Da Marvel e DC a Venezia: La nostra intervista con Carmine Di Giandomenico

Già al lavoro per i due colossi del fumetto, è ora autore del poster de La settimana della critica di Venezia 74. Abbiamo piacevolmente chiacchierato con lui di cinema a 360 gradi e del futuro dei cinecomic.

Cinema e fumetto, due realtà che negli ultimi anni si sono avvicinate sempre più e che trovano un nuovo punto di contatto anche nell'ambito della 74ma edizione della Mostra del Cinema di Venezia, ed in particolare per quanto riguarda una delle sue sezioni parallele, la Settimana della critica, il cui poster per l'anno 2017 è stato realizzato da Carmine Di Giandomenico, fumettista di Teramo, attivo dal 1994 e con all'attivo collaborazioni con colossi dell'ambiente come Marvel e DC Comics, dai What If su Captain America e Wolverine a miniserie su Magneto, Spider-Man e Iron Man, agli attuali lavori per Flash.

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Un lavoro che l'ha portato anche al cinema, permettendogli di realizzare storyboard per due autori del calibro di Tsui Hark e Martin Scorsese, e che gli ha permesso di essere apprezzato sia a livello internazionale che nazionale, diventando copertinista e disegnatore per la serie Bonelli Orfani: Sam di Roberto Recchioni e lavorando all'ultimo Dylan Dog Color Fest. Proprio dal suo lavoro per Dylan Dog, dai suoi disegni per la rilettura de Il lungo addio firmata da Paolo Barbato che abbiamo iniziato la nostra chiacchierata, un lavoro che rende giustizia all'opera originale.

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È una storia amatissima dai lettori di Dylan Dog, quindi una grossa responsabilità...

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Mi sono tremati i polsi! Quando Roberto mi ha scritto per fare dei remake, non pensavo che sarebbero stati di storie pesanti. Quando mi ha detto che si trattava de Il lungo addio sono rimasto ghiacciato. Ormai avevo detto sì, non mi sono tirato indietro. Ho anche fatto un azzardo con il colore, non utilizzando lo standard bonelliano. Ho voluto sperimentare qualcosa di particolare, d'accordo con Marcheselli che era ancora editor. Per esempio nella parte del flashback ho tenuto tutto sulle tonalità del marroncino, ma quei toni non sono digitali, è la scansione di una carta da pane. I bianchi sono stati ricacciati fuori con i colpi di luce. Mentre il presente è tutto colore digitale, più solare. Dylan è comunque un fumetto basato su atmosfere horror e mi sembrava adatto al genere.

Com'è nata, invece, la collaborazione con la Settimana della critica? E qual è stata l'idea su cui hai lavorato?

La collaborazione è nata in maniera molto semplice. Ho conosciuto Giona nel 2000 prima che fosse direttore artistico, perché è un appassionato di fumetti, e lui ha sempre avuto questa idea di unire il linguaggio del cinema a quello del fumetto, perché i due linguaggi sono similari. Infatti anche la locandina dello scorso anno è stata realizzata da Alessandro Rak. Non mi sono informato sul programma del festival e della sezione, mi sono basato solo sull'indicazione che il tema riguardasse la donna. Per questo ho interpretato il linguaggio del cinema in una donna tecnologica, perché il cinema oggi ne usa molta, riflettendola in una figura che viaggia parallelamente che è quella del linguaggio grafico del fumetto, che è più tangibile perché cartaceo. Sono due figure che convergono quasi ed hanno entrambe un occhio stilizzato, una maschera a forma di occhio, come se l'uno osservasse l'altro a distanza. Ho cercato di creare una specie di sinergia tematica per quanto riguarda la narrazione, ponendole su un orizzonte un po' sfocato, che è tutto da scoprire, perché il linguaggio del cinema e del fumetto si stanno incontrando sempre di più, un po' con i grandi personaggi dei fumetti che diventano protagonisti su grandi schermo, un po' con il linguaggio del cinema che diventa più celere, più veloce, come la sequenza dinamica di un fumetto. Le differenze ovviamente restano, perché il fumetto ha delle regole più legate al linguaggio del montaggio e impaginazione, alla distanza stessa tra le vignette, mentre il cinema ha movimento e sonoro e viaggia a velocità diverse. È stato tutto molto facile, ho mandato il primo bozzetto, Giona se n'è innamorato subito e da lì ho sviluppato la locandina completa.

