Le premesse della nuova, avvincente awards race, al via in questi giorni con le prime selezioni da parte di enti e associazioni filmiche. Al via in questi giorni la lunga corsa verso gli Oscar del 7 marzo prossimo.
Arriva il mese di dicembre e se per il panorama cinematografico nostrano è destinato a popolarsi soprattutto di cinepanettoni e commedie all'italiana, oltreoceano l'ultimo mese dell'anno, in ambito cinematografico, vuol dire principalmente una cosa soltanto: l'inizio della Awards Season, ovvero la stagione dei premi. Il che non significa soltanto un gran numero di nomination, riconoscimenti e celebrazioni per le categorie più disparate da parte un'infinità di associazioni, ma anche che le sale americane si preparano all'invasione di tutte quelle pellicole che, nel bene o nel male, saranno le protagoniste di questi lunghi mesi che porteranno agli Oscar 2010 il prossimo 7 marzo.
Tra le uscite USA delle prossime settimane si possono notare quindi pezzi da novanta come Invictus, Amabili resti, Avatar, Nine ma anche pellicole di minore impatto mediatico come The Hurt Locker, The Young Victoria o A Single Man che comunque proveranno ad inserirsi nella corsa alle statuette d'oro; per non parlare poi di altre pellicole indie quali Precious o Crazy Heart che aumenteranno il loro numero di sale e soprattutto la loro visibilità cercando di diventare i nuovi The Millionaire della stagione.
Al momento attuale appare ancora impossibile fare delle previsioni che non vadano oltre il banale, di certo Nine ha tutte le caratteristiche giuste per poter aspirare a (tanti) Oscar: è un musical, ha alle spalle un regista che ha già vinto come Miglior Film per Chicago, ha un cast che definire all-star è quasi riduttivo e per di più omaggia il cinema stesso ed uno dei suoi più grandi maestri (Federico Fellini). Altrettanto banale può essere definire come il più grande dei rivali l'Invictus di Clint Eastwood, ovvero l'ultima pellicola del più grande protagonista delle awards race di questo decennio, che con questa biopic (e due protagonisti molto amati e apprezzati dall'Academy come Matt Damon e Morgan Freeman) sembra proprio voler fare il possibile per mettere i bastoni tra le ruote al "povero" Rob Marshall. Facile pensare anche ad una pioggia di premi tecnici per il nuovo film di James Cameron (anche se dopo aver imparato la lezione Titanic sarebbe quantomeno lecito aspettare di vedere il film al completo prima di tirarlo fuori dalla corsa per i premi più prestigiosi) e ad un ruolo da underdog per l'emozionante Precious.
Non ci sono da sottovalutare però due aspetti che renderanno questa corsa verso gli Oscar diversa dal solito e, speriamo, più affascinante: la prima differenza rispetto agli anni precedenti è relativa alla data che, come già successo quattri anni or sono a causa della coincidenza con le olimpiadi invernali, è posticipata ai primi di marzo; si dice che questo spostamento potrebbe favorire in qualche modo i film più piccoli (nel 2006 vinse l'indipendente Crash - Contatto fisico), che non potendo affidarsi a grandi budget e grandi campagne mediatiche hanno più tempo per acquisire visibilità e potenziali estimatori. L'altra novità è invece a dir poco clamorosa, ovvero l'aumento del numero di nomination per la categoria principale (Miglior Film) da cinque a dieci: da quando è stata annunciata lo scorso giugno si è detto tutto e il contrario di tutto, la verità è che così facendo si è (r)aggiunta una sensazione di maggiore imprevedibilità che mancava da tanto tempo.
In questo clima di incertezze c'è però sicuramente un dato oggettivo sempre più preoccupante: la carenza di ruoli da protagonista di peso per le interpreti femminili, per lo meno a Hollywood. Basta guardare al gruppo delle favorite per notare come, a parte la solita, grande Meryl Streep, in gara con quello che è anche un film "minore" come Julie & Julia, e l'esordiente eroina di PreciousGabourey 'Gabby' Sidibe, non ci siano in lizza attrici americane. Così, come d'altronde negli anni scorsi, c'è spazio per le britanniche, come l'emergente Emily Blunt per The Young Victoria, la lanciatissima Carey Mulligan di An Education o la già titolata Helen Mirren per The Last Station. Si parla poi delle recenti Oscar-winner Penelope Cruz e Marion Cotillard per Nine, e delle ancora più esotiche e bravissime Shohreh Aghdashloo per The Stoning of Soraya M. e Catalina Saavedra per La nana - The Maid. Anche per quanto riguarda la categoria destinata alle non protagoniste, la situazione non è meno desolante, con una Mo'nique che sembra avviarsi a vincere (per altro meritatamente) per Precious sbaragliando una concorrenza quasi inesistente - tanto che la Weinstein Company, che giustamente punta grosso su Nine, spera di inserire Bastardi senza gloria nelle categorie attoriali oltre che con Christoph Waltz anche con la francese Melanie Laurent.
Non si tratta di una novità: nell'ultimo decennio, tra le attrici più richieste, amate e blasonate - le varie Nicole Kidman, Cate Blanchett, Naomi Watts, tutte "adottate" da Hollywood - era già difficile trovarne una nata in America, ma questo poteva far pensare a qualche carenza a livello formativo e a una possibile difficoltà ad emergere. Quest'anno, l'assenza di ruoli di alto livello nei film hollywoodiani anche per le dive potrebbe essere una nefasta coincidenza, o un'ulteriore involuzione su cui forse varrebbe la pena di riflettere.