Chi avrebbe mai potuto amare una bestia?
Si chiede la voce narrante di La bella e la bestia, film Disney ispirato all'omonima fiaba di Jeanne-Marie Leprince de Beaumont, in cui un bellissimo principe viene trasformato in una creatura dalle sembianze animali per la sua crudeltà. A Guadalajara, in Messico, un bambino di otto anni, cresciuto con educazione cattolica e paura dell'Inferno, scoprì, guardando i film dedicati ai mostri classici della Universal, di essere affascinato da queste figure spaventose, arrivando a considerarli quasi come fratelli, creature incomprese allontanate da folle inferocite con in mano torce e forconi, ma in realtà desiderose di un contatto umano.
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Dopo aver rischiato più volte di essere esorcizzato dalla nonna per questa sua passione, Guillermo del Toro ha fatto dell'amore per il mostruoso una ragione di vita: come make-up artist prima, come regista, scrittore e produttore poi, la fascinazione per tutto ciò che è misterioso e non convenzionale lo ha portato a innalzare un vero e proprio tempio all'insolito, The Bleak House, casa-studio in cui custodisce migliaia di film (ovviamente nelle edizioni più rare), fotografie, libri, gadget, memorabilia e perfino una statua a grandezza naturale di H.P. Lovecraft, una delle sue ispirazioni principali.
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L'amore per i mostri di Del Toro è pari solo a quella per il cibo e, se non fosse un errore così grossolano, farebbe sorridere non poco la traduzione del suo discorso di ringraziamento durante la 74esima edizione della Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica, dove, premiato per il suo ultimo film, La forma dell'acqua - The Shape of Water, nelle sale italiane dal 14 febbraio e candidato a 13 premi Oscar, ha detto: "Se si resta puri e si continua ad avere fede in ciò in cui si crede, nel mio caso i mostri, si può fare qualsiasi cosa", tradotto invece con "nel mio caso la senape", perché l'interprete ha confuso la parola "monsters" con "mustard". In ogni caso la dichiarazione d'amore rimane valida.
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Il regista messicano ha dunque fatto dei mostri la sua vita, ma non tutti provano la stessa fascinazione per cadaveri tornati in vita o conti succhia sangue, perché la loro mostruosità è fatta per spaventare, per destabilizzare, per provocare una reazione forte e inconscia. Ossessionati dalle immagini dei film horror per giorni, mesi o, in alcuni casi, anni, una volta visto un film che ci ha particolarmente impressionato, nessuno si chiede mai però cosa ne pensino i mostri di tutte quelle grida, quelle torce e quei forconi. Torniamo così all'incipit: chi ama una bestia?
"Ho attraversato gli oceani del tempo per trovarti"
All'inizio di La moglie di Frankenstein, in un divertente prologo in cui Lord Byron (Gavin Gordon) chiede a Mary Shelley (interpretata sempre da Elsa Lanchester, che dà volto anche alla donna portata in vita per fare da compagna alla creatura), autrice del romanzo Frankenstein, o il moderno Prometeo, a cui si ispirano i film con Boris Karloff, perché abbia raccontato la storia di un uomo composto da pezzi di cadaveri. L'autrice risponde: "Il pubblico ha bisogno di qualcosa di più forte di una semplice storia d'amore, quindi perché non scrivere di mostri?".
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Ecco: perché il pubblico ha bisogno dei mostri? I mostri sono la paura dell'ignoto, di quello che non capiamo, di rimanere soli. Guardare Frankenstein è come vedere concretizzata davanti agli occhi l'angoscia di non essere accettati perché diversi in qualche modo dagli altri, non solo nell'aspetto, ma per il modo di sentire, per esperienza personale, per sogni o aspirazioni. A un certo punto della nostra vita sicuramente qualcuno ci ha fatto sentire "un mostro" o noi stessi lo siamo stati per qualcun altro. Forti di questa esperienza, dovremmo quindi cercare di smettere di gridare una volta che la mostruosità è davanti a noi e provare a capirla prima di imbracciare i forconi.
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Perché, se ci pensiamo bene, nessun mostro ha chiesto di essere tale: forse Dracula in effetti si diverte a collezionare vittime per il piacere di sedurle, visto che sono quasi sempre donne giovani e avvenenti, ma anche lui è maledetto, così come L'uomo lupo e La mummia. Discorso diverso invece per il Mostro di Frankenstein e il Mostro della laguna nera: il primo è stato creato da uno scienziato pazzo, il secondo vive tranquillamente nel suo ambiente naturale quando viene attaccato da un gruppo di ricercatori. Questi uomini di scienza, non imparano mai.
