Cos'è la verità?
James (Tom Wilkinson) e Anne Manning (Emily Watson) conducono una vita agiata nei sobborghi di Londra. Lui è un ricco avvocato d'affari, lei una casalinga alto borghese che cerca di impiegare il tempo, affettuosa verso il marito, diligente nella conduzione della casa. La loro esistenza fluisce felicemente fra ricevimenti, macchine lussuose, cani scodinzolanti e boschi tinti dai colori autunnali.
Quando nel loro mondo fa la sua comparsa l'affascinante aristocratico Bill Blue (Rupert Everett), la sua arroganza annoiata e la sua maleducazione sembrano solo una piccola nota stonata in una sinfonia di privilegi e gradevolezze. Poi, nel giro di un brevissimo lasso di tempo, una serie di menzogne e di sfortunate coincidenze sembra far precipitare tutto, mettendo i due di fronte a una realtà che non credevano potesse appartener loro.
Ciò che capita a James e Anne non è una vendetta del destino che toglie quello che troppo precipitosamente ha dato. Il tragico incidente che apre il film scorre così velocemente su uno sfondo di spensieratezza che ci è difficile persino registrarlo. I Manning sembrano in qualche modo meritare la propria felicità: per la loro onestà, la loro integrità morale, la loro condotta sobria, la loro benevolenza verso gli altri.
La menzogna iniziale di Anne innesca un meccanismo di contaminazione che fa marcire in maniera inarrestabile tutta la loro realtà, permeata da un senso morale che credevano autentico. Anne cede di schianto; travolta dal peso della responsabilità decide di rinunciare a ogni decenza, a ogni freno, a ogni inibizione, quasi a voler diluire nella scelleratezza la propria colpa. James, al contrario, si batte come un leone per difendere il sistema di valori in cui è cresciuto, e che ha contribuito fino ad allora a fortificare ogni giorno. La sua presa di coscienza, la sua resa, saranno ancora più dolorosi.
Bill Bule, un personaggio profondamente tragico, è lì a far da catalizzatore, a far precipitare gli eventi, a farci domandare quale debba essere Il valore dell'egoismo e della bontà, della menzogna e della verità e quali le conseguenze che queste hanno sulla nostra vita e sulle persone che ci circondano. Gran personaggio il suo, molto "carico", narrativamente e per come è caratterizzato. Rupert Everett se la cava alla grande.
Un giorno per sbaglio è una strana sorta di giallo esistenziale che sotto le spoglie di una detective story si rivela ben presto essere una specie di "labirinto morale che porta lo spettatore a cambiare costantemente punto di vista".
Julian Fellowes, che si era già segnalato ottenendo un buon riscontro di critica e di pubblico per le sceneggiature di Gosford Park e di La fiera della vanità, qui al suo debutto alla regia, lo dirige con diligenza, senza particolari mancanze ma anche senza alcun guizzo illuminante affidandosi a un cast eccezionale e a una scrittura attenta, profonda e sensibile.