"Il primo Rocky è una canzone di Springsteen lunga due ore". Citiamo questa frase di Francesco Bondi, nostro lettore nonché utente della community Movieplayer Cafè, perché non sapremmo dirlo meglio. Viscerale, struggente, potente, il primo Rocky non si scorda mai. Ma ci siamo stupiti, in tanti, ad assistere con tanta passione, più di quarant'anni dopo, ai nuovi episodi di una saga unica, che nel tempo continua a tenerci incollati allo schermo. Sembrava chiusa, con tenerezza e nostalgia, con l'intenso Rocky Balboa, del 2006. Sembrava il canto del cigno di Rocky. Lo era solo per il Balboa atleta, per il pugile sul ring.
E invece Sylvester Stallone, che ama così tanto il suo alter ego di celluloide da non riuscire a lasciarlo andare, ha saputo rilanciare la saga, mettendo in scena un nuovo personaggio, Adonis Creed, figlio di quell'Apollo Creed che, da leale avversario, era diventato un suo grande amico. E così la storia è ripartita con una nuova energia. Sylvester Stallone ha saputo ritagliare per il suo Rocky il ruolo del mentore, del saggio, un maestro Myiagi, o un maestro Jedi. Ma con tutte le fragilità e le imperfezioni che ce lo hanno fatto sempre amare. Creed - Nato per combattere e Creed II, riescono allo stesso tempo a riprendere alcuni canoni della saga di Rocky, a rileggerli senza copiarli, e ad essere qualcosa di nuovo. Allora ci siamo chiesti perché amiamo così tanto Rocky, e perché aspettiamo Creed II.
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Perché è un film sulla boxe
Non c'è niente da fare. La boxe è il più cinematografico degli sport. Niente, a livello sportivo, funziona sullo schermo come il pugilato. Da Lassù qualcuno mi ama a Toro scatenato, da Million Dollar Baby a The Fighter, il pugilato è una sfida contro se stessi ed i propri limiti, è un uno contro uno contro un avversario preciso. È forza e potenza, ma anche coreografia. È qualcosa che permette alla macchina da presa di muoversi intorno al match, di essere dentro al match, di darci le soggettive dei pugni presi in faccia, di selezionare al ralenti ogni goccia di sudore, ogni deformazione del volto. Man mano, nella saga di Rocky che ora è diventata quella di Creed, il linguaggio del cinema si è contaminato con quello dello storytelling televisivo del match. Ma, se le televisioni oggi ci raccontano ogni secondo dello sport in alta (a volte fin troppo) definizione, il cinema ha ancora il potere di raccontarci quello che c'è prima, quello che c'è dopo, quello che c'è dentro il gesto sportivo.
Perché non è un film sulla boxe
In che senso? Nel senso che i Rocky, e ora i Creed, non sono solo questo. I Rocky possono parlare a tutti noi, anche a chi del pugilato non frega alcunché. Alla boxe potete sostituire una qualunque sfida, piccola o grande, pubblica o privata, che vi è capitata nella vita. La saga di Rocky ci insegna a soffrire, a convivere con il dolore, a saper incassare. A rialzarci ogni volta che cadiamo, a non darci mai per vinti. A combattere, e a trovare qualcosa per cui valga la pena combattere. E a fare i conti con quello che siamo, e con quello da cui non possiamo scappare. L'espressione è abusata, certo, ma Rocky è una metafora della vita.
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Perché ci racconta chi è Sylvester Stallone
In quel lontano 1976 ecco arrivare un piccolo film, costato solo un milione di dollari, che ne incassò 117, e divenne un caso: Rocky vinse tre Oscar, a film, regia e montaggio, e la nascita di una stella, quel Sylvester Stallone che credeva che ormai non ce l'avrebbe mai fatta. Con il tempo lo abbiamo capito: Rocky è così riuscito perché parla di lui, perché è lui. E in questi anni, seguendo Balboa, abbiamo imparato a capire Sly: la sua ingenuità, il suo cuore, la sua determinazione, la sua dignità. Rocky è Stallone e Stallone è Rocky. Abbiamo seguito la sua gavetta, la sua esplosione, il suo diventare star, e il suo difficile rapporto con il successo. E poi il suo declino, la paura di cadere nel dimenticatoio, E il suo bisogno di tornare, e di non dimenticare le proprie radici. E, infine, la voglia di esserci sempre, di lavorare dietro le quinte, scrivere e produrre come consigliare e allenare. Essere un mentore, come essere uno sceneggiatore, significa aiutare i propri eredi a scrivere la propria vita. Creed è anche questo.
