Entro la fine dell'anno (presumibilmente) vedremo la sesta e ultima stagione di House of Cards, segnata da un cambiamento radicale in seguito alla rimozione di Kevin Spacey, accusato di molestie sessuali sul set della serie che ha lanciato la programmazione originale di Netflix. Sempre sulla piattaforma di streaming avrà un'aria un po' diversa la terza annata di The Ranch, da cui è stato rimosso Danny Masterson per accuse di stupro. Attualmente è in corso l'undicesima stagione di X-Files, che sappiamo essere l'ultima per Gillian Anderson (mentre durante la messa in onda originale, dal 1993 al 2002, fu David Duchovny a congedarsi parzialmente nei due cicli conclusivi), e la settima di C'era una volta, che puntava su un rilancio con un cast quasi del tutto rinnovato (degli interpreti principali storici sono rimasti solo Lana Parrilla, Colin O'Donoghue e Robert Carlyle) e chiuderà i battenti a maggio. E nel corso del 2018 si festeggiano sia i venticinque anni dalla conclusione di Cin Cin (chiusa dopo undici stagioni perché Ted Danson aveva deciso di passare ad altro) che i cinque dalla fine del The Office americano (durato ancora due annate dopo l'addio di Steve Carell), ma anche il cinquantenario di Colombo, un programma che, a rigor di logica, non potrebbe esistere senza l'omonimo tenente (nella versione di Peter Falk, dato che al momento nessuno ha provato a rilanciare lo show in una nuova veste). Tutti elementi legati a una questione che da sempre caratterizza la serialità televisiva (e, in misura minore, anche quella cinematografica, dove il reboot è ormai una pratica consolidata): senza l'interprete principale, anche in un prodotto corale, lo show ha motivo di esistere?
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Un vuoto incolmabile?
Il più delle volte la dipartita narrativa di un personaggio incide proprio sul corso creativo dello show, più che sull'appeal commerciale (vedi l'addio di Rob Lowe in West Wing, che ha continuato fino alla fine naturale della sua storyline a lungo termine nonostante egli fosse il volto più noto del cast e scritturato proprio per questo motivo). Basti pensare a The Vampire Diaries, che con l'assenza di Nina Dobrev dopo il finale della sesta stagione ha perso il suo elemento drammaturgico centrale, ossia il triangolo amoroso composto da Elena Gilbert e dai fratelli Salvatore (inevitabilmente, quando è stato concepito l'episodio finale al termine dell'ottava annata, l'attrice è tornata all'ovile per dare al serial una chiusura completa). Nel caso delle sitcom è emblematico l'esempio di That '70s Show, che nell'ottava stagione dovette fare i conti con il doppio addio di Ashton Kutcher e Topher Grace: il primo era teoricamente sacrificabile in quanto uno dei tanti comprimari dal ruolo volutamente macchiettistico, mentre il secondo, insieme a Laura Prepon, rappresentava la normalità in mezzo alle caratterizzazioni più stereotipate, e senza di lui si verificò una situazione di squilibrio anche in termini umoristici. Per lo stesso motivo X-Files ha sofferto quando David Duchovny era parzialmente o totalmente assente (nell'ottava stagione tornò per la seconda metà, nella nona appare solo nella puntata di commiato), perché il fascino dello show era legato soprattutto alla relazione tra la scettica e razionale Scully e il "credente" Mulder, un rapporto complementare che gli autori non sono riusciti a replicare con le nuove reclute Robert Patrick e Annabeth Gish.
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L'importante è il concetto
Un caso molto particolare riguarda 24, il thriller in tempo reale o quasi (dato che ogni episodio, a causa delle interruzioni pubblicitarie negli Stati Uniti, non dura esattamente un'ora), il cui punto di forza maggiore doveva essere proprio la sua particolarità strutturale e non un personaggio specifico al centro dell'azione. E invece nel corso di otto stagioni, più un film per la TV e il revival 24: Live Another Day (con gli episodi dimezzati ma la struttura delle 24 ore intatta, grazie a un salto temporale), si è consolidata l'importanza fondamentale di Jack Bauer, agente dell'antiterrorismo che ne subisce di tutti i colori (alla fine della prima stagione diventa vedovo), e del suo interprete Kiefer Sutherland. Quest'ultimo ha più volte ribadito che 24 può durare in eterno anche senza la sua partecipazione attiva (con un'argomentazione piuttosto sensata: quante giornate storte di una tale portata possono capitare alla stessa persona?), ma è stato smentito dall'esito non felicissimo di 24: Legacy, la prima incarnazione della serie dove Bauer manca all'appello. Attualmente la Fox sta valutando come andare avanti, ma è improbabile che i fan siano disposti a seguire una nuova stagione con un protagonista diverso.
