Il cinema spagnolo rimane in molti casi, ancora oggi, un oggetto semisconosciuto ai più, confinato entro i limiti dei circuiti festivalieri e delle rassegne specializzate, con notevoli difficoltà a guadagnarsi una distribuzione a pieno titolo e a raggiungere un grande pubblico nel nostro paese. Per fortuna esistono delle felici eccezioni, ovvero film il cui successo e/o le cui virtù gli permettono di varcare i confini nazionali e di affacciarsi anche sul suolo italiano.
L'esempio più recente è rappresentato da La vendetta di un uomo tranquillo, una delle opere più apprezzate dello scorso anno in Spagna, dove ha registrato oltre duecentomila spettatori e ha conquistato quattro premi Goya, tra cui miglior film del 2016 e miglior regista esordiente per Raúl Arévalo, volto noto nel campo della recitazione, qui al suo debutto dietro la macchina da presa. Un debutto da applauso, con un noir durissimo e disperato costruito attorno al percorso parallelo di due uomini, l'ex galeotto in cerca di redenzione Curro (Luis Callejo) e il misterioso José (Antonio de la Torre), le cui esistenze sono destinate a convergere in seguito a una rapina conclusasi tragicamente. Una "scia di sangue" che lega passato e presente e che costringerà i personaggi a confrontarsi con le rispettive colpe e responsabilità, attraverso un meccanismo narrativo di implacabile precisione.
In uscita il 30 marzo in Italia grazie a BIM Distribuzione, La vendetta di un uomo tranquillo può essere considerato uno dei più validi esiti del recente cinema d'autore spagnolo; e in occasione della sua uscita abbiamo pensato di estendere lo sguardo al panorama contemporaneo della penisola iberica per quanto riguarda la settima arte, e ai suoi esponenti più importanti e noti anche all'estero. Quelli che seguono, pertanto, sono i 'profili' di cinque talentuosi registi ispanici che, negli scorsi anni, ci hanno regalato opere accolte con entusiasmo pure in Italia e meritevoli di essere scoperte dal maggior numero di spettatori possibile; e se uno di questi è un maestro che non ha certo bisogno di presentazioni, gli altri nomi potrebbero suggerire più di un titolo da appuntare sulla propria watch list...
Pedro Almodóvar: un ex enfant terrible fra classico e postmoderno
Partiamo proprio da lui, il nume tutelare del cinema spagnolo da almeno tre decenni a questa parte, nonché uno dei giganti indiscussi della settima arte della nostra epoca: il castigliano Pedro Almodóvar, fra i cineasti in assoluto più originali, influenti e apprezzati della scena europea. Trasgressivo cantore fin dal suo esordio, nel 1980, della Spagna della movida, appena emersa dall'oscurantismo del regime di Francisco Franco e attraversata da un desiderio di libertà a trecentosessanta gradi, nella prima parte della propria carriera Almodóvar si è destreggiato con disinvoltura fra la commedia grottesca e il melodramma dalle sfumature postmoderne, raggiungendo il successo internazionale verso la fine del decennio con il noir a sfondo omoerotico La legge del desiderio (1987) e soprattutto con l'intramontabile cult Donne sull'orlo di una crisi di nervi (1988).
A partire da Il fiore del mio segreto (1995) Almodóvar ha ripreso la sua tipica rielaborazione dei generi, improntandola però a un senso di classicismo innervato da elementi di modernità: ha dato vita così ad alcuni dei suoi film di maggior valore, fra cui i melodrammi Tutto su mia madre (premio Oscar come miglior film straniero del 1999) e Parla con lei (premio Oscar per la miglior sceneggiatura del 2002), il noir La mala educación (2004) e due opere incatalogabili, fra giallo, ghost story e melò, quali Volver - Tornare (2006) e Gli abbracci spezzati (2009), accomunate dalla collaborazione con la sua musa Penélope Cruz. Negli scorsi anni Almodóvar ha continuato a spaziare fra generi molto diversi, talvolta sovvertendone le regole, con film come La pelle che abito (2011) e l'ultimo Julieta (2016).
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Alex de la Iglesia: i racconti del grottesco
Ed è non a caso un 'discepolo' di Pedro Almodóvar il secondo nella nostra cinquina di registi ispanici, Álex de la Iglesia, nato a Bilbao e sponsorizzato proprio da Almodóvar, che nel 1993 gli ha permesso di debuttare nel cinema con lo sci-fi Azione mutante grazie alla sua casa di produzione, la El Deseo. Anch'egli interessato a una profonda rivisitazione delle regole dei generi, ma in chiave sempre sfrenatamente grottesca, de la Iglesia si è specializzato in corrosive black comedy con accenti di satira sociale come La comunidad - Intrigo all'ultimo piano (2000) e Crimen perfecto (2004). Dopo una più 'innocua' parentesi in lingua inglese con il giallo Oxford Murders - Teorema di un delitto (2008), è tornato a riscuotere consensi in patria con il bizzarro e orrorifico Ballata dell'odio e dell'amore (2010) e con l'irresistibile horror semi-parodistico Le streghe son tornate (2013), ritrovando una strepitosa Carmen Maura. I suoi ultimi lavori, Mi gran noche (2015) ed El bar (2017), purtroppo non sono mai approdati in Italia.
