È uscita ieri la notizia secondo la quale la Disney, uno dei colossi dell'entertainment statunitense e globale, annuncia di volersi concentrare soprattutto sullo streaming. Una decisione inevitabile a livello di politica aziendale, dal momento che l'attuale crisi mondiale ha travolto due fonti di guadagno importanti quali le uscite cinematografiche e i parchi a tema, e anche sensata se la major vuole rendere redditizio l'investimento della piattaforma Disney+, che non genererà veri profitti prima del 2022, stando alle stime degli esperti (lo stesso discorso vale anche per servizi analoghi gestiti dagli altri grandi studios hollywoodiani).
Un annuncio che molti, fermandosi al titolo dei vari articoli in merito, hanno preso come indicativo di una scomparsa totale della Casa del Topo dalle sale, anche l'attuale amministratore delegato Bob Chapek ha specificato che la distribuzione cinematografica rimarrà nella strategia dell'azienda, con un piccolo rimaneggiamento interno: le varie divisioni dedicate all'audiovisivo saranno raggruppate sotto un unico dipartimento i cui vertici decideranno di volta in volta cosa andrà al cinema, in televisione o in streaming. Una svolta importante e destinata a far discutere, ragion per cui abbiamo voluto fare il punto della situazione per quanto riguarda tutte le major hollywoodiane, cercando di rispondere alla seguente domanda: il futuro è sulle piattaforme?
Disney
Da quasi un anno la major occupa una fetta importante del mercato dello streaming grazie a Disney+, che ha debuttato in patria il 12 novembre 2019 (nella maggior parte dei paesi europei è arrivato a fine marzo). Un servizio che, oltre al nutrito catalogo dei vari brand disneyani, contiene anche produzioni originali come The Mandalorian e The Imagineering Story. Tra i film ci sono anche titoli che inizialmente erano previsti per le sale e sono stati dirottati sulla piattaforma a causa della situazione incerta dei cinema statunitensi, ma si tratta principalmente di lungometraggi più piccoli che presumibilmente avrebbero faticato in sala (L'unico e insuperabile Ivan) o di flop annunciati (Artemis Fowl). Questo fino a pochi mesi fa, con due annunci che hanno fatto arrabbiare gli esercenti in tutto il mondo, e a ragione: prima il debutto in streaming - con un sovrapprezzo oltre al costo dell'abbonamento standard - di Mulan, e poi la decisione di rimuovere dalle sale Soul, il nuovo film della Pixar, che sarà possibile vedere in sala solo in occasione di festival come il Lumière a Lione e la Festa del Cinema di Roma. Soprattutto la prima decisione era dettata da motivi finanziari (non era più possibile rinviare l'uscita a causa delle precedenti spese di marketing, e l'associazione degli esercenti americani ha negato l'autorizzazione eccezionale per una distribuzione ibrida, il che avrebbe tenuto conto della situazione in tutti i mercati), ma ciò non toglie che sia stato un duro colpo per chi gestisce i cinema.
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A questo si aggiunge la recente dichiarazione sulla volontà di concentrarsi maggiormente sullo streaming (con l'aggiunta di un servizio supplementare che ospiterà contenuti per un pubblico più maturo, funzione svolta da Hulu negli Stati Uniti), che alcuni hanno frainteso come un'effettiva scomparsa della Disney dalle sale. In realtà rimane l'intenzione di sfruttare il circuito cinematografico tradizionale, soprattutto per i marchi consolidati come il Marvel Cinematic Universe, il franchise di Avatar e il mondo di Star Wars. Disney+ sarà usato principalmente per titoli dalle ambizioni più modeste, inclusi alcuni dei già annunciati remake dei classici d'animazione (tra i film disponibili il giorno del lancio c'era Lilli e il vagabondo), anche se in certi casi non è escluso che un lungometraggio inizialmente concepito per lo streaming finisca invece sulla lista delle uscite cinematografiche (tale è, al momento, la condizione del remake de Le avventure di Peter Pan). E poi c'è l'intera divisione Fox, ora nota come 20th Century Studios e Searchlight Pictures, i cui titoli, per clausola contrattuale, devono debuttare al cinema (anche perché un eventuale dirottamento streaming sarebbe non su Disney+ o Hulu, ma su HBO, a causa di un precedente accordo in vigore fino al 2022). Nulla da temere, quindi, per pellicole come Nomadland e The French Dispatch.
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Warner Bros.
Da maggio sul territorio americano esiste HBO Max, piattaforma che riunisce i vari brand dei gruppi WarnerMedia e AT&T (Warner Bros., HBO, Cartoon Network, DC Comics, eccetera), con l'aggiunta di una selezione della Criterion Collection e alcuni titoli di cui il servizio detiene i diritti esclusivi per gli USA (i film di Studio Ghibli, tutti gli episodi di South Park). Al momento la sua disponibilità globale non è possibile, causa accordi preesistenti tra HBO e altre società come Sky, ragion per cui non ci sono ancora state decisioni dall'impatto mondiale come quelle della Disney: un film come The Witches, per esempio, che in patria andrà direttamente in streaming, in altri mercati avrà diritto a un'uscita in sala. È però probabile che la situazione cambi in futuro, come ipotizzato da Ben Affleck, collaboratore di vecchia data della Warner, il quale ha affermato che titoli delle dimensioni di Argo e The Town potrebbero finire direttamente in streaming e on demand negli anni a venire. Pensiero condiviso dalla stessa major che già nel 2016 aveva dichiarato di volersi concentrare soprattutto sui suoi grandi franchise per quanto riguarda il cinema. Non a caso, sfogliando il calendario delle uscite confermate da qui alla fine del 2022, sono quasi tutte associate a dei brand di successo come la DC, il mondo di Harry Potter, i Looney Tunes e il Conjuring Universe.
