La sua fama lo precede. La sua fame pure. Divoratore di uomini e bambini, creatura immonda, essere avido nella sua ferina cocciutaggine, l'orco è senza dubbio uno dei mostri più temibili mai creati dall'immaginazione umana. Selvaggio e fisicamente imponente, dotato di zanne, spessa pelle per lo più verdastra e un linguaggio basilare a portata di grugnito, l'orco possiede origini diverse quanto antiche, tutte radicate nella cultura occidentale. Nella mitologia romana era un demone degli Inferi, padrone del celebre cane Cerbero e punitore spietato di anime perdute; nel folklore fiabesco, alimentato dalla penna di Charles Perrault, aveva sembianze più umane ma non meno disturbanti, dipinto come gigante peloso e maleodorante, visto come essere solitario, pericoloso, spesso capace di mutare forma, armato di clava e talmente intento ad ascoltare i brontolii dello stomaco da usare poco il cervello.
L'orco delle fiabe è quindi un gigante barbuto che si nutre di bambini, carceriere di principesse e timore di interi villaggi. Ma la più consolidata declinazione dell'essere orchesco ci arriva dai miti norreni, ancora una volta da quella grandiosa opera seminale che fu Beowful, poema epico alla base della letteratura europea che diede vita all'enorme Grendel, creatura notturna perennemente immersa nell'oscurità. Quel che emerge, poco alla volta, è un gigante calvo dalle fattezze mostruose che terrorizza regni interi e vive rintanato in una grotta. È questo l'archetipo che, tra le tante leggende medievali, ispirerà poi la decisiva immaginazione di J.R.R. Tolkien che con il suo Il Signore degli Anelli introduce un concetto molto più articolato e vasto dell'essere orco (ne parleremo tra poco).
L'impronta tolkieniana diventa un punto di riferimento, ed echeggia dentro giochi di ruolo, giochi da tavolo e videogames (Dungeons & Dragons, Warhammer, Warcraft) per poi approdare (in maniera tardiva) anche al cinema. Insomma, dall'antica Grecia ai pixel digitali videoludici, l'orco si è imposto come essere aberrante ad ogni latitudine narrativa e storica, trovando nel cinema tante delle sue storiche sfumature. In attesa di visitare il regno di Azeroth conoscerne meglio le abitudini culturali nell'imminente Warcraft - L'inizio, che si preannuncia un inedito spaccato sociale sui popoli orcheschi, armiamoci di scudo e tappiamoci il naso, alla scoperta di questa belva violenta ma dentro cui qualcuno ha persino trovato tracce di insperata umanità.
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Che razza di orco! : Il Signore degli Anelli
Rieccoci a lezione di fantasy dal professor Tolkien, lasciapassare per quel vasto e popolato mondo che è la Terra di Mezzo. Se prima de Il Signore degli Anelli l'orco era stato rappresentato come belva solitaria, sempre descritta come mostro asociale da combattere e temere, Peter Jackson traduce su pellicola un inedito concetto di razza. Gli orchi della trilogia tolkieniana sono un popolo vero e proprio, dotato di un sistema linguistico ben preciso (il linguaggio nero), ma talmente eterogeneo da includere delle sottocategorie dalle distinzioni basilari. Gli orchetti di Moria, un formicaio di mostriciattoli amanti del buio e di arco e frecce, non vanno certo confusi con i fetidi, piccoli goblin appassionati di succulenti hobbit, né con gli imponenti Uruk-hai, abili e possenti guerrieri comandati da Lurtz, nato dalla viscere della terra in una placenta di terra e fanghiglia, assassino dell'indimenticato Boromir/ Sean Bean in una delle più intense scene mai girate da Peter Jackson. Quindi, se i più solitari troll restano creature isolate, ogni razza di orchi ha un carattere distintivo, una sua propensione ben definita. Alcuni sono abili nel forgiare armi, altri sono stupidi zucconi facili all'ira, altri ancora si organizzano in enormi eserciti di guerrafondai, fedeli armi letali, obbedienti allo stregone bianco Saruman.
Alla base della loro atavica ferocia però, c'è un dramma antico che Tolkien descrive nella sua opera più "mitologica", ovvero Il Silmarillion. Gli orchi infatti discenderebbero dagli elfi, resi schiavi e imbastarditi da un antico angelo caduto di nome Melkor che ne ha deturpato per sempre la natura. Ma questo non impietosisce nessuno: ne Il Signore degli Anelli l'orco è un nemico, crudele, spietato, e persino imprevedibile (pensiamo al varco creato durante la Battaglia del Fosso di Helm). Per tutta la trilogia, noi siamo con la Compagnia nel seguirne le tracce, tenendo sempre a mente l'ultima, epica battuta di Aragorn ne La Compagnia dell'Anello: "Andiamo a caccia di orchi".