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Daniel Monzón: nella Cella 211
Non gode della stessa fama dei suoi connazionali appena citati, e pure la sua produzione risulta assai meno ampia, eppure Daniel Monzón è uno dei quei cineasti di cui sarebbe interessante poter riscoprire appieno la filmografia. Nato a Palma di Maiorca, Monzón si è specializzato nel settore del "cinema di genere" in qualità di sceneggiatore e poi anche di regista (il suo film d'esordio, El corazón del guerrero, è datato 1999). Nel 2009 il suo quarto lungometraggio, Cella 211, si è rivelato un fenomeno in patria e non solo, arrivando fino in Italia e guadagnandosi una valanga di consensi: un superbo esempio di dramma carcerario, messo in scena con una sapiente gestione della suspense e abilissimo nell'approfondire le psicologie dei personaggi attraverso il confronto/scontro fra i due protagonisti, un giovane secondino in 'borghese' che si finge un detenuto per sopravvivere a una rivolta carceraria e un carismatico galeotto, leader dell'insurrezione. Nel 2014 Monzón ha firmato il suo nuovo film, il thriller poliziesco El Niño, che a dispetto dell'eccezionale accoglienza in Spagna non è mai stato acquistato per il mercato italiano.
Alejandro Amenábar: occhi aperti sull'orrore
Cileno di nascita (e da parte di padre), ma cresciuto in Spagna, patria della madre, fin dall'età di un anno, in seguito al golpe di Augusto Pinochet, Alejandro Amenábar rappresenta una delle voci più affascinanti e versatili del cinema ispanico degli ultimi vent'anni. Un tratto in comune con gli altri registi citati è la passione per il cinema di genere, ed è proprio il filone del thriller a caratterizzare l'esordio e i primi, grandi successi di Amenábar: nel 1996 il suo lungometraggio di debutto, il giallo a tinte orrorifiche Tesis, ottiene un eccezionale responso in Spagna, bissato l'anno seguente dal suo secondo film, il thriller visionario e surreale Apri gli occhi (1997), con Penélope Cruz, fonte d'ispirazione per il remake americano Vanilla Sky. Apri gli occhi consente inoltre ad Amenábar di realizzare un ambizioso progetto in lingua inglese, con una superstar hollywoodiana come Nicole Kidman: The Others (2001), raggelante e suggestiva ghost story basata su Giro di vite di Henry James, fra i migliori e più popolari horror di inizio millennio.
Alejandro Amenábar cambia completamente genere, invece, per le due pellicole seguenti: Mare dentro (2004), dolente dramma sui temi della malattia e dell'eutanasia, con un intenso Javier Bardem, fa guadagnare al regista l'Oscar per il miglior film straniero, mentre Agora (2009) lo vede confrontarsi con il filone storico mediante la biografia della filosofa greca Ipazia, impersonata da Rachel Weisz. Il suo lavoro più recente, Regression (2015), sempre in lingua inglese, ha segnato per Amenábar un ritorno al thriller psicologico, ma anche un inaspettato passo falso critico e commerciale.
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Juan Antonio Bayona: il richiamo dei mostri
L'ultimo cineasta citato in questa 'rosa', nonché il più giovane del gruppo, è Juan Antonio Bayona, nato a Barcellona e di recente approdato a Hollywood. Rispetto ai precedenti quattro registi, Bayona è quello con la filmografia più ridotta: appena tre lungometraggi realizzati nell'arco di un decennio, a partire da The Orphanage (2007), fortunatissimo horror psicologico con sfumature soprannaturali, prodotto da Guillermo del Toro. Per il suo ritorno dietro la macchina da presa Bayona ha dovuto aspettare il 2012, quando ha presentato il dramma The Impossible, prodotto in Spagna ma girato in lingua inglese, con Naomi Watts nella parte di una madre di famiglia separata dal marito e da due suoi figli a causa di uno tsunami. L'anno scorso è uscito invece A Monster Calls, in uscita prossimamente anche in Italia: una commovente fiaba sospesa fra realtà e fantasia, in cui il senso di smarrimento e di paura di un ragazzo adolescente per la malattia della madre si concretizza nell'apparizione di una gigantesca creatura. Ancora mostri, ma di tipo completamente diverso, li troveremo fra un anno nel prossimo film diretto da Bayona: i famelici dinosauri dell'atteso Jurassic Park 2.