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Perché siamo cresciuti negli anni Ottanta
Questo non vale per tutti, diciamolo. Ma molti di noi sono cresciuti negli anni Ottanta, quando i primi Rocky passavano in televisione e i seguenti al cinema. Sono stati anni tutto sommato spensierati, di relativo benessere e serenità. E quella favola funzionava sempre. Anche i meno violenti, anche i ragazzi che non pensavano affatto di fare a botte, mimavano tra di loro i movimenti di Rocky, di Apollo, di Clubber Lang. Rocky era liberatorio, catartico, sublimava la violenza in una danza sul ring, finiva raccontandoti sempre che le cose si sarebbero sistemate. In quegli anni di serenità che sono state le nostre infanzie, c'era solo quell'incubo, un po' lontano ma incombente, della Guerra Fredda. Quel freddo ci arrivava a momenti, a folate, ma c'era. Ce lo ricordava qualche film, e magari qualche canzone, come Russians di Sting. E proprio Rocky, in Rocky IV, aveva fiutato il segno dei tempi che stavano cambiando. "Se io posso cambiare, e voi potete cambiare, tutto il mondo può cambiare" dice il nostro eroe a Mosca, dopo il match con Ivan Drago. Ingenuo, buonista, semplicista. Ma a noi, in quel momento, suonava come il War Is Over If You Want It di John Lennon. Non fu per merito di quel film, ma negli anni seguenti il mondo cambiò. Anche se sarebbe durato poco.
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Perché vogliamo sapere come è andata a finire la storia di Rocky IV...
Non capita spesso a un film di essere un doppio sequel. Creed II è allo stesso tempo un sequel di Creed - Nato per combattere ma anche di Rocky IV. Sì, tornare a vedere quella storia con occhi diversi è interessante. Perché ne abbiamo seguito una parte. Sappiamo com'è andata quella di Rocky. Ma che ne è stato di Ivan Drago? Creed II comincia da qui. Siamo a Kiev, in Ucraina, in un mondo grigio: Ivan ha un figlio, Viktor Drago, una montagna di muscoli come lui, ma anche un bambino senza madre. Scopriamo infatti che lui e il padre sono stati abbandonati dalla madre, Ludmilla, dopo quella sconfitta. E così è stato per l'ingrato establishment sovietico. Per Ivan Drago, da quella sera, è cambiato tutto. E, mentre Rocky nel suo paese è amatissimo, Ivan è un signor nessuno. Ce lo racconta in un appassionato monologo un Dolph Lundgren maturo, canuto, con un filo di barba e delle rughe che raccontano una storia: è diventato un bravo attore. E Drago è diventato un personaggio a tutto tondo, e non il robot monodimensionale di Rocky IV.
Perché vogliamo sapere come è andata a finire la storia di Creed...
Ma in quel Rocky IV c'era anche un'altra storia. Quella del grande amico di Rocky, Apollo Creed, caduto sul ring nello scontro/massacro contro Ivan Drago. E Creed II è anche la continuazione di Creed, che è la storia di Adonis, figlio illegittimo di Apollo, un ragazzo cresciuto senza padre e, soprattutto, senza sapere chi è il grande Apollo Creed. La sceneggiatura, sapientemente scritta da Sylvester Stallone con Juel Taylor, per continuare la storia iniziata con Creed e porre il protagonista davanti a sfide ancora più dure, sceglie di fargli incrociare il figlio del pugile che gli ha ucciso il padre. Sfidare Viktor Drago significa anche combattere nel nome del padre: Apollo. Significa allo stesso tempo vendicarlo, riscattare il suo nome, e confrontarsi con lui, dimostrare di essere degno di portarlo. Quella del confronto con il padre è una sfida mitica, da tragedia greca o shakespeariana. "Il pubblico vuole questo: Creed contro Drago", dice il promoter dell'incontro che sta per organizzare. Ed è quello che vogliamo anche noi.
