I miei film parlano di ideali che si scontrano con il mondo. Ogni volta che al centro c'è un uomo, lui si è dimenticato questi ideali. E ogni volta che al centro c'è una donna, questi ideali vengono portati all'estremo.
Ed è senz'altro l'idealismo a guidare, ad animare, a scuotere fin nel profondo le donne di Lars von Trier. Donne meravigliose, quelle dipinte dal più discusso e controverso regista d'Europa almeno negli ultimi due decenni del suo cinema sempre spiazzante e provocatorio: in preda a sinistre inquietudini, determinate a far fronte al proprio destino, afflitte da pulsioni di fronte alle quali non è possibile trovare riparo.
Lui, Lars Trier (il von è stato aggiunto appositamente per conferire un'allure aristocratica al suo nome), nato a Copenaghen il 30 aprile 1956, è spesso stato accusato di misantropia e di misoginia: eppure, è innegabile che pochi altri cineasti siano riusciti, in tempi recenti, a creare personaggi femminili complessi e affascinanti quanto quelli della filmografia del regista danese. Un uomo egocentrico, imprevedibile, dalla loquacità spesso fuori controllo (famigerata la sua gaffe di stampo antisemita durante la conferenza stampa al Festival di Cannes 2011), ma capace altresì di offrire sul grande schermo una visione assolutamente unica di un universo senza uguali: un universo che non sarebbe tale senza le tenebrose eroine di cui è popolato. E oggi, in occasione del suo sessantesimo compleanno, abbiamo deciso di rendere omaggio a Lars von Trier attraverso una galleria delle indimenticabili donne che, dal 1996 fino ad oggi, hanno contribuito al viscerale potere di suggestione del suo cinema...
Le onde del destino: la passione di Bess McNeill
Ricompensato con il Gran Premio della Giuria al Festival di Cannes 1996 e vincitore dello European Film Award come miglior film dell'anno, Le onde del destino è l'opera che, subito dopo la proclamazione del cosiddetto manifesto Dogma 95, ha confermato Lars von Trier fra le nuove voci di maggior spicco del cinema europeo, a cinque anni di distanza dalle lodi raccolte per il precedente Europa. Ed è anche la pellicola che ci ha consegnato uno dei personaggi più memorabili nella filmografia di von Trier: Bess McNeill (Emily Watson), ragazza scozzese appartenente ad una piccola comunità calvinista nelle Highlands che prende per marito Jan Nyman (Stellan Skarsgård), operaio in una piattaforma petrolifera. Prigioniera di una passione totalizzante che sconfina nella nevrosi, Bess vive completamente in funzione del suo Jan, in balia di un amour fou intriso di un ineluttabile senso di colpa religioso: in varie occasioni la giovane donna, in un'angosciante dissociazione psicotica, confessa a Gesù le proprie debolezze, per poi rispondere lei stessa e condannare la forza del proprio sentimento (quella medesima condanna che, di lì a breve, le si abbatterà contro da parte del suo microcosmo sociale). E la ventinovenne inglese Emily Watson, in un debutto sensazionale, domina il film con la sua volitiva performance, che le è valsa lo European Film Award e la nomination all'Oscar come miglior attrice, insieme a numerosi altri premi.
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Dancer in the Dark: la sinfonia dell'oscurità di Selma Ježková
Altro struggente melodramma al femminile, altro trionfo di critica e di pubblico per Lars von Trier: presentato al Festival di Cannes 2000, Dancer in the Dark ha fatto conquistare al regista danese la Palma d'Oro e lo European Film Award per il miglior film dell'anno. Dal cinico affresco di una comunità calvinista de Le onde del destino si passa a un quadro di denuncia sociale messo in scena sottoforma di musical, con tanto di alcuni brani presi in prestito da Tutti insieme appassionatamente accanto a una soundtrack originale; e per l'occasione von Trier si sposta negli Stati Uniti degli anni Sessanta, in particolare nello Stato di Washington, per raccontare il calvario di Selma Ježková (Björk), immigrata cecoslovacca con a carico il figlioletto Gene (Vladica Kostic).
