Cult Killer di Jon Keeyes vorrebbe lavorare di atmosfere, e a tratti ci riesce anche. Parte veloce, velocissimo, con un plot twist che non avremmo potuto immaginare, e che subito cambia le carte in tavola. In chiave di opinione, non sappiamo nemmeno se sia giusto anticiparlo, ponendosi come immediato punto di svolta. Una scelta comunque coraggiosa, che potrebbe pagare se non fosse che il plot, scoperto poco a poco, ci tiene a confondere troppo le acque, alternando la limpidezza in funzione di un continuo effetto che finirà per risultare sommessamente confuso.
E se le atmosfere fredde - ma mai glaciali - appaiono come il punto di contatto tra personaggi, storia e regia, Cult Killer sembra scegliere una location potenzialmente esplosiva (e molto cinematografica) come l'Irlanda, senza però darle la giusta rilevanza. Insomma, quello di Keeyes, ad un primo sguardo, è un tentativo di mantenere vive le regole cardine del noir, ponendo un racconto all'interno di un altro e un altro ancora. Una scatola cinese, una matrioska dove i due protagonisti si incastrano, appaiono e poi scompaiono, giocano in un costante vis a vis (che poi è il punto più interessante di tutto il film), intanto che il montaggio (non sempre puntuale) alterna i vari piani temporali.
Cult Killer, tra caccia e cacciatore: la trama
Lo scrivevamo all'inizio della recensione: non sappiamo se il colpo di scena iniziale sia propedeutico nel raccontare e spiegare al meglio Cult Killer. Effettivamente l'effetto sorpresa non manca, e allora proviamo ad evitare lo scoglio, girandoci attorno. Il film, scritto da Charles Burnley, dopo una lunghissima sequenza ambientata in un bar, ci porta dritti dritti ad un salto in avanti di ben cinque anni, e racconta di Cassie Holt (Alice Eve), investigatrice che porta con sé un trauma passato. Ad istruirla al lavoro, Mikeal Tallini (Antonio Banderas). Quando però si palesa una killer, che commette un terribile errore, Cassie dovrà ricorre a tutti gli insegnamenti di Mikeal per risolvere i casi, scoperchiando una verità terribile. L'unico modo per Cassie, di venire a capo degli omicidi, che sembrano correlati al sottobosco cittadino, oscuro e perverso, è quello di stringere alleanza con l'assassina, Jamie (Shelley Henning).
Diversi piani, per un thriller frammentato
In questa traccia, rimpallata tra i numerosi flashback che alterano l'umore del film, Jon Keeyes prova a dare risalto e valore alla sceneggiatura, sottolineando il legame tra il cacciatore e la preda, e rigirando l'equazione facendo perdere - ad entrambe le figure - i punti di riferimento. Di conseguenza, anche lo spettatore prende parte ad un costante cambio di prospettiva, con Alice Eve (e non con Antonio Banderas) sempre al centro della storia. È lei la protagonista, e per quanto possibile l'attrice prova a tenere botta, reggendo il peso dei dialoghi inutilmente enfatizzati (e nel nostro caso, non aiutati dal doppiaggio italiano), e reggendo pure una schematicità narrativa che non riesce mai ad essere fluida come dovrebbe, e come avrebbe meritato l'ottimo spunto della sceneggiatura.
Del resto, non è mai facile sviluppare un thriller costruito su più livelli, figuriamoci se la tecnica non è ben rodata, né raffinata nel sovrapporre le numerose rivelazioni che vengono fuori, puntellando il concetto di mostro, di vittime e di colpevoli, di vendetta e di violenza. Si accentua l'imperfezione e il tormento dei personaggi che abitano una storia lanciata via, venendo meno la gestione degli elementi, spesso inseriti in modo forzato, e accompagnati da una colonna sonora didascalica (Aoifee O'Leary, Gerry Owens), che viaggia in folle. Il punto è che Cult Killer vorrebbe dire molto, riuscendo però ad esprimere poco del suo potenziale. Contemporaneamente, il potenziale noir pecca di sovradosaggio, frammentando anche le cose migliori di un film che scorre via, perdendo pezzi e situazioni, senza andare oltre un contesto tristemente dimenticabile.
Conclusioni
Cult Killer e quello che dovrebbe essere un film d'atmosfera. Atmosfera spesso interrotta e inespressa, mai adatta a reggere una storia dagli ottimi spunti. Se Antonio Banderas e Alice Eve (la vera protagonista) sembrano mettercela tutta (soprattutto la Eve), i dialoghi spesso enfatizzati non aiutano. C'è l'intenzione di strutturare il noir seguendo le regole della letteratura, ma quello di Jon Keeyes non riesce mai a colpire fino in fondo. Peccato.
Perché ci piace
- L'impegno di Banderas e di Alice Eve.
- I toni noir.
- Una buona storia...
Cosa non va
- ...che via via perde pezzi.
- L'atmosfera non fa la differenza.
- I dialoghi inutilmente enfatizzati (anche per demerito del doppiaggio italiano).