Parlando di rapporto tra cinema e fumetto, come vedi lo sviluppo di un nuovo cinema italiano che ne viene contaminato? Penso a Lo chiamavano Jeeg Robot che si rifà ai supereroi, ma anche a Monolith che è basato su soggetto di Recchioni o Mine di Fabio e Fabio.

Io spero che vada avanti e con le tecnologie di oggi si possono portare sul grande schermo personaggi come Diabolik, Tex, anche lo stesso Dylan Dog con una serie televisiva. Il problema sono i costi, la complessità del sistema produttivo e che tipo di interessi avranno le produzioni. Per esempio in Monolith, che comunque ho apprezzato, ho notato molte scelte che secondo me sono state dettate da Sky, perché conosco Mauro Uzzeo, so come lavora, e so che non avrebbe mai fatto alcune scelte. È un'operazione importante, che dimostra che possiamo fare anche noi quel tipo di cinema, ma bisogna mettere un po' di freni a chi dirige questo tipo di produzioni. Dare più libertà agli autori.

In passato hai collaborato anche col cinema, hai realizzato degli storyboard, che ricordi di quelle esperienze?

Leonardo DiCaprio con Daniel Day-Lewis in una scena di Gangs of New York
Leonardo DiCaprio con Daniel Day-Lewis in una scena di Gangs of New York

Ho lavorato per Double Team - Gioco di squadra, nel quale appare anche un pannello realizzato da me. È nel momento in cui Mickey Rourke sta per far partorire la moglie di Van Damme, lì per una frazione di secondo c'è un volto di donna che urla, tipo messaggio subliminale. Fa parte di un trittico di illustrazioni che stavo realizzando, perché Tsui Hark si innamorò di un fumetto che stavo facendo durante la lavorazione degli storyboard. Ci sarebbe dovuta essere anche una carrellata, ma è stata tagliata in montaggio. Poi ho collaborato con la produzione di Gangs of New York di Martin Scorsese per un paio di settimane sostituendo Cristiano Donzelli che in quel momento non poteva essere presente. Ho lavorato sia alla sequenza del bombardamento nella piazza che quella del finale, con la dissolvenza che arriva alla New York di oggi.

Che tipo di cinema ti piace seguire?

Mi piace il cinema che fa riflettere, anche se non disdegno l'intrattenimento puro, perché dipende tanto dallo stato d'animo di una giornata. In questo periodo sto in fissa con Birdman, perché è una critica al mondo del cinema e dell'intrattenimento, ma soprattutto perché l'ha saputo coniugare con influenze che vengono anche dalla letteratura. Molti ci vedono solo la storia di un uomo che arranca per trovare la propria identità, ma in realtà è un flusso di coscienza continuo come l'Ulisse di Joyce. Lo stesso Edward Norton per esempio è il clown del Re Lear, è la trasposizione di sé stesso che parla a sé stesso. Appare senza essere presentato, conosce le battute di tutti, tanto che Keaton gli dice "sembra che l'abbia scritto tu", è l'unico personaggio che riesce ad avere un rapporto con la figlia e l'unico che dice le cose in faccia. E poi è tutto un piano sequenza tranne il finale. Quando l'ho visto la prima volta, sono stato un'ora e mezza senza parlare.

Michael Keaton in una scena di Birdman con Edward Norton
Michael Keaton in una scena di Birdman con Edward Norton

Fu così anche per noi a Venezia, quando è stato presentato come film d'apertura

Lo immagino! E vorrei rivedere anche l'ultimo di Inarritu, Revenant - Redivivo con Di Caprio, perché mi ha lasciato un po' perplesso ma credo che ci sia difficoltà nel capirlo. Perché credo ci siano dei rimandi specifici a tradizioni dell'epoca che ignoro e sulle quali vorrei informarmi. Per esempio ci sono delle inquadrature di alberi con la Luna che ricordano i catturasogni indiani, e ho la sensazione che ci siano dei messaggi che non sono riuscito a percepire. Qualcosa di simile mi è successo con Miyazaki, con La città incantata, che contiene tanti dettagli che sono trascurabili ai fini della storia ma che per un Giapponese hanno dei significati ben precisi.