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Perché amiamo che ci venga raccontata sempre la stessa storia
Rocky e Rocky II, Rocky III, Rocky IV, Creed II. Con delle variazioni, a volte minime, a volte più marcate, tutti i film della saga, in fondo, raccontano una stessa storia, che segue lo stesso schema: sofferenza, caduta, reazione, resilienza, vittoria. In Creed II troviamo un protagonista che raggiunge il titolo mondiale, che perde gli stimoli e deve ritrovarli per ritrovare la vittoria ed essere a posto con se stesso. Uno schema visto in molti Rocky, in particolare a cavallo tra Rocky II e Rocky III. Lo troviamo alle prese con la paternità, come Balboa in Rocky II. Tutto questo vuol dire che Rocky è un racconto archetipico, è come l'Iliade e l'Odissea, è moderna epica. È come Guerre stellari, quello che ora conosciamo come Episodio IV, destinato a ritornare nella trama di Episodio I ed Episodio VII. Come le antiche leggende venivano tramandate oralmente, e facendolo mutavano, ma mantenevano i tratti salienti, così certi film ritornano, con nuove storie e protagonisti ma con schemi consolidati. E siamo noi che vogliamo così. Vogliamo rivivere le stesse storie, le stesse esperienze, vogliamo ritrovarci in certe sensazioni. Perché abbiamo bisogno di essere rassicurati, di ritornare in certi luoghi. Come quelle favole che amavamo ascoltare più volte. O come un album che mettiamo spesso sul piatto. In un Rocky, o in un Creed, a un certo punto, in qualche modo, ci deve essere la fanfara, ci deve la corsa sulla scalinata.
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Perché Rocky è il film del pubblico
Lo abbiamo capito in occasione dell'uscita di Rocky Balboa, il film che, nel 2006, ha riconciliato un po' tutti con il mito di Rocky, il sesto film della saga, il Rocky crepuscolare. Dopo l'anteprima stampa, dove alcuni momenti sono stati accolti da applausi, lo abbiamo rivisto al cinema Atlantic, in via Tuscolana, a Roma. In un'atmosfera che definire "da stadio" è poco. Tifo continuo, e applausi a scena aperta scattati almeno quattro volte durante la visione del film. Rocky è amatissimo, è l'eroe del popolo, è l'eroe del pubblico.
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Perché ci sono Adonis e Bianca
Che vogliamo ancora Rocky, che non ne abbiamo mai abbastanza, lo abbiamo capito. E, se siamo qui ad aspettare Creed II, è per lui. Ma non era così scontato il fatto di affezionarsi ai nuovi personaggi che sono entrati nella saga. Adonis Creed, il personaggio che dà il nome agli ultimi due film, è un ragazzo appassionato, orgoglioso, impulsivo, ma anche fragile. A dargli il volto e il corpo è Michael B. Jordan, che, agli inizi della carriera, ha già interpretato uno sportivo: era un giocatore di football nella serie Friday Night Lights, e l'abbiamo visto anche in Prossima Fermata Fruitvale Station e in Black Panther. Bianca, la ragazza di cui si è innamorato nel primo Creed, è una donna tenera e determinata, che ha un handicap - è non udente - ma prova a farcela lo stesso nel mondo della musica. A interpretarla è la lanciatissima Tessa Thompson che, dopo Westworld e Thor: Ragnarok, vedremo anche nel nuovo Men In Black. La chimica fra i due funziona, e il loro amore è molto meno sfumato di quello tra Rocky e Adriana. Sì, i due ragazzi sono molto sexy. Se aspettiamo Creed II è anche per loro.