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Selma, donna benevola e generosa, è una mite eroina della classe operaia, condannata a un'imminente cecità a causa di una malattia degenerativa agli occhi, ma disposta ad ogni sacrificio pur di raccogliere il denaro necessario a far operare il figlio. L'amaro destino che attende Selma, specchio delle ingiustizie sociali dell'America post-kennedyana, è contrapposto da von Trier alle parentesi musicali dal taglio onirico, per le quali il regista si avvale di una protagonista d'eccezione: la celebre popstar islandese Björk, che per la sua prima ed unica apparizione davanti alla macchina da presa ha ricevuto lo European Film Award e il premio come miglior attrice a Cannes.
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Dogville: Grace Mulligan, da vittima a carnefice
Dall'America degli anni Sessanta a quella del New Deal, nel 2003 con Dogville Lars von Trier ci trasporta all'inizio degli anni Trenta per demolire le "magnifiche sorti e progressive" degli Stati Uniti dell'epoca di Franklin Delano Roosevelt. L'omonima, fittizia cittadina alle pendici delle Montagne Rocciose, sede di una comunità di minatori e ricostruita con straniante essenzialità nella spoglia penombra di uno studio cinematografico, è la cornice della parabola di Grace Mulligan (Nicole Kidman), giovane donna in fuga da una banda di gangster che trova rifugio a Dogville grazie alla gentilezza di Tom Edison Jr (Paul Bettany). La Kidman, star internazionale prestata al cinema d'autore europeo, conferisce il proprio carisma e un alone di mistero alla sua Grace, donna apparentemente fragile, vittima suo malgrado dei soprusi e della sottile ipocrisia della comunità di Dogville... almeno fino a quando non deciderà di rivoltarsi contro di loro mediante una spietata vendetta. Ricompensato con lo European Film Award per la miglior regia e accolto da un notevole responso commerciale, Dogville ha inaugurato la trilogia incompiuta di von Trier sull'America come "terra delle opportunità".
Manderlay: le lezioni di libertà di Grace Mulligan
Due anni dopo il successo di Dogville, Lars von Trier ha allargato il suo amarissimo ritratto dell'America rooseveltiana con Manderlay, in cui ritroviamo il personaggio di Grace Mulligan, che stavolta però ha il volto diafano e l'algida bellezza di Bryce Dallas Howard (chiamata a sostituire Nicole Kidman, provata dall'esperienza sul set con von Trier). La storia di Grace prosegue in Alabama, dove la ragazza si imbatte in una piantagione di cotone, Manderlay, in cui ancora vige l'antica schiavitù dei neri precedente alla Guerra di Secessione, e ribadita in questo luogo dalla cosiddetta "legge di Mam". Più determinata e autoritaria rispetto alla donna che avevamo conosciuto nel film precedente, Grace prenderà nelle proprie mani le redini di Manderlay e si sforzerà di inculcare alla comunità afroamericana i principi di democrazia e di uguaglianza; ma l'idealismo di Grace e i suoi tentativi di applicare il concetto di libertà porteranno a galla le contraddizioni esistenti nel microcosmo della piantagione, con esiti inaspettati.
Antichrist: il lungo viaggio verso l'inferno
Benché Lars von Trier sia sempre stato un autore molto divisivo, l'opera che più di tutte ha spaccato le opinioni di critica e pubblico, ottenendo responsi diametralmente opposti, è stata senz'altro Antichrist, sconcertante fusione fra dramma psicologico, elementi dell'horror, deliri onirici e suggestioni religiose trasformate in ossessioni. Così come rappresenta un groviglio di contraddizioni la protagonista femminile del film, interpretata da Charlotte Gainsbourg: una donna senza nome, divorata dal senso di colpa per la morte accidentale del figlioletto Nick (messa in scena in un incipit raggelante) e in preda a una fobia atavica nei confronti di una natura percepita come maligna ed ostile. Fra sedute di terapia e sequenze erotiche con il compagno psicanalista (Willem Dafoe), in una progressiva discesa verso la follia, la madre in lutto di Antichrist rimane la più oscura e indecifrabile fra le antieroine del cinema di von Trier; e la Gainsbourg, ingaggiata dopo il forfait di Eva Green, per questa prova così estrema ha conquistato il premio come miglior attrice al Festival di Cannes 2009.