Dei film di questa edizione di Venezia, invece, c'è qualcosa che ti ha incuriosito?

Essendoci tanti autori nuovi per me, ho preferito aspettare di guardare prima di poter giudicare. Quello che viene fuori è che c'è una porzione di cinema che sembrerebbe alternativo, perché meno accessibile al pubblico, ma che è diventato il vero cinema. In generale non mi pongo limiti, non baso le mie scelte sul nome degli autori, ma preferisco piuttosto seguirli dopo esserne stato colpito. Lo stesso faccio con la musica: metto spesso youtube in modo random e se un brano mi colpisce, approfondisco il suo autore. Ma senza seguire le discografie in modo metodico. È il mio modo per continuare a stupirmi, rimanere ignorante per essere colpito. Che siano Italiani, stranieri... alieni... non mi interessa. Per questo per esempio ho eliminato anche le serie TV, al limite le riscoprirò dopo quando passeranno in TV. Voglio riscoprire l'attesa. Anche nei fumetti ormai ci sono migliaia di uscite negli Stati Uniti, fanno preview di cinque o sei pagine che già te ne fanno conoscere un terzo, che sorpresa posso avere?!

Un discorso non diverso da quello che sta succedendo nel cinema con i tanti trailer e clip che vengono mostrate. Si va al cinema senza riuscire ad essere stupiti.

Esattamente! Anche L'uomo d'acciaio per esempio, dopo tredici trailer ho visto il film. Anzi spesso i trailer vengono montati anche in modo migliore, più potente.

Un primo piano di Henry Cavill nei panni di Superman in L'uomo d'acciaio
Un primo piano di Henry Cavill nei panni di Superman in L'uomo d'acciaio

Visto che hai citato L'uomo d'acciaio ed hai lavorato sia per Marvel che per DC, che ne pensi di come entrambe hanno affrontato i rispettivi universi cinematografici?

La Marvel ha saputo pianificare meglio. Si è organizzata ed ha creato un percorso da fare fino alle Infinity War che arriveranno il prossimo anno, inserendo pian piano indizi sulle Gemme dell'Infinito e Thanos. Hanno creato un percorso intelligente che hanno seguito negli anni. La DC ha iniziato dopo ed ha cercato, arrancando, di recuperare il tempo perduto. Se vogliono salvare l'universo DC cinematografico, secondo me, devono bloccare Goyer. Però paradossalmente, la DC è stata più brava con le serie TV, con The Flash e Arrow, che hanno una continuità ben precisa. La Marvel ha iniziato con Netflix ma ultimamente anche loro stanno accelerando e ultimamente hanno tirato fuori delle cose meno riuscite. Diciamo che si compensano tra i due mondi ed entrambe devono apportare cambiamenti ai personaggi per attirare un pubblico che non è quello dei fumetti. Devono cambiare il linguaggio e anche delle situazioni.

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Come vedi il futuro dei cinecomic? C'è spazio per film standalone o andranno avanti solo gli universi narrativi?

Secondo me i cinecomic, se continuano di questo passo, finisce con i joypad al cinema, nel senso che ogni cinema avrà il proprio finale. È tutto talmente digitale, con tanti personaggi, che ogni ragazzino potrà fare le sue scelte. Da una parte ci sarà il finale di Thor che ha vinto, da un'altra Iron Man. È una provocazione, perché toglierebbe valore al lavoro di sceneggiatori e registi...

In realtà ci stanno già lavorando, perché Netflix ha già annunciato produzioni di questo tipo...

Ecco, vedi, alla fine non mi sono inventato niente! (ride) Il pubblico deve assaporare, conoscere ed essere incuriosito, altrimenti finisce tutto.

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