Quando questa brutta storia sarà finita, forse guarderemo certi film in modo diverso. Con occhi nuovi. Forse saremo più sensibili perché ci siamo passati. Forse saremo più forti perché ci siamo passati. È presto per dirlo. Sicuramente nel 2011, distratti da disastrose profezie Maya, abbiamo sottovalutato Contagion di Steven Soderbergh.
Presentato (fuori concorso) alla Mostra del Cinema di Venezia, questo profetico thriller pandemico fu tutt'altro che virale come il terribile batterio di cui parlava. Apprezzato dalla critica, che lodò la tensione e la credibilità del racconto (oltre che la regia sempre coinvolgente di Soderbergh), Contagion raccolse un incasso discreto, arrivando a 135 milioni raccolti al botteghino, a fronte di un budget di 66. Rivisto oggi, il film sorprende (e inquieta) per una trama alquanto profetica, ma già nove anni fa era apprezzabile per lo sguardo lucido con cui immaginava l'esplodere di un virus su scala mondiale. Soderbergh si è lasciato affascinare non soltanto dalle sfumature apocalittiche di un'epidemia inarrestabile, ma ha guardato con estremo realismo le reali conseguenze di un'emergenza su vari strati della società. Informazione, politica, economia, quotidianità delle persone e soprattutto sistema sanitario.
Niente è sfuggito allo sguardo attento di Contagion, film che in questi giorni è tornato attuale con inevitabile prepotenza. Nella speranza che vedere o rivedere il film di Soderbergh possa essere un buon modo per esorcizzare il coronavirus e sublimare ogni lecito timore, ecco a voi 5 cose che (forse) non sapete su Contagion.
1. Punti in comune
Finora siamo stati volutamente vaghi, ma andiamo nello specifico. In cosa è stato profetico Contagion? Prima di tutto sulle più probabili origini della pandemia. Nel film, infatti, il ceppo iniziale viene creato da un nefasto incrocio di virus tra un pipistrello e un maiale poi trasmesso a un paziente zero umano. Dinamica simile a una delle varie ipotesi a cui è legata l'origine animale del Covid-19. Senza dimenticare che nel film il morbo MEV-1 ha origine in Cina, più precisamente ad Hong Kong, per cui nella stessa nazione del coronavirus, e il fatto che il virus colpisca anche l'apparato respiratorio. Due anni dopo l'esplosione dei social network, Contagion è stato abile nel cogliere le dinamiche della viralità in senso lato, parlando anche del potere capillare dell'informazione (più o meno attendibile), della velocità del panico in un mondo globalizzato e del rapporto dell'uomo dinanzi all'ignoto. In Contagion si procede a tentoni e soprattutto si insiste tanto sull'isteria collettiva. Le doti documentaristiche di Soderbergh si riconoscono nei piccoli gesti quotidiani di colpo demonizzati, dai colpi di tosse alle strette di mano, passando per le inevitabili mascherine.
2. Differenze
Profetico, certo, ma non del tutto sovrapponibile alla realtà. Per fortuna. In Contagion, infatti, il virus causa sintomi decisamente diversi, intaccando anche aree differenti dall'apparato respiratorio. Il MEV-1, inizialmente scambiato per un banale raffreddore, intacca anche il sistema nervoso, provocando crisi epilettiche che in breve tempo portano alla morte. Inoltre il virus di Contagion è molto più letale e aggressivo del coronavirus. Prima di tutto, si ha meno margine di manovra sul contagiato, perché il paziente muore molto più velocemente. Di conseguenza, è diverso anche il tasso di mortalità. Nel film non vengono mai citati i numeri ufficiali dei decessi, ma si calcola che il morbo ucciderà il 25-30% delle persone infette. Ad oggi, invece, il coronavirus si attesta su una percentuale di mortalità del 3,4%. Questo stando alle ultime stime dell'Organizzazione Mondiale della Sanità. In generale le misure di contenimento adottate in queste settimane, sembrano decisamente più riuscite di quelle di Contagion, in cui la popolazione viene presa molto di più alla sprovvista.
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3. Un titolo "globale"
Il titolo del film, oltre a essere molto diretto, allarmante e senza fronzoli, è il risultato di una specie di acronimo formato da nove lettere non iniziali. Ci spieghiamo meglio: su alcune locandine di Contagion, infatti, si possono notare i nomi di nove città, tutte vittime del contagio: Macao, Hong Kong, Londra, Atlanta, San Francisco, Chicago, Parigi, Tokyo e Ginevra. Mettendo in evidenza una lettera all'interno di ogni città messa una sotto l'altra, ecco spuntare la parola "Contagion". Un espediente semplice, ma efficace, capace di rendere bene la portata globale del racconto, con vari continenti uniti dallo stesso destino.
4. Studio approfondito
"Non parlare con nessuno. Non toccare nessuno". Lo slogan di Contagion era allarmante, ma tutt'altro che campato in aria. Anzi. La comunità scientifica ha sempre lodato la cura con cui Steven Soderbergh ha messo in scena il suo film apocalittico, sicuramente influenzato dalla grande paura per il virus H1N1, esplosa qualche anno prima dell'inizio delle riprese. Merito di una documentazione e una preparazione maniacale del regista e dello sceneggiatore Scott Burns, che si sono avvalsi della consulenza del Centers for Disease Control and Prevention della Georgia. Interpellato sulla presunta preveggenza del film, Burns ha minimizzato, dicendo che i punti di contatto tra il film e l'attuale emergenza sanitaria sono fortuiti e irrilevanti. Quello che conta, invece, è la risposta sociale ben delineata da Contagion, accurato nel prevedere il panico e l'isteria collettiva. Ad avvalorare la verosimiglianza della pellicola, c'è una dichiarazione del consulente scientifico del film, il dottor Ian Lipkin (direttore della Scuola di Salute Pubblica della Columbia University). Il dottore ha sempre ammesso che il virus del film è ispirato per alcuni tratti al virus Nipah della Malesia, che alla fine degli anni '90 si diffuse dai maiali ai contadini.
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5. Corsa alla visione
In queste settimane Contagion è diventato virale. Nell'accezione più innocua e pacifica del termine. Bramato, visto e ricercato come mai prima d'ora. Sì, perché il film è schizzato ovunque, tra store on line, digital download, streaming illegale e ricerche sui motori di ricerca. La Warner ha ammesso che Contagion è diventato il suo film più visto, secondo soltanto alla saga di Harry Potter. Al momento il film non è disponibile né su Netflix, né su Prime Video, ma si può trovare su Infinity o noleggiare su Chili, Apple Store e Youtube. Questa corsa forsennata alla visione, però, non deve sorprendere. Sia la psicologia e che la sociologia spiegano la cosa in modo abbastanza elementare, motivandola come un naturale bisogno di affrontare la paura. Guardare un film così vicino a noi è un modo di mettere ordine in mezzo al caos di questi giorni, di trovare qualche risposta in mezzo a tante domande. Affrontare la pandemia attraverso la finzione, insomma, è un ottimo modo per sentirsi più consapevoli. O almeno illudersi di esserlo. Noi speriamo solo nei titoli di coda di questa brutta storia. Pronti ad applaudire davanti alla parola "fine" e a tornare al cinema con occhi nuovi.