Come si sta dentro una spirale?
Negli ultimi tempi il cinema orientale ci ha offerto prodotti veramente originali, e questo è un dato di fatto. Stavolta ci troviamo a parlare di una produzione giapponese risalente al 2000. Il regista nippo-rumeno Higuchinsky viene chiamato a dirigere un film ispirato agli inquietanti manga dell'autore underground Junji Ito (considerato erede di personaggi quali Hideiji Hino e Hideshi Ito).
Diviso internamente in quattro "atti", volutamente tenuti staccati fra loro da cambi di ambiente e registro netti, ci presenta la storia di una piccola cittadina rurale, in cui fenomeni inquietanti, che hanno qualche rapporto con le spirali, affliggono gli abitanti fino a conseguenze estreme. Chiaramente anche la sceneggiatura è ereditata dal manga, e in questo possiamo notare alcuni "buchi", o quanto meno delle tematiche e degli spunti molto interessanti che vengono accennati per poi essere abbandonati o svolti in maniera approssimativa.
Tutto richiama la forma a spirale (la "uzumaki" del titolo), e si ha la crescente impressione che in ogni elemento dell'ambiente si nasconda qualcosa di maligno, di maledetto. Effettivamente lo spirito del manga viene mantenuto nella sua interezza nella trasposizione cinematografica, grazie a una azzeccata scelta dei colori, e a un modo di girare molto particolare, che fa massiccio uso di grandangoli, rotazioni dell'asse e tutto quanto può dare una sensazione di movimento nella staticità. E' certamente un concetto un po' complesso da capire, la cosa migliore è ovviamente vedere il film per capire quel che voglio dire.
La forma del vortice sembra permeare ogni cosa, così come l'andamento dei fatti appare molto simile a una rotazione infinita, nella quale si parte dalla perdita dell'adolescenza, tema chiave (anche se apparentemente secondario) della pellicola, per tornare in maniera ciclica, a provare paura per l'impossibilità di tornare indietro. Potremmo dire che una volta che la spirale ha cominciato a girare, nulla può fermarla, almeno fin tanto che determinati tasselli del puzzle non troveranno sistemazione adeguata, per quanto essa possa sembrare assurda.
Un film molto difficile da digerire, soprattutto per il parossismo talvolta estremo che ci pone davanti agli occhi, per lo stile, a metà fra l'attenzione per i personaggi tipicamente occidentale e la caratterizzazione del complesso ambientale di stampo nipponico, in generale per ciò che mostra, la trasformazione di un micromondo normale in qualcosa che è tangente alla fantasia, nella misura in cui attinge dalla realtà per farne qualcosa di nuovo, terrificante, ma terribilmente ammalìante.