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Sciocco di un troll: Harry Potter e la pietra filosofale
Ci perdonino subito i più severi e precisi amanti dei bestiari fantasy, ma qui vogliamo essere generosi con la putrida razza in questione e abbracciare anche cugini lontani come i troll. Lo facciamo perché il troll ha permesso al cinema di mettere in scena un'altra caratteristica spesso attribuita agli orchi: la stupidità. Già ne La Compagnia dell'Anello avevamo avuto un assaggio di una versione molto violenta di troll, incapace di parlare, ma ferocissimo e duro da abbattere, ma è in Harry Potter e la pietra filosofale, non a caso l'episodio più spensierato e fiabesco della saga, che il troll conosce un piccolo momento di gloria. L'enorme mostro irrompe nei sotteranei di Hogwarts, scuotendo una serena cena scolastica; il pavido professor Raptor ne annuncia la presenza svenendo, mentre Ron lo sottovaluta, ricordando ad Harry l'ottusità tipica dei troll. Poi ecco il fatidico faccia a faccia nel bagno delle ragazze, con Hermione che si trova di fronte ad un bestione tutt'altro che sveglio a prima vista: orecchie a sventola, grugnito incomprensibile e improbabile gilet a coprirne il corpulento busto. Un'apparenza che, però, tradisce la pericolosità del troll che di colpo inizia a devastare tutto con il suo immancabile bastone. Affrontare il mostro servirà ad Harry, Ron ed Hermione come primo, involontario addestramento, un tutorial per testare affiatamento e prime formule magico. Il gigantesco troll messo al tappeto da tre bambini, con tanto di bacchetta nel naso e ammonito come "cervello di gallina". Non proprio una bella figura.
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Grassi, cantanti e demoni albini: Lo Hobbit
Terra e via di mezzo tra le due categorie appena analizzate, la trilogia de Lo Hobbit con il suo tono sospeso tra fiaba spensierata e oscuro high fantasy, ha messo in scena entrambe le versioni orchesche: una più giocosa e un'altra ben più oscura. Da una parte troviamo i tre cuochi troll, protagonisti di uno siparietto impietoso per la loro razza; minacciosi ma creduloni, imponenti quanto ingenui, i tre vengono raggirati dalle parole di un furbo Bilbo e poi trasformati in pietra dal provvidenziale arrivo di Gandalf il Grigio. È poi il turno di un personaggio strambo e poco amato dai fan, perché protagonista di una sequenza abbastanza straniante. Siamo nella sotterranea Città dei Goblin, confuso villaggio tribale sospeso nel vuoto, composto da costruzioni in legno e abitato da tante piccole bestioline mostruose.
La compagnia di Thorin viene portata di forza al cospetto del Grande Re Goblin, essere tracotante e talmente pieno di sè da mettersi a cantare a squarciagola strane canzoni. Il solito Gandalf gli darà la fine che merita. Discorso a parte per il terribile Azog, affascinante orco albino che cavalca un enorme warg. L'orco ricreato da Jackson, assai carismatico, dotato di ficcante parlantina e segnato da cicatrici e amputazioni, è un degno villain, nemico giurato dei nani e martellante ossessione del vendicativo Thorin. E infatti il loro lungo duello, nel concitato finale de Lo Hobbit: La Battaglia delle Cinque Armate , è tra le migliori sequenze del tanto discusso ritorno nella Terra di Mezzo.
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L'eccezione e la parodia: Shrek
Anno florido per la creatura verdognola, il 2001, dopo il primo capitolo di Harry Potter e l'esordio di Frodo & Compagnia, vede il dirompente arrivo di un personaggio subito amato da tutti: Shrek. Con la Disney in crisi d'identità e la Pixar in fase embrionale, la DreamWorks crea il suo idolo in vena di ironia e necessarie flatulenze ("meglio fuori che dentro", ricordate?). La sua storia è ispirata ad un libro illustrato di William Steig, il suo nome, tradotto in tedesco, significa "paura", ma è tutto uno scherzo, perché Shrek dà il via ad una saga totalmente sovversiva: tra citazioni e parodie, i film d'animazione (il primo a vincere un Oscar per la neonata categoria) si riscoprono spensieratamente maturi e capaci di esilaranti metanarrazioni. Così lo stereotipo dell'orco viene sia deriso che stravolto, così come tanti punti fermi del "sacro" mondo fiabesco: il destriero è un asino logorroico, il drago una tenera amante e il principe Azzurro di nome ma non di fatto. Shrek è un eroe involontario, un amico semplice e sincero, un personaggio leale di cui è facile amarne ogni sventura. Grazie a lui ogni fiaba è stata riscritta: c'erano una volta i pregiudizi.
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Realismo nostrano: Il Racconto dei Racconti
Amante del reale che migra verso il visionario, Matteo Garrone per una volta cambia direzione e fa esattamente l'opposto: parte dal fantastico per cercare dentro castello assolati e foreste tracce di vero. Partendo dalla sottovalutata raccolta fiabesca Lo cunto de li cunti di Giambattista Basile, il regista romano bandisce ogni favola della buonanotte e pennella uno sgraziato dipinto barocco, una bottega degli orrori (e degli errori) umani dove ogni personaggio vorrebbe cambiare, essere diverso da com'è. In quest'ottica drammatica, Il racconto dei racconti predilige il deforme, adora personaggi e creature fisicamente brutte e raccapriccianti. Così, tra pulci enormi, nani e vecchie disperate, ecco un orco quanto mai umano: abnorme, dalle mani grandi ed ossute, l'orco di Garrone assomiglia ad un uomo primitivo. Individuo brutale nel seguire i suoi istinti più bassi, nel film viene utilizzato come espediente, simbolo per raccontare la reazione di una giovane donna al suo vero aguzzino, ovvero un destino scelto da altri. Perché, per quanto questo film possa sembrare una fuga dalla realtà attraverso la fantasia, Garrone ritorna sempre lì, dove batte il cuore del suo racconto cinematografico: il vero. Il drago è sconfitto, l'orco ucciso, l'incantesimo spezzato. Non c'è magia che tenga, perché la realtà vince sempre.
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