In questo senso la solitudine diventa uno stile di vita, una regola, capisci? D'accordo, vivi per un sacco di tempo da sola, non hai più rapporti di nessun genere con gli uomini, con nessuno. È devastante, ma nel contempo riesci a... a serbare in te stessa una certa purezza, per così dire, perché così non disperdi quel poco di energia che hai dentro, cioè... continui a sognare, ad aspettare, ma è meglio vivere sognando un ideale che adattarsi a una mediocre realtà, capisci, e perdere ogni speranza.
Nella sua apologia della solitudine, in prossimità del finale de Il raggio verde, la Delphine di Marie Rivière ripropone un atteggiamento tipico di molti protagonisti del cinema di Eric Rohmer: esporre la propria "regola di vita", quell'ideale a cui i personaggi rohmeriami si aggrappano per determinare le proprie scelte e i propri comportamenti. Una visione di se stessi e delle relazioni che, da un film all'altro, viene messa alla prova dalle circostanze, dagli equivoci e, molto spesso, dai moti del cuore, in un sempiterno contrasto fra ragione e sentimento: talvolta, dunque, i personaggi terranno fede alla propria visione, ma non di rado saranno costretti invece a mutare prospettiva, ad ammettere una débâcle oppure, se sono fortunati, ad accogliere una felice incognita in grado di scombinare la loro equazione, non così infallibile come avevano creduto. È ciò a cui vanno incontro gli uomini e le donne (ma soprattutto le donne) al centro delle Commedie e proverbi, un ciclo di sei film girati dal regista francese fra il 1981 e il 1987.
L'educazione sentimentale raccontata da Eric Rohmer
Opere che sanciscono una fase completamente nuova nell'itinerario di Eric Rohmer, tra i padri fondatori della Nouvelle Vague (il suo primo lungometraggio, Il segno del leone, risale al 1959) e impostosi all'attenzione di critica e pubblico grazie al ciclo dei sei Racconti morali, i film della serie Commedie e proverbi fanno ritorno nelle sale italiane in una rassegna programmata dal distributore Academy Two dal 30 settembre al 6 novembre. Un'occasione più unica che rara di riscoprire uno dei capitoli più affascinanti della vasta produzione di Rohmer che, dopo due pellicole in costume (La marchesa von... e Perceval le Gallois) basate sulla tradizione letteraria e teatrale del passato, qui sceglie di rappresentare al contrario le girandole sentimentali e le sommesse inquietudini di personaggi immersi nella contemporaneità: ventenni e trentenni impegnati a far luce sul proprio universo emotivo, tra colpi di fulmine, avventure passeggere e tradimenti inferti o subiti.
Alfiere di una poetica perseguita con rigorosa fedeltà, tanto da creare un intrigante gioco di specchi e di echi tra un film e l'altro, nelle Commedie e proverbi Eric Rohmer abbandona la dimensione spiccatamente filosofica di film quali La mia notte con Maud per aderire piuttosto alla 'banalità' del quotidiano, osservando le proprie eroine con una lucidità che tuttavia non esclude una discreta dose di coinvolgimento e di empatia. Personaggi giovani e in cerca di un proprio equilibrio, i protagonisti delle Commedie e proverbi sono caratterizzati da un'instabilità che si riflette nelle ambientazioni dei racconti: da Parigi a Le Mans alle spiagge della Normandia, passando per quelle ville nouvelle (Marne-la-Vallée, Cergy-Pontoise) che fungono da raccordo fra lo scenario metropolitano e gli spazi più circoscritti della provincia. Una dicotomia che riflette quella fra l'intimità (individuale o di coppia) e il desiderio di libertà, fra il tempo della routine e quello dello svago e della vacanza: elementi di conflitto di questi sei film che, pur appartenendo agli anni Ottanta, continuano a parlare anche di noi.
L'amore secondo Eric Rohmer: perché i suoi film continuano a parlare a tutti noi
La moglie dell'aviatore
Titolo d'apertura del ciclo nel 1981, La moglie dell'aviatore è imperniato su un meccanismo narrativo ricorrente del cinema rohmeriano: un 'balletto' di attrazioni e passioni incrociate che, partendo da una coppia, si allarga fino a coinvolgere un numero sempre maggiore di comprimari. La coppia, in questo caso, è formata dall'impiegata Anne di Marie Rivière e lo studente François (Philippe Marlaud), che si mantiene con un lavoro notturno come postino: mentre Anne è impensierita dalla rottura con il suo amante Christian (Mathieu Carrière), pilota d'aereo e già sposato, l'ingenuo François sospetta un'infedeltà e decide di pedinare Christian, ricevendo l'inaspettato aiuto della giovanissima e intraprendente Lucie (Anne-Laure Meury). Dietro l'ironica veste del giallo sui generis, con François e Lucie nelle vesti di improvvisati detective, La moglie dell'aviatore riflette sulla mutevolezza dei sentimenti e l'instabilità dei rapporti umani, ma pure sulla grazia ineffabile degli incontri casuali e sulle infinite possibilità dischiuse da un equivoco.
Il bel matrimonio
Caparbia e agguerrita, Sabine, interpretata ne Il bel matrimonio da Béatrice Romand, è una studentessa d'arte il cui stato di precarietà è rispecchiato dal suo pendolarismo fra Parigi e la natia Le Mans, dove lavora in un negozio di antiquariato. Frustrata dalla propria condizione di "altra donna" in una relazione extraconiugale, Sabine vorrebbe prendere in mano le redini della sua vita amorosa, puntando su quello che considera un marito ideale: l'avvocato Edmond (André Dussollier), conosciuto per mezzo dell'amica Clarisse (Arielle Dombasle). Personaggio la cui ostinazione sembra condannarlo a un'inesorabile disfatta, Sabine è una tipica eroina rohmeriana, al contempo buffa e patetica; con Il bel matrimonio, nel 1982 Rohmer approderà per la prima volta in concorso alla Mostra di Venezia.