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Universal
La Comcast, proprietaria della Universal, ha da luglio la propria piattaforma, attualmente disponibile solo negli Stati Uniti e chiamata Peacock ("pavone", appellativo dovuto al celebre logo del canale televisivo NBC, principale brand audiovisivo della Comcast insieme a Universal). Al momento il servizio è focalizzato soprattutto sulla serialità, tra cui annunciati reboot di Willy, Il Principe di Bel Air e Battlestar Galactica, mentre sul piano cinematografico la precedenza è stata data al catalogo, composto da titoli Universal e, in parte Paramount (quest'ultimo con un contratto a tempo determinato che scadrà nel 2023). Per quanto concerne la sala, la major non intende rinunciare al circuito tradizionale per i suoi brand di punta come i franchise di Fast & Furious e Jurassic Park e la collaborazione con Blumhouse per titoli horror (tra cui la nuova incarnazione di Halloween), senza dimenticare due nomi forti nel campo dell'animazione come DreamWorks e Illumination e, fuori dagli Stati Uniti, le avventure di James Bond. Per i titoli più di nicchia, come quelli distribuiti dalla divisione Focus Features, è probabile che si faccia uso del nuovo accordo stipulato con la catena di multiplex AMC: di volta in volta, la Universal può scegliere di far uscire un film in VOD appena diciassette giorni dopo il debutto in sala, in base agli incassi.
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Paramount
Tecnicamente la Viacom, proprietaria della Paramount, è stata la prima società a puntare su un proprio servizio di streaming, lanciando CBS All Access nel 2014. Sostanzialmente un'estensione del canale televisivo CBS, propone materiale tratto dagli archivi aziendali e produzioni originali come Star Trek: Discovery e The Good Fight. A breve ci sarà però un rebranding, con annessa espansione internazionale: nel 2021, infatti, il servizio sarà ribattezzato Paramount+ e aggiungerà al proprio catalogo titoli tratti dai vari marchi della Viacom, tra cui MTV, Comedy Central e Nickelodeon. Tra le produzioni originali è stato annunciato uno spin-off di SpongeBob SquarePants, e il terzo film del franchise debutterà proprio sulla piattaforma per quanto concerne il mercato statunitense, mentre in altri paesi sarà un'esclusiva di Netflix, così come altri titoli che la Paramount ha recentemente rimosso dal circuito delle sale (vedi alle voci The Lovebirds e Il processo ai Chicago 7). Confermati per il cinema sequel molto attesi come A Quiet Place 2, Top Gun: Maverick e i prossimi due Mission: Impossible, ma anche in questo caso non ci sono sempre garanzie: Il principe cerca moglie 2 andrà direttamente su Amazon Prime Video.
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Sony/Columbia
Al momento il colosso giapponese che controlla la Columbia e la TriStar è l'unico dei giganti del cinema a non avere un proprio servizio di streaming, ragion per cui praticamente tutti i suoi titoli previsti per il 2020 sono stati posticipati e non dirottati, con l'eccezione di An American Pickle che è stato venduto a HBO Max. Una strategia parzialmente dettata dalla decisione di concentrarsi soprattutto su determinati franchise, come quello di Spider-Man (con annessi spin-off come Morbius e Venom: Let There Be Carnage) e il brand della Sony Pictures Animation, a cui dobbiamo Hotel Transylvania e Angry Birds - Il film. Senza dimenticare i videogame, come quello alla base di Monster Hunter, il nuovo film di Paul W.S. Anderson che, stando alle ultime dichiarazioni, uscirà nelle sale alla fine di dicembre, soprattutto per sfruttare la riapertura del mercato cinese, considerato fondamentale per l'esito finanziario di molti blockbuster statunitensi (l'eccezione notevole è il franchise di Star Wars, che non gode di particolare popolarità in quel paese, essendo arrivato lì solo di recente).
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Quo vadis, Hollywood?
Alla luce dei dati di cui sopra appare evidente che gli eventi del 2020 abbiano semplicemente accelerato un processo già in corso, dettato dal semplice fatto che da diversi anni il pubblico (principalmente americano, ma non solo) accorre in sala soprattutto per vedere i titoli di maggiore richiamo, a base di supereroi, maghi, robot, galassie lontane lontane e compagnia bella. Questo anche per film dal budget ridotto, ma comunque legati a brand di successo (basti pensare a Twilight o Cinquanta sfumature di grigio). E così si è arrivati a scenari come quello attuale, con le sale in crisi perché le major non vogliono sfoderare l'artiglieria pesante nel bel mezzo di una pandemia che ha ridotto il numero di cinema a disposizione (particolarmente grave la situazione statunitense, con mercati essenziali come New York e Los Angeles ancora chiusi mentre scriviamo queste righe), e titoli forti ma ritenuti meno appetibili sul piano commerciale dirottati sulle piattaforme, consolidando un modello già in vigore da qualche anno (l'esempio lampante è Martin Scorsese, che dopo un duplice rifiuto della Paramount si è rivolto a Netflix per un film e Apple per un altro). E salvo sorprese la situazione non cambierà più di tanto, a giudicare dai listini attuali: i grandi studios non intendono rinunciare in toto alla sala, ma l'offerta sarà poco variegata. Per il resto, escluso il cinema internazionale ed europeo che ora ha tutte le carte in regola per riconquistare un pubblico non più abituato a vedere sul grande schermo storie più "piccole" ma non per questo meno potenti, basterà la visione sul computer. O almeno così credono i colossi di Hollywood.
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