Fabio non aver paura di sbagliare un calcio di rigore. Non è da questi particolari che si giudica un calciatore.
Citiamo De Gregori, con una piccola licenza poetica sul nome, perché ci è venuta in mente durante una delle scene chiave del film Crazy for football - Matti per il Calcio. Il film di Volfango De Biasi con Sergio Castellitto, che è andato in onda il 1° novembre in prima serata su Rai 1 dopo essere stato presentato Festa del Cinema di Roma. Crazy for football - Matti per il Calcio nasce da una storia vera, quella dello psichiatra Santo Rullo, l'ideatore della Nazionale Italiana di calcio a cinque formata da persone con problemi di salute mentale, e dall'omonimo documentario di Volfango De Biasi, vincitore del David di Donatello nel 2017. È una storia in grado di conquistare davvero tutti. Santo Rullo, a un certo punto della sua vita, si è convinto che il calcio potesse davvero aiutare chi soffriva di un disagio psichico, perché riusciva a portarli nella condizione in cui erano prima che insorgesse la malattia. Contro il parere scettico del professor De Metris (Massimo Ghini), il primario dell'ospedale, e con pochi alleati, tra cui la sua segretaria (Antonia Truppo), la figlia (Angela Fontana) e un allenatore finito nel dimenticatoio (Max Tortora), riesce a coronare il sogno di questi ragazzi e a portarli al mondiale di calcio.
Sergio Castellitto: la materia della psiche è intrinseca al lavoro dell'attore
Crazy for Football - Matti per il calcio è un film riuscito già a partire dalla scelta del cast. In particolare, Sergio Castellitto è un Santo Rullo perfetto, nell'aspetto fisico come nell'umanità. "Avevo visto il documentario di Wolfango De Biasi" ha raccontato l'attore alla Festa del Cinema di Roma. "E la materia della psiche è una materia che è propria, intrinseca del mestiere dell'attore. Si tratta di un mondo che avevo frequentato ai tempi de Il grande cocomero e anche nella serie In Treatment". A Castellitto è piaciuto da subito il suo personaggio, una versione romanzata del vero Santo Rullo, che sullo schermo funziona. "Lo psichiatra, che è quello che ci consegna le chiavi per capire meglio noi stessi, è una persona problematica anche lui" riflette. "Non è un uomo perfetto, è un padre inadeguato, un marito fuggitivo. Anche questo è un aspetto che è piaciuto molto. Sono le fragilità che ci rendono importanti, non la nostra perfezione".
Sergio Castellitto: Il calcio, un mondo dove si aggregano tante solitudini
Sergio Castellitto riesce a centrare bene la chiave di lettura di questa storia, e il senso che ha il calcio per persone che hanno problemi mentali. "Ho provato un grande entusiasmo nel lavorare sulle solitudini" riflette Sergio Castellitto. "Il calcio è un gioco di squadra, è un mondo dove si aggregano tante solitudini. Il disagio mentale è solitudine. Vedere tanti ragazzi e uomini, e vedere come si potesse guarire, parola fuori luogo perché non credo che si guarisca, è stato importante. Ci siamo trovati con un bellissimo film nell'anno in cui le abbiamo cantate a tutti e lo sport italiano ha vinto tutto". "Da queste cose non si guarisce" precisa poi Castellitto. "Ma da quella esperienza si esce amici di qualcuno, con una relazione. La solitudine è il vero disagio oggi".
Volfango De Biasi: del sociale va raccontata la bellezza
Volfango De Biasi ha dimostrato più volte, nella sua carriera, una grande sensibilità, e non solo di riuscire a far ridere. Qui riesce a raccontare il disagio mentale senza alcun pietismo, ma in modo empatico, a tratti epico. "Per me la sfida del raccontare il sociale, da quando da bambino vedevo la Pubblicità Progresso e tutto quel pietismo, è che al sociale vada riservata la Rolls Royce" commenta il regista Volfango De Biasi. "Che di questo mondo vada raccontata la bellezza". Proprio per questo ha voluto confezionare un film che potesse essere visto da un pubblico il più ampio possibile. "Questa è la prima volta che dirigo per la tv, non volevo fare un film di nicchia, sono contento di arrivare su Rai 1 ed essere visto da tutti" commenta.