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Il grande fascino dei mostri classici è proprio questo: spesso non hanno una scelta, rispondo alla loro natura, oppure si vedono ingiustamente attaccati. Eppure, tutti alla fine sono d'accordo sul fatto che la strana creatura debba morire, sacrificata in nome della catarsi delle nostre coscienze, vittima della paura di rispecchiarci nei loro volti deformi, dando una forma ai nostri sentimenti più profondi. Se osserviamo bene, anche le bestie più strane sono però capaci di amare: pensiamo a King Kong, che rimane affascinato da una donna infinitamente diversa da lui, o dalla stessa creatura di Frankenstein, desiderosa di un contatto umano, qualunque esso sia, che si commuove ascoltando un vecchio cieco suonare il violino e vorrebbe tanto una compagna in grado di capirlo, qualcuna che non provi paura a guardarlo negli occhi e pronta a stringergli la mano. Perfino Dracula, interpretato da Gary Oldman nel film di Francis Ford Coppola Dracula di Bram Stoker, dice a Mina/Elisabeta (Winona Ryder): "Ho attraversato gli oceani del tempo per trovarti". Si può essere anche immortali, ma certi legami sono più forti del tempo e dello spazio, perfino per il principe delle tenebre.
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La forma dell'acqua
Quindi, torniamo ancora, per un'ultima volta, alla prima domanda: chi può amare una bestia? Chi, vedendo il proprio riflesso in uno specchio, almeno una volta ha avuto la sensazione di non riconoscersi, chi, dopo aver perso una persona cara, ha avuto la percezione che tempo e spazio non fossero più in sincrono con i propri sentimenti, chi è stato deriso e messo all'angolo dagli altri: chi insomma ha visto il lato più oscuro e triste della condizione umana, riemergendone diverso.
Guillermo Del Toro è una di queste persone: inizialmente terrorizzato dai mostri, tanto da ammettere: "La paura per quelle creature non mi faceva andare in bagno, tanto da farmi letteralmente bagnare il pigiama. Feci un accordo con loro: sarei diventato loro amico a patto che mi lasciassero andare in bagno. Faccio la pipì normalmente da allora, ma convivo con i mostri". Il regista ha presto imparato ad amarli e a riconoscersi in loro, scoprendo presto che la vera malvagità si nasconde in persone dall'aspetto apparentemente pulito e rassicurante, come un padre di famiglia in The Shape of Water o un amante e amico in La spina del diavolo. È per questo che quando, nei discorsi di accettazione per i premi ricevuti alla Mostra del Cinema di Venezia e ai Golden Globe (e forse presto anche agli Oscar), il regista messicano parla di amore e mostri, risulta sincero e non artificioso: la sua è una passione vera, autentica.
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Il suo amore è così grande, che in The Shape of Water non si è limitato a citare tutto il cinema con cui è cresciuto e lo ha formato, ma ha riscritto la storia, per una volta dalla parte del mostro: l'incontro tra Eliza (Sally Hawkins) e la creatura è il riconoscersi di due spiriti affini. Apparentemente molto diversi, ma con negli occhi sentimenti ed esperienze che li accomunano. Eliza potrebbe essere perfino un doppio del regista: non parla, ma sa immaginare, non spiega, ma agisce, e ama il cinema. La creatura invece è tutto ciò che Del Toro ama: il design viene direttamente dal film Il mostro della laguna nera e, anzi, The Shape of Water potrebbe benissimo essere un sequel non ufficiale, non a caso l'uomo-anfibio viene dal Sud America, proprio come quello del film degli anni '50, e la pellicola di Del Toro è ambientata nel '62, poco tempo dopo il pasticciaccio brutto del Rio delle Amazzoni.
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Anche cromaticamente, il film si divide tutto nel contrasto amore/odio: la protagonista veste quasi sempre di rosso, le tende e le poltroncine del cinema sono rosse, mentre il verde è tutto ciò che sembra bello e splendente in apparenza ma nasconde insidie (la macchina nuova del colonnello Richard Strickland, interpretato da Michael Shannon, la torta che mangia spesso l'illustratore Giles, ruolo affidato a Richard Jenkins). In tutti i film di mostri, c'è sempre questo binomio mostruosità/normalità, odio/amore, verde/rosso: la rivoluzione di Del Toro in The Shape of Water sta nel far mescolare questi due mondi in apparenza così distanti, nel far incontrare il verde e il rosso, al punto da farli anche fondere carnalmente, cosa mai vista prima d'ora, magari soltanto suggerita in modo subliminale, ma mai dichiarata esplicitamente. E qui sta il grande atto d'amore nel regista: nel dare anche dignità fisica alle "creature", mostrando che non c'è nulla di male ad accettare dentro di noi i nostri difetti, le nostre mancanze, i nostri errori. Quindi ecco chi può amare i mostri: chi li ha accettati e ci convive da tempo, perché sa che sono anche dentro di lui e ha deciso di abbandonarsi a una maggiore consapevolezza, a voler sentire la vita in modo completo, senza paura. Proprio come un corpo che galleggia (e in questo caso danza) nell'acqua.