Si è tenuta presso il Teatro 16 della NUCT, la Nuova Università del Cinema e della Televisione di Cinecittà, la presentazione alla stampa di Sul Mare, settimo lungometraggio di Alessandro D'Alatri già apprezzato autore di Casomai, La Febbre e CommediaSexi. Penultima tappa, quella di Cinecittà, del tour promozionale che ha portato il film in tutte le Università italiane. Presenti in sala anche Alessio Gramazio e Paolo Calabresi produttori del film insieme a Warner con la loro Buddy Gang, casa di produzione che fa il suo esordio nel cinema italiano proprio con D'Alatri.
Protagonisti di questo moderno dramma sentimentale, due giovani attori esordienti, Dario Castiglio (figlio di Peppino Di Capri) e Martina Codecasa (suggerita per il ruolo dall'amica Carolina Crescentini), che sperano in un futuro come quello toccato a Sabrina Ferilli, Stefania Rocca, Fabio Volo e Kim Rossi Stuart, ai quali l'esordio con D'Alatri di tanti anni fa ha portato decisamente fortuna. I due giovani talenti hanno accompagnato stamane il regista e Anna Pavignano, la scrittrice del romanzo da cui è tratto il film intitolato In bilico sul mare (Edizioni E/O), anche co-sceneggiatrice del film insieme a D'Alatri. Sceneggiatrice dei primi film di Troisi e insegnante di sceneggiatura al NUCT, la Pavignano ha scritto il libro dopo una vacanza in giro per le isole del Mediterraneo e dopo il colpo di fulmine scoccato con la splendida Ventotene e con la gente dell'isola.
Sul Mare, come il romanzo, racconta la storia di Salvatore, un ventenne spensierato e semplice che di mestiere fa il barcaiolo e d'estate porta i turisti in giro intorno e a largo dell'isola mentre d'inverno lavora nei cantieri sulla terraferma, rigorosamente in nero. Un giorno conosce Martina, una studentessa di giornalismo di Genova giunta sull'isola per le sue immersioni. I due si innamorano e vivono una passionale storia d'amore, ma mentre per Salvatore lei diventa la cosa più importante e il centro di ogni suo pensiero, per Martina tutto è sempre complicato e non sembra essere mai pienamente felice. Quando la ragazza riparte per Genova, finisce l'idillio e sparisce dalla vita di Salvatore, cade in depressione.
Iniziato a girare il 3 settembre del 2009 per dieci settimane intensissime di riprese terrestri, marine, subacquee e aeree il film ha rappresentato una produzione a impatto zero sull'ambiente dell'incontaminata Ventotene anche perchè girato in maniera sperimentale con l'uso di nuove tecnologie digitali. Sul Mare arriverà nelle sale dal 2 aprile prossimo distribuito da Warner Bros. in 250 copie, un film che racconta con spirito libero di un'Italia diversa da quella che si racconta di solito, di giovani fuori dai cliché, un prodotto piacevole dedicato a chi ha voglia di qualcosa di diverso.
Signor D'Alatri, il suo può essere definito un film anti-mocciano?
Col pretesto di parlare d'amore, il film parla delle morti bianche...
Alessandro D'Alatri: Non ho inventato io questa formula 'mista', essa risponde ai canoni di un cinema che mi piace molto e che oltre a raccontare temi di intrattenimento ha anche un contenuto di fondo di grande importanza a livello umano. E' la tradizione della grande commedia all'italiana, per fare qualche esempio impegnato potrtei citare Tutti a casa, La grande guerra o Una vita difficile, o uno più scanzonato come Il Vigile. Credo che questa amarezza di fondo e questa dicotomia sia nel DNA del nostro cinema, si cerca in questo modo di evitare squilibri. Devo anche confessare che la scrittura di Anna (Pavignano) mi ha aiutato moltissimo, è stata un'occasione meravigliosa per fare tanti esperimenti, ero fermo da qualche tempo ma non per mancanza di occasioni, aspettavo di poter tornare di nuovo a giocare con il cinema.
Quanto deve alla Warner per la realizzazione di questo film?
Alessandro D'Alatri: La combinazione di elementi presenti nel romanzo di Anna non ha solo reso possibile il mio ritorno con entusiasmo ma ha fatto in modo che la Warner si innamorasse di questo progetto, è molto importante che una grande distribuzione abbia voluto scommettere su un film come questo, su due attori sconosciuti, fatto con delle tecnologie totalmente innovative, con contenuti che non sono quelli di solito offerti per il grande pubblico. Questo film è stato il più costoso della mia carriera, ma non parlo in termini economici perchè il capitale più grande era l'entusiasmo e la passione di tutti i miei collaboratori. Ho realizzato questo film con un gruppo di persone che hanno sposato insieme a me la voglia di tornare a fare un cinema adolescenziale, di divertirsi senza paura, tornare alle origini ogni tanto fa bene, ha fatto bene credo anche al film. Abbiamo usato cinque supporti digitali differenti a seconda della difficoltà delle ripresa e pensate che i laboratori che hanno lavorato in post-produzione hanno fatto operazioni di un certo tipo per la prima volta. Il film è girato interamente in 35mm con una macchina del costo di 8mila euro, e i risultati sono stupefacenti.
Come ha scelto i due protagonisti?
