Recensione U2 3D (2007)

Quando ci si chiede se possa funzionare davvero il matrimonio tra innovazione tecnologica e l'esperienza emotiva fortissima della partecipazione ad un concerto, la risposta arriva quasi automatica: ancor prima di ogni iperbole hi-tech sono gli U2 con la loro musica a fare la differenza.

Come loro nessuno mai

A due anni di distanza da una fugace apparizione in Italia e grazie alla distribuzione di Digima torna al cinema U2 3D, il film in tre dimensioni nato dall'assemblaggio delle riprese effettuate sui palchi del Vertigo Tour 2006, tra Sudamerica e Australia. I registi Catherine Owens e Mark Pellington hanno avuto il loro bel da fare per concretizzare l'ambizioso progetto voluto all'epoca da Bono. Reduce da una delicata operazione alla spina dorsale, il neo cinquantenne Bono, al secolo Paul Hewson, ha fatto il suo personale regalo ai fan di mezzo mondo, trasformandoli in veri protagonisti di uno show avveniristico. La pellicola, infatti, è la prima produzione multicamera in 3D digitale di un evento live. Sperimentazioni in tal senso erano state fatte nel mondo dello sport, ma per i creatori di 3ality è proprio nello show musicale che questo complesso meccanismo trova l'impiego più adatto.

Sembrano dunque lontani gli anni di Rattle and Hum, documentario girato nel 1988 da Phil Joanou sulla scia del successo planetario di The Joshua Tree. All'epoca bastavano le interviste ai musicisti ed un evocativo bianco e nero per catturare il fascino del carismatico Bono Vox e dei suoi compagni di viaggio David 'The Edge' Evans, Adam Clayton e Larry Mullen Jr. Oggi c'è bisogno di vedere di più e il 3D è il mezzo immediato per offrire agli spettatori un'esperienza diversa. Eppure, nel momento in cui ci si chiede se possa funzionare davvero il matrimonio tra innovazione tecnologica e l'esperienza emotiva fortissima della partecipazione ad un concerto, la risposta arriva quasi automatica: ancor prima di ogni iperbole high tech sono gli U2 con la loro musica a fare la differenza.
Andrebbe un po' ridimensionata, quindi, l'atmosfera enfatica che circonda il film. E' vero, sono state fatte le cose in grande: Bono accarezza ogni singolo fan quando canta Sunday Bloody Sunday (la tentazione di alzarsi dalla poltroncina e andare verso di lui è forte...). L'equipe artistica ha utilizzato circa 18 telecamere digitali Sony F950 CineAlta, quasi tutta la disponibilità mondiale. Ha aggiunto un suono surround multi canale, ma l'effetto sorpresa (all'inizio oggettivamente dirompente) dura poco, poi è solo il rock ciò che conta davvero. E notoriamente non ha bisogno di eccessivi artifici.

Può stare tranquillo, però, chi temeva l'opera auto celebrativa, o peggio il tentativo da parte del quartetto irlandese di emulare il successo di fenomeni musicali prêt-à-porter come Miley Cyrus o i Jonas Brothers (i primi a sfruttare il 3D). U2 3D è a tutti gli effetti un emozionante ritratto di un gruppo capace ancora oggi di affascinare generazioni diverse. Nel film, 85 minuti senza respiro, ci sono i classici di sempre, One e Pride (in the name of love) e pezzi contemporanei come Vertigo e la struggente Sometimes You Can't Make It on Your Own, tratti per la maggior parte dal penultimo album How to Dismantle an Atomic Bomb.
I nostalgici preferiscono ricordarli con la veemenza degli esordi, quando in un panorama artistico dominato dalle sfaccettate sperimentazioni della New Wave, il rock degli U2 si presentava con la freschezza tipica della gioventù. Da acerba e volitiva band, nella seconda metà degli anni '80 si sono trasformati in gruppo 'politico' in grado di trascinare le masse con i suoi messaggi umanitari. Negli anni '90, poi, l'altro grande cambiamento ha portato i quattro di Dublino a diventare degli ironici fustigatori di costumi, protagonisti assoluti del grande spettacolo sui media che è stato Zoo Tv.
Del resto, Bono e compagni si sono sempre trovati a loro agio con la settima arte. Basti citare la proficua collaborazione con Wim Wenders (Fino alla fine del mondo, Così lontano, così vicino e Million Dollar Hotel) e con Martin Scorsese (Gangs of New York), senza dimenticare gli exploit dei singoli come compositori di soundtrack. The Edge scrisse l'intera partitura di The Captive, thriller del 1986 diretto da Paul Mayersberg, mentre nel 1996 Larry Mullen e Adam Clayton hanno firmato la title track della colonna sonora del Mission Impossible di Brian De Palma.
Difficile giudicare questa loro ultima incursione sul grande schermo, senza cacciarsi nel classico vicolo cieco del 'non sono più quelli di una volta'. Rischio che nella loro lunga carriera gli U2 hanno preso decine di volte, a costo di deludere gli estimatori più appassionati. In pochi possono affermare che la band non abbia mai tentato di precorrere i tempi o di rinnovarsi. Per il momento, però, il connubio 3D-musica è più adatto a quelle popstar che puntano tutto sulla confezione, piuttosto che sui contenuti. Agli U2, fortunatamente, bastano solo un palco, un paio di riflettori e un pubblico adorante. E quello lo avranno sempre.

Movieplayer.it

3.0/5