Pauline alla spiaggia
Opera ascrivibile al filone delle "commedie vacanziere" di Eric Rohmer, categoria in cui rientrano il precedente La collezionista e i successivi Il raggio verde e Racconto d'estate, Pauline alla spiaggia vede crescere i consensi per il nuovo ciclo di film, facendo guadagnare a Rohmer l'Orso d'Argento per la miglior regia al Festival di Berlino 1983. La protagonista eponima, affidata all'esordiente Amanda Langlet (che ritroveremo nel 1996 in Racconto d'estate), è una quindicenne che, sul finire dell'estate, giunge nella località balneare di Granville insieme alla cugina adulta Marion (Arielle Dombasle), la quale ha un'idea ben precisa sull'amore; e mentre Marion non tarda a cedere al corteggiamento dello scaltro Henri (Téodor Atkine), che però non esita a tradirla, Pauline instaura un'affettuosa sintonia con il coetaneo Sylvain (Simon de La Brosse). In Pauline alla spiaggia, l'inaffidabilità dei rapporti amorosi e lo scontro fra gli ideali e la realtà sono i temi-chiave di una girandola di tradimenti e di inganni, che permetterà a Pauline di vivere la propria "educazione sentimentale" e di uscirne con un maggior grado di consapevolezza (e, forse, di disillusione).
Le notti della luna piena
"Chi ha due donne perde l'anima, chi ha due case perde il senno": è il proverbio posto in apertura de Le notti della luna piena, il capolavoro rohmeriano degli anni Ottanta. Le "due case" in questione sono le abitazioni fra cui si divide Louise, giovane arredatrice d'interni interpretata da Pascale Ogier: l'appartamento di Marne-la-Vallée che condivide con il compagno Rémi (Tchéky Karyo) e il pied-à-terre parigino che la ragazza ha scelto di ricavare per se stessa. Una sorta di rifugio che le permette di mantenere un contatto diretto con le mondanità della metropoli e di coltivare con lo scrittore Octave (un perfetto Fabrice Luchini) un'amicizia in cui si intrecciano complicità e sottili tensioni.
Sospesa fra il modello di una relazione stabile e un senso di libertà a cui non intende rinunciare, Louise esprime una sotterranea insoddisfazione e un desiderio d'indipendenza tali da renderla un personaggio tanto contraddittorio quanto magnetico, anche in virtù del ritratto offerto da Pascale Ogier, insignita del premio come miglior attrice alla Mostra di Venezia 1984 ma scomparsa neppure due mesi dopo, ad appena ventisei anni. Eletto miglior film del 1984 dalla redazione dei Cahiers du cinéma, Le notti della luna piena si imporrà come il maggior successo di pubblico della seconda metà della carriera del regista, con seicentomila spettatori solo in Francia.
Il raggio verde
Se Le notti della luna piena, ambientato tra novembre e febbraio, è un racconto decisamente 'invernale', al contrario Il raggio verde si sviluppa nel bel mezzo dell'estate fra luglio e agosto: la cronaca di un mese nell'esistenza di Delphine, impiegata parigina alle cui fragilità e insicurezze dà volto e voce una bravissima Marie Rivière, già comprimaria de La moglie dell'aviatore. Se l'estate è per tradizione il tempo del divertimento e dell'amore, per Delphine si tratta invece della stagione della solitudine: l'incertezza sulle vacanze è una costante fonte d'ansia, e i consigli delle amiche non fanno che accentuare il suo malessere. Opera per certi versi anomala nel canone rohmeriano per gli elementi d'improvvisazione e un approccio quasi da cinéma vérité, Il raggio verde aderisce del tutto allo sguardo della protagonista, alla quale concede un epilogo pervaso da un soffuso romanticismo e da un misterioso senso di magia. Al grande successo della pellicola, che riporta Rohmer al primo posto nella classifica annuale dei Cahiers du cinéma, contribuirà la vittoria del Leone d'Oro come miglior film al Festival di Venezia 1986.
L'amico della mia amica
Dopo la parentesi del film a episodi Reinette e Mirabelle, nel 1987 Eric Rohmer chiude il ciclo delle Commedie e proverbi con L'amico della mia amica: una pellicola in cui la levità dei toni e la finezza della scrittura accompagnano l'ennesima, deliziosa girandola amorosa, che in questo caso vede coinvolto un quartetto di personaggi alle prese con amori non sempre corrisposti e attrazioni imprevedibili. Nell'elegante cornice della cittadina di Cergy-Pontoise, alle porte di Parigi, la timida impiegata Blanche (Emmanuelle Chaulet) stringe amicizia con la studentessa universitaria Léa (Sophie Renoir) e si infatua dello yuppie donnaiolo Alexandre (François-Éric Gendron); Blanche cerca goffamente di farsi notare dall'uomo, ma nel frattempo attira l'attenzione di Fabien (Eric Viellard), il fidanzato di Léa. Giocando a scomporre e ricomporre questa "doppia coppia" secondo schemi mutuati dalla commedia classica hollywoodiana (ma riadattati alla sensibilità del suo tempo), ne L'amico della mia amica Rohmer torna a mettere in scena l'incontrollabilità dei sentimenti, costruendo un vivacissimo dialogo fra le ragioni della mente e quelle del cuore.