Alessandro D'Alatri: Non volevo fare cose raffazzonate e prendere attori 35 enni per far recitare loro ruoli da ventenni. Non volevo un'operazione commerciale e pubblicitaria, volevo due nuovi talenti, due volti freschi, due fisionomie e due regionalità ben definite. Ho cercato tra i curriculum formativi, so che suona strano che questo sia accaduto in un paese in cui tutti pensano che i curriculum non servono a niente. Ho trovato da subito il loro cammino di studi molto interessante, avevano fatto seminari e tanti corsi di recitazione e questo mi ha fatto molta simpatia. Insieme a loro due, ho fatto una ricostruzione dei due personaggi, seguendo un filiera creativa ben delineata. L'uso del digitale poi ha aiutato anche loro due, come per magia ha fatto sparire l'ansia di sbagliare.
Voi da attori come avete vissuto queste esperienza con D'Alatri?
Dario Castiglio: Per me la cosa più bella è stata il provino, una cosa molto interessante, di solito un attore quando va a un provino ha le battute o un testo e viene chiamato a recitare. Alessandro mi ha dato il libro e mi ha detto "domani ti farò un'intervista da personaggio, nei panni di Salvatore". Così è iniziato lo studio del mio personaggio, su 'chi' è Salvatore non su 'com'è' Salvatore. Abbiamo fatto lunghe chiacchierate con i barcaioli di Ventotene, per capire come ragionano, come vivono, come gestiscono il quotidiano, è stata un'esperienza diversa dal solito, io avevo solo studiato e fatto piccole cose, con Alessandro ho potuto esprimere quello che ho imparato in questi anni, ho potuto mettere in pratica il mio lavoro finalmente. A 23 anni ho vissuto un'esperienza fantastica.
Signora Pavignano, come nasce questo romanzo?
Anna Pavignano: Nasce da un incontro, facevo un giro per le isole del Mediterraneo e mi era piaciuta particolarmente Ventotene. Salvatore esiste veramente, è un ragazzo che ho conosciuto veramente e con il quale ho fatto insieme ai miei figli un giro in barca, ricordo che ci portò a largo e ci consigliò di farci lì bagno, lui nel mentre dormiva. Ricordo che pensai "caspita che lavoro che fa questo ragazzo, e chi l'ammazza!". Poi durante il ritorno gli chiesi cosa facesse d'inverno e lui mi ha raccontato la storia del lavoro in nero ai cantieri, con una faccia che esprimeva tutto il suo disagio, gli si leggeva in volto la non voglia di fare questo secondo lavoro, ricordo anche che parlava molto poco ma che da come gesticolava e dal suo sorriso si capiva che era molto soddisfatto della sua vita da barcaiolo. Tutto il resto è inventato.
Come le è venuto di aggiungere l'elemento delle morti bianche nei cantieri?
E' vero che non ha preso attori noti perchè alla fine i nomi sono sempre gli stessi?
Alessandro D'Alatri: Fa parte del mio percorso scegliere attori non noti per i film, l'ho fatto dal mio primo film con Kim Rossi Stuart e poi con Fabio volo e i [PEOPLE]Negramaro[/PEOPLE], ma stavolta era ancora più sentita questa cosa. Quando da spettatore vado al cinema mi colpisce il fatto di non conoscere gli attori che recitano, mi accade soprattutto con i film orientali. E' in quel momento che il cinema torna magico, torna ad avere quella tridimensionalità e non percepisco più la pesantezza dei curriculum e delle carriere. Non biasimo nessuno, volevo trasmettere questa mia emozione al pubblico. Ho attinto al teatro napoletano e ho scelto quasi tutti attori agli esordi. Pensate che anche il cammeo di solito mi disturba, diventa a mio avviso un'ostentazione in più. Il mio film necessitava di questa verginità dei personaggi, era indispensabile ai fini della sua credibilità.
La figura paterna come il ruolo della famiglia è molto presente nella storia...
Alessandro D'Alatri: La famiglia perfetta non esiste, ma esiste la famiglia presente, è stato bello raccontare la modernità della famiglia di Salvatore, sì fortemente radicata nella terra e rinchiusa in un isolamento culturale molto accentuato, ma c'è una presenza forte nella vita del ragazzo contrapposta all'assenza della famiglia di Martina. Salvatore è un ragazzo diverso dalla massa, non ha la macchina non ha la moto, lui ha la barca, è distante dai parametri cui siamo abituati dal cinema e dalla tv, con questo film ci si rende conto che esiste un'altra Italia, che possiamo recuperare l'innocenza che abbiamo nelle nostre anime ma che è stata sepolta sotto una valanga di detriti. Quando la festa del paese chiude la stagione e l'isola rimane chiusa e cala l'inverno c'è solo una cosa che resta: la famiglia. Forte ma non chiusa, aperta alla modernità.
Con Commediasexi ha anticipato di 3 o 4 anni la degenerazione della nostra società, gli scandali sessuali, e tante altre cose. Aveva intercettato qualcosa che a noi tutti era sfuggito...
Alessandro D'Alatri: La cosa bella di questo mestiere è che si diventa come una sorta di antenna, un ricettore di fenomeni sociali, è sicuramente un vantaggio per me perchè io sono un osservatore di comportamenti e come tale sono divenuto un cineasta. Credo sia una grande tradizione del cinema italiano quella di anticipare i tempi, in CommediaSexi ho messo cose che erano sotto gli occhi di tutti ma la cosa buffa e triste è che c'è anche chi non le vede. Il cinema è vita e se contiene la vita e la trasuda anche nelle cose più semplici come il divertissement allora va benissimo, il problema è quando il cinema non contiene vita e non racconta la vita.