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Melancholia: Claire e Justine, aspettando la fine del mondo
Kirsten Dunst, in abito da sposa, trasportata dalle acque di un fiume in uno stato di abbandono mistico, come l'Ofelia shakespeariana nel celebre dipinto di John Everett Millais: è l'immagine simbolo di Melancholia, uno dei titoli più acclamati nella carriera di Lars von Trier. Una pellicola interamente imperniata sul dualismo fra due personaggi femminili, ovvero una coppia di sorelle: Justine, interpretata dalla Dunst, al cui ricevimento di nozze è dedicata la prima metà del film (intitolata appunto Justine), e la più matura Claire (Charlotte Gainsbourg), sposata con John (Kiefer Sutherland) e madre del piccolo Leo (Cameron Spurr), che nella seconda metà del racconto accoglierà nella sua villa in campagna Justine, in preda a un'acuta depressione. E la "melanconia" a cui allude il titolo dell'opera, l'imperscrutabile malessere che si impadronisce di Justine, sembra riflettersi dalla dimensione individuale addirittura su un piano cosmico: Melancholia, infatti, è anche il nome del fittizio pianeta tenuto sotto osservazione dagli astronomi e pericolosamente diretto verso la Terra.
La sensibilità tormentata di Justine, dietro la cui apparente giovialità si nasconde un richiamo mortifero indirizzato a quello spaventoso corpo celeste (di notte, la giovane donna si distenderà completamente nuda nel bosco, 'offrendo' il proprio corpo al pianeta Melancholia), è affiancata da von Trier all'atteggiamento scientifico e razionale di Claire, i cui inappuntabili modi borghesi si riveleranno del tutto vani di fronte all'angoscia per la follia della sorella e alla minaccia proveniente dall'universo stesso. Racconto indefinibile, capace di prestarsi alle più diverse chiavi di lettura (psicologica, simbolica, metafisica), Melancholia ha ricevuto lo European Film Award come miglior film dell'anno. Ma oltre alla stupefacente messa in scena di von Trier (già soltanto l'incipit apocalittico sulle note di Wagner è un capolavoro in miniatura), a riempire la pellicola sono le performance speculari delle due bravissime comprimarie, con la Dunst che si è aggiudicata il premio come miglior attrice al Festival di Cannes 2011.
Nymphomaniac: nell'impero dei sensi con Joe
Un'educazione sentimentale e sessuale in cui la ricerca ossessiva del piacere fisico, come in una sorta di drammatico contrappasso, si capovolgerà nell'impossibilità di raggiungere uno stato di appagamento, dando inizio a un percorso di esplorazione erotica assimilabile ad un autentico calvario fisico e psicologico. Tutto questo è Nymphomaniac, il dittico cinematografico realizzato da Lars von Trier in due 'volumi', fra il 2013 e il 2014, per un totale di quattro ore di durata (cinque ore e mezza nella versione integrale). Charlotte Gainsbourg, ormai eletta a pieno titolo come musa del regista danese, si immerge nel ruolo di Joe, la donna a cui l'intellettuale Seligman (Stellan Skarsgård) presta soccorso dopo averla trovata agonizzante ad un angolo di strada, accogliendola nella propria casa e ascoltando il resoconto della sua 'formazione' e della sua progressiva scoperta delle più tortuose strade dell'erotismo.
A partire dalle prime, selvagge esperienze vissute nell'adolescenza e in gioventù, quando ha il volto dell'esordiente Stacy Martin, Joe consumerà una turbolenta relazione con Jerôme (Shia LaBeouf), per poi sprofondare in un vortice autodistruttivo e in una "ninfomania" rivendicata come atto di disprezzo contro il conformismo borghese. Alternando la sensualità spigliata della Martin a quella più estrema e sofferta della Joe adulta della Gainsbourg, von Trier ci consegna un altro personaggio impegnato in una guerra aperta con la società e la morale del proprio tempo: l'ennesima, incatalogabile (anti)eroina di un cinema totalmente fuori dagli schemi. Un cinema dal quale non aspettiamo altro che di essere sorpresi, provocati e turbati, una volta di più.
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