Dopo il passaggio alla Quinzane des réalizateurs dell'ultimo festival di Cannes, arriva in Italia, distribuito dall'Istituto Luce, il film d'esordio di Corneliu Porumboiu, vincitore della Camera d'Or alla kermesse francese. A est di Bucarest si conferma film fortunato anche in Italia, ancora prima della sua uscita ufficiale nelle nostre sale. Il film ha infatti ottenuto importanti riconoscimenti a due festival della nostra penisola, che sono stati consegnati al cineasta rumeno durante la conferenza stampa di presentazione alla Casa del cinema di Roma. Il primo è stato il Gobbo d'oro, che Porumboiu ha ricevuto dalle mani di Marco Bellocchio, presidente del Bobbio Film Festival, il quale ha definito il film "un piccolo capolavoro". L'altro, doppio, gli è stato consegnato da Carlo Verdone che ha visto trionfare A est di Bucarest al suo Terra di Siena Festival. «Nel nostro festival abbiamo una sezione di film in concorso di produzioni indipendenti europee che ci fanno vedere nuove tendenze, nuovi autori e nuove storie» ha dichiarato il regista romano «Il pubblico, che è stato molto numeroso, ha votato all'unanimità il film di Porumboiu e al momento di votare per il miglior attore protagonista ha deciso di premiare tutti e tre i co-protagonisti del suo film, perché tutti straordinari, merito del regista, che ci propone un cinema davvero interessante, che ha molto da raccontare a noi occidentali perché si sa poco della storia di questi paesi dell'est». Il regista Porumboiu ha poi risposto alle domande dei giornalisti presenti in sala.
Perché ha scelto di girare un film sulla caduta del comunismo in Romania, ambientato però ai giorni nostri?
Mi ha ispirato un programma televisivo che ho visto nella mia città ben sei anni fa e che poi ho scelto di raccontare in questo film, con questi tre personaggi che parlano di quello che è successo alle 12:08 del 22 dicembre del 1989, l'ora in cui in televisione è stata trasmessa la fuga del dittatore Ceausescu e, quindi, la fine del regime comunista. All'inizio del programma ho cominciato a ridere, ma poi sono diventato furioso ed ho spento la televisione. Volevo che accadesse la stessa cosa con il mio film, che ha quell'umorismo tipico della nostra cultura orientale e riprende quel modo molto viscerale di raccontare e mettersi a discutere di quello che è accaduto alle 12:08 di quel giorno.
Dove si trovava lei quel giorno a quell'ora?
Avevo quattordici anni all'epoca e a quell'ora giocavo a ping-pong con un amico fuori casa. Quando sono rientrato ho trovato tutta la mia famiglia riunita attorno al televisore, come tutto il resto del paese, perché alle 12:08 di quel giorno erano tutti a guardare la fine del comunismo in diretta televisiva.
Nel suo film si discute sulla rivoluzione rumena: c'è chi dice che c'è stata e vi ha partecipato e chi sostiene che nessuno è mai sceso in piazza prima della fuga di Ceausescu. E' un dibattito ancora così rilevante in Romania?
Il mio film parla della marginalità e delle apparenze. Mi attraeva questa idea di vedere cosa succedeva nella periferia del paese. Ci sono persone che hanno provato ad entrare, a partecipare alla Storia, come uno dei protagonisti che sostiene di aver fatto la rivoluzione. La gente che chiama alla trasmissione invece sostiene che quest'uomo beve e un eroe non può bere. L'unico suo amico è uno straniero, un cinese che lo difende e che crede in lui. Durante il periodo di documentazione per la stesura della sceneggiatura c'è stato questo dibattito: abbiamo partecipato davvero a questa rivoluzione o no? Ognuno degli individui presenti nel mio film dà la propria versione della storia, basata sui propri ricordi. Le cose cambiano in fretta e sono diverse le teorie su quello che è accaduto. Il mio è un film sulla memoria e su come questa cambi la storia, su come ciascuno ricorda lo stesso avvenimento da punti di vista differenti. Non esiste in realtà la verità storica.