Volfango De Biasi: volevo lavorare proprio con i pazienti
C'è Sergio Castellitto, c'è Massimo Ghini, c'è Max Tortora, e ci sono Angela Fontana e Antonia Truppo. Ma ci sono anche tanti attori, tutti azzeccatissimi, che scompaiono nei loro personaggi (Raffaele Vannoli, nel ruolo di Sandrone, è eccezionale) tanto da far credere che siano davvero delle persone con disagio psichico. "La tentazione era quella di lavorare proprio con i pazienti" confessa Volfango De Biasi. "Ma i tempi del cinema, imparare a memoria un testo, rendevamo tutto difficile. La nostra psichiatria, che viene dalla legge 180, ha fuori i casi più gravi, nella nostra squadra c'erano schizofrenici in forma grave. Così ho deciso di prendere degli attori". "Una persona su cinque oggi sperimenta il disagio psichico, ci sono stati violenti che possono portare al suicidio e a isolarsi" continua De Biasi. "Questo è importante perché il calcio lo giocavamo prima che insorgesse la malattia psichiatrica, ti porta alla follia collettiva per la maglia azzurra, è un grande linguaggio popolare. La palla passa da me a te ed è comunicazione. È stato bellissimo condividere questa avventura con un gruppo così motivato, con il mio amico d'infanzia Santo Rullo, con Sergio Castellitto, con Enrico Zanchini interpretato da Max Tortora, invecchiato per farne un underdog".
Matti per il calcio: il movimento va avanti da 20 anni
Questa storia, e questa nazionale, sono la punta dell'iceberg, la parte più esposta di un movimento attivo in tutta Italia. "Il movimento delle Asl si chiama Matti per il calcio, grazie a noi" racconta Volfango De Biasi. "La calcio terapia va avanti da 20 anni e da lì è nata la mia curiosità. La nazionale è la punta di diamante, la volontà di uscire dal mondo della psichiatria. Ci sono campionati in ogni città, campionati nazionali. Nel 2018 abbiamo giocato il Mondiale e lo abbiamo vinto a Roma e Rai Sport ha coperto tutte le partite. La Nazionale e il film sono nati per andare al di là della calcio terapia e andare a vedere cosa c'è fuori". Anche nel film si vedono le dirette di Rai Sport, le telecronache di Marco Mazzocchi e il commento di Marco Tardelli.
Crazy for football: il calcio come terapia
Una società di produzione che si chiama Mad...
Ma a credere in questo progetto dall'inizio è una coraggiosa società di produzione. "È una società che non a caso si chiama Mad" racconta la produttrice Maria Carolina Terzi. "È una società che cerca progetti o che incontra progetti che sono vicini all'anima delle persone che ci lavorano. Crazy for Football è nato per caso, un'amica mia e di Volfango ci ha fatto incontrare, ed è nato il documentario che ha vinto il David di Donatello nel 2017". "Pensavamo che la storia di questi ragazzi fosse un esempio dell'Italia migliore" continua. "Anche in quest'anno in cui l'Italia sembra essere sotto astri benevoli, sotto il cielo ci sono persone come Santo Rullo che vanno raccontate. È un'Italia che ama quello che fa. Il disagio nasce da cose che possono accadere a tutti noi: Ruben è un ragazzo a cui il padre torna a casa in sedia a rotelle e lui si chiude in camera. Ma questo è un film anche divertente, è una commedia alla quasi amici".
Antonia Truppo: ho sempre temuto la malattia mentale
In un cast ad alto livello di empatia spicca Antonia Truppo. "Ho sempre avuto paura della malattia mentale, di essere io un giorno quella persona sola" ha confessato alla Festa di Roma. "Ho avuto conoscenze prossime con questi problemi lo ho sempre temuti. Il film non sminuisce questo problema e lo fa venire fuori in maniera più vera".