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I curiosi casi dei procedurali
Merita un discorso a parte il filone dei programmi polizieschi, giudiziari e medical, dove l'impianto drammaturgico è impostato più sui casi della settimana o della vita nel posto di lavoro che sui singoli personaggi principali (con evidenti casi eccezionali come Dr House o Grey's Anatomy, inconcepibili senza coloro che danno il nome allo show, cosa che per la seconda serie citata è stata ribadita a chiare lettere dalle recenti negoziazioni salariali di Ellen Pompeo, la quale ha - giustamente - fatto notare alla ABC che il successo continuato del serial è dovuto in gran parte a lei). Questo ha consentito a E.R. - Medici in prima linea di durare quindici anni nonostante le dipartite progressive di George Clooney (stagione 5), Anthony Edwards (stagione 8) e Noah Wyle (stagione 11), e a Law & Order - I due volti della giustizia di andare in onda per due decenni rinnovando periodicamente il cast (diverso il discorso per gli spin-off, dove gli interpreti centrali sono per lo più imprescindibili). Anche qui, però, è lecito sostenere che la regola non sia sempre in vigore, anche per le serie corali: gli ascolti di CSI: Scena del crimine sono stati colpiti dall'assenza di William Petersen (e dalla decisione di sostituirlo con Laurence Fishburne, il che ha influito sulla dinamica di gruppo), e vige qualche dubbio sul futuro di NCIS - Unità anticrimine in caso dovesse andarsene Mark Harmon, il cui contratto è prossimo alla scadenza.
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Morto un Dottore, se ne fa un altro
Chiudiamo con un caso davvero eccezionale, quello di Doctor Who, dove la sostituzione dell'attore principale a intervalli regolari è la norma dal 1966: all'epoca, per non dover cancellare la serie in seguito all'addio di William Hartnell (affetto da arteriosclerosi e quindi in difficoltà con le battute), fu introdotto il concetto della rigenerazione, che consente ai Signori del Tempo - la razza aliena a cui appartiene il protagonista - di riprendersi da ferite mortali e quant'altro, cambiando aspetto. Questo ha permesso allo show di esistere per oltre cinquant'anni, con una formula che tende a ripetersi periodicamente (soprattutto con il revival che va in onda dal 2005): l'attore in carica annuncia il suo addio allo show, i fan si intristiscono, viene resa nota l'identità del successore, questi viene accolto con una sana dose di scetticismo (nel caso di Peter Capaldi i fan più giovani, abituati a David Tennant e Matt Smith, si interrogarono sulla scelta di un attore "troppo vecchio"), si fa apprezzare nel giro di pochi episodi, e poi riparte il ciclo. Non è mai esattamente lo stesso Dottore, ma l'essenza del personaggio rimane più o meno intatta. O almeno così è stato fino al luglio del 2017, con l'annuncio di Jodie Whittaker come interprete del Tredicesimo Dottore. Per la prima volta sarà una donna a vestire i panni del personaggio, dopo anni di attesa da parte del fandom e di chi ha lavorato alla serie (il creatore dello show, Sydney Newman, propose l'idea di un Dottore donna già negli anni Ottanta), e le reazioni sono state più negative del solito, con persone che hanno commentato che così facendo viene snaturata un'icona della fantascienza (nonostante sia stato detto a chiare lettere che i Signori del Tempo possono cambiare sesso quando si rigenerano) e dichiarato che non seguiranno più la serie a meno che non si torni a un Dottore maschio. Sarà veramente così? Non ci resta che aspettare l'autunno...