconcertati. Mix di suggestioni colte e turbamento, il film proietta la figura di Dostojevskij in una dimensione che oscilla tra le note biografiche e quelle situazioni che citano espressamente i romanzi del grande scrittore russo, la sua poetica carica di tormenti esistenziali. Il risultato dell'operazione appare diseguale. Vi sono scene che comunicano vibranti emozioni ed altre in cui si avverte un tono un po' troppo leccato, artificioso, tale da dirottare l'attenzione sui costumi e su altri elementi scenografici, non diversamente da quanto farebbe un buon sceneggiato televisivo. Per fortuna di carne al fuoco ce n'è parecchia, con una trama che arricchisce di tensioni molto moderne il quadro sociale instabile e ricco di fermenti del vecchio Impero Russo, qui ritratto zoomando elegantemente sulla San Pietroburgo del 1860. Il punto di partenza è il sanguinoso attentato ad un parente dello Zar, compiuto da un gruppo di sovversivi che nella composizione e nel modus operandi può essere facilmente accostato alle famigerate "cinquine", le cui azioni scellerate vengono accuratamente descritte in un capolavoro della letteratura mondiale come I demoni. Molte altre sono le citazioni letterarie di cui è cosparso il film, da Delitto e castigo a Il Grande Inquisitore. Così come in una scena dal retrogusto sapientemente beffardo, piuttosto rara in un film che si compiace di esibire toni sempre più drammatici e cupi, si allude con ironia alla rivalità tra Fjodor Mikhajlovic Dostojevskij e un altro importante scrittore russo, Turgenev. Già, perché è proprio colui che scrisse I demoni e l'Idiota il protagonista di questa storia, ovvero l'intellettuale cui viene confidato all'improvviso un terribile segreto, riguardante il successivo attentato che i cospiratori hanno in mente di effettuare.
Quale è la differenza tra un gesto nichilista, come l'azione progettata da quei giovani, ed un gesto radicale, riconoscibile nelle dichiarazioni sulla libertà di pensiero e nell'impegno politico che condussero lo stesso Dostojevskij ad un passo dalla fucilazione, pena poi commutata in dieci anni di lavori forzati in Siberia? Chi sono i cattivi maestri? Quali sono, invece, le prospettive attuabili da un letterato che non voglia essere servo della cultura egemone e di un potere altrettanto sanguinario di chi lo combatte con le bombe? Sono interrogativi sempre validi, attuali, quelli su cui lavora Montaldo. Ad accompagnarlo, in questa indagine che riesce a tratti nell'impresa di conferire all'ambientazione ottocentesca tratti dinamici e coloriture vivide, vi è un plotoncino di interpreti in grande spolvero. Spiccano per intensità i dialoghi tra Miki Manojlovic, un Dostojevskij perennemente angustiato, ed il gendarme zarista impersonato da Roberto Herlitzka col magnetismo che lo contraddistingue. Ugualmente incisive e ispirate le interpretazioni di Anita Caprioli, Filippo Timi, Carolina Crescentini, Sandra Ceccarelli e della rivelazione Giordano De Plano nei panni di Dostojevskij giovane, notevoli qui le scene successive alla deportazione. Il film di Montaldo, girato a San Pietroburgo e in alcune location piemontesi, deve poi molto all'eccellente fotografia di Arnaldo Catinari, capace di plasmare luci e penombre come nelle migliori occasioni.