Non c'è niente di meglio del basket. E non c'è niente di meglio del basket in formato cinematografico o seriale. Basterebbe questo algoritmo (no, giuriamo non c'è nessun riferimento diretto!) per rendere Crossover un'interessante digressione sul tema sportivo, se non che è tratta dall'omonimo romanzo scritto da Kwame Alexander. Un vero e proprio best-seller, efficace nell'esplicare le molte sfaccettature della black culture, qui traslata attraverso una famiglia di facile riconoscibilità, con cui finiamo subito per fraternizzare. Tra l'altro lo scrittore nato a Manhattan (ma ora vive a Londra) non è molto conosciuto in Italia (nonostante il libro sia rintracciabile anche da noi, ed è edito da Giunti), motivo in più per scoprirlo attraverso una serie a suo modo entusiasmante, dal linguaggio tanto semplice quanto diretto, con un appeal emotivo bilanciato a dovere, tra un'Instagram filters aesthetic e un gruppo di protagonisti immediatamente efficaci.
Non era facile, eppure l'adattamento della Disney Branded Television prodotto, tra gli altri, da LeBron James e da Maverick Carter, per poi essere distribuito su Disney+, si prende la responsabilità del tiro da tre e punti, mescolando l'amata e tipica poetica degli sports drama ad un coming-of-age dalle molte forme e dai molti messaggi, partendo appunto da un nucleo centrale, costantemente a fuoco: una famiglia afroamericana. Perché, come dimostra il titolo, preso in prestito dal gergo, lo show in otto episodi (ognuno dei quali cita un termine baskettaro, come Time Out o Rebound), è un vero e proprio incrocio di tonalità, sorprese e personaggi, nonostante l'intenzione sia subito messa in chiaro dal voice-over che accompagna la narrazione: solo uno dei due fratelli Bell diventerà un giocatore di NBA.
Crossover, un romanzo di formazione
Nello specifico, Crossover segue da molto vicino l'entusiasmo e la maturazione umana e sportiva dei fratelli gemelli Josh 'Filthy' Bell" (Jalyn Hall) e di Jordan 'JB' Bell (Amir O'Neil). Il basket, da sempre, è la loro vita e, con eccellenti risultati, fanno parte della squadra scolastica. Sono bravi, svegli, preparati. Amano le ciambelle e le Air Jordan (come dargli torto?), si ispirano a Kobe Bryant e LeBron e, malgrado la giovane età, sperano di diventare giocatori professionisti, venendo allenati dal loro papà, ex giocatore NBA, Chuck Bell (Derek Luke), alle prese con diversi acciacchi di salute e con una nuova vita che lo tiene lontano dalla competizione.
Ma JB e Filthy sono giovani. Molto giovani. Il talento non basta e l'adolescenza è un momento di passaggio, di scoperte: così Filthy, poco a poco, inizia a perdere interesse per il basket, facendosi distrarre soprattutto da Alexis (Skyla I'Lece). Ma il bilanciamento di Crossover passa anche e soprattutto tramite lo sguardo dolce ma fermo di mamma Crystal (Sabrina Revelle) che, tra l'altro, è l'intransigente preside della loro scuola. In questo senso, la narrazione tiene in modo efficace i diversi capi che avvolgono la storyline, concentrandosi sui fratelli e sui loro genitori, intenzionati ad essere dei veri e propri punti di riferimento.
Basket e famiglia
In fondo, si può dire che sono proprio i punti di riferimento ad sposatare la poetica di Crossover: il campo da basket, i banchi di scuola, le figure genitoriali, legate ad un archetipo chiaro tuttavia originali all'interno dell'economia del racconto. Ovviamente, per il suo cuore appassionato e la sua prerogativa luminosa, Crossover, sviluppata da Kwame Alexander e Damani Johnson, non è nulla di imprescindibile, originale o indimenticabile, eppure la naturalezza e la delicatezza intrisa potrebbero soddisfare un pubblico potenzialmente ampio, allontanando per il tempo necessario le infinite distrazioni che alterano la visione seriale.
Il basket è naturalmente presente, e le sue dinamiche si prestano bene alle metafore raccolte dalla sceneggiatura: l'unione, la consapevolezza, il sacrificio, la famiglia come viatico indispensabile nella realizzazione finale. E poi le scelte, quelle che ci delineano come individui, che agitano e sconquassano ogni tassello futuro. Un romanzo di formazione impresso su un parquet, suddiviso e spezzettato nel tipico linguaggio da tv series, sottolineando qua e là, a mo' di pop-up visivo, alcune parole fondamentali su cui si soffermano i protagonisti, così come avviene nel romanzo originale. Il motivo? Dietro l'aspetto generazionale, dietro la centralità identitaria ed emotivo (ecco, magari un maggiore humour avrebbe aiutato), Crossover non dà per scontato i suoi spettatori, bensì ci ricorda che nella vita si può sempre imparare. E no, non solo a tirare a canestro.
Conclusioni
Come scritto nella recensione di Crossover, partendo da un ottimo materiale originale lo show diventa una buona serie tv incentrata sul basket ma, soprattutto, sulla famiglia, sulla crescita e sull'identità. Una buona messa in scena e un buon cast, al netto di una linearità generale che, di certo, non brilla per originalità.
Perché ci piace
- Il basket!
- E il basket come metafora di crescita.
- L'atmosfera famigliare.
- Gli attori, tutti in parte.
Cosa non va
- L'umorismo c'è, ma non così tanto.
- Un prodotto lineare, in cui l'originalità non è certo preponderante.