Con questa recensione di Coyotes, miniserie disponibile su Netflix, torniamo nel fertile terreno della produzione belga, che sulla piattaforma streaming ha regalato soprattutto incursioni in territorio fantasy e/o horror, talvolta intrise di quello humour bislacco e nero che è tipico dell'audiovisivo di quel paese (basti pensare alla filmografia di Benoît Poelvoorde). In questo caso si tratta del lavoro congiunto di tre sceneggiatori: Axel du Bus de Warnaffe, Vincent Lavachery (che con il collega ha già lavorato alla serie thriller svizzera Quartier des Banques) e Anne-Lise Morin, che ha invece recentemente collaborato con il connazionale Joachim Lafosse, uno dei massimi esponenti del cinema belga contemporaneo, spesso selezionato al Festival di Cannes. Un bel miscuglio per una miniserie che promette, per l'ultimo mese dell'anno, di attirare l'attenzione degli abbonati di Netflix con la sua miscela di elementi teen e crime.
Scout e diamanti
Coyotes è la storia di un gruppo di scout che arriva in un apposito campo che, a insaputa dei diretti interessati, è diventato l'epicentro di un traffico di diamanti e soldi sporchi che coinvolge anche le forze dell'ordine. I giovani trovano parte della refurtiva, a cui si aggiunge della droga rinvenuta da uno di loro, Kevin (Louka Minella, una delle giovani promesse del cinema belga di oggi, che ha già avuto modo di lavorare con i fratelli Dardenne, per esempio), e questo comincia a mettere alla prova il senso morale di ciascuno del gruppo, senza dimenticare che entrambe le parti delle losche trattative vogliono assicurarsi che tutto vada per il verso giusto. Il che significa che se sarà necessario togliere di mezzo qualche ragazzino, anche in modo brutale, i membri con meno scrupoli in seno alle varie organizzazioni non esiteranno a sporcarsi le mani nei boschi che circondano la zona...
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Prevedibile ma divertente
La miniserie non propone nulla di particolarmente nuovo, ed è forse anche il motivo per cui Netflix si è interessata al progetto, potendo contare sull'algoritmo per entrare nell'orbita di chi si diverte con storie a base di adolescenti, crimini o entrambe le cose (basti pensare al grande successo di Riverdale, ma anche al controverso Tredici che ha chiuso i battenti lo scorso anno dopo quattro stagioni). E c'è un che di algoritmico anche nella costruzione del racconto, con peripezie e momenti forti che si susseguono con ritmo serrato, senza celare l'impressione che questo sia un titolo che poteva benissimo funzionare su due ore ma che con qualche lungaggine in più (i rapporti personali tra i ragazzi sanno spesso di riempitivo) arriva a quasi il triplo, come sovente capitato con diversi progetti streaming che, avvalendosi del fattore bingewatching, la tirano per le lunghe sapendo che lo spettatore medio non ci farà caso.
Eppure, a suo modo funziona, puntando sulle atmosfere pulp senza avere particolari pretese e regalando così al pubblico una simpatica distrazione il cui scopo principale è ricordarci che il catalogo di Netflix è davvero globale. Particolarmente efficace è quando ci sono di mezzo gli adulti, cattivi o meno, che rispetto ai più giovani sembrano aver capito esattamente in che tipo di prodotto sono e quindi si adeguano al tono generale. E viene quasi voglia di vederli in azione in una miniserie tutta loro, senza i per lo più anonimi scout di mezzo, a rimpolpare le non indifferenti fila del genere crime di fattura belga. Per ora bisogna accontentarsi di questa versione, discontinua ma nel complesso divertente, perfettamente nella media di ciò che Netflix ha da offrire quando non sono coinvolte particolari ambizioni autoriali.
Conclusioni
Chiudiamo la recensione di Coyotes, miniserie belga che arricchisce il catalogo internazionale di Netflix con un mistero teen a base di stilemi elementari ma abbastanza efficaci, nel buio dei boschi.
Perché ci piace
- L'atmosfera lugubre è gradevole ed efficace.
- I personaggi adulti funzionano alla grande.
- I momenti pulp sono gestiti bene.
Cosa non va
- I protagonisti giovani funzionano solo a intermittenza.