L'8 febbraio del 1915 debuttava uno dei film più importanti e al tempo stesso controversi della storia del cinema: Nascita di una nazione (Birth of a Nation), firmato da colui che viene considerato il padre del linguaggio cinematografico, David W. Griffith.
Per la prima volta dall'invenzione del cinematografo, gli spettatori si trovavano di fronte un'opera lunga e complessa, che anticipava di ben un decennio La corazzata Potëmkin e altri fra i più celebrati film dell'epoca.
Nascita di una nazione
La storia è ambientata poco prima della Guerra di Secessione: le famiglie Cameron e Stoneman, i cui figli vanno a scuola insieme e s'innamorano anche, verranno separate per sempre dalla guerra. Dopo la sconfitta del Sud, infatti, Austin Stoneman entra a par parte del neonato governo e s'interessa dell'estensione del diritto di voto agli afroamericani del Sud, ovvero gli ex schiavi. Ben Cameron, ex amico di Austin e fervente sudista (e razzista), fonda il Ku Klux Klan per opporsi ai cambiamenti. Il fondamento stesso della Guerra del 1861 torna a vivere, stavolta in personaggi sui quali uno dei film fondamentali per lo sviluppo dell'arte del cinema l'autore ci fa prendere posizione.
Ben diventa infatti l'eroe post-conflitto, salvando la propria famiglia, quella dei rivali e restaurando l'ordine così come lo si conosceva prima della guerra fratricida.
Impossibile, per lo spettatore, non stare dalla parte di Ben Cameron. Il punto di vista sulla storia lo dipinge non solo come un eroe, ma anche come un punto di riferimento morale e intellettuale, il simbolo stesso del futuro di un'America che il matrimonio di Ben, alla fine del film, dichiara degno di essere scritto solo finché ciascuno resta al suo posto.
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Dalla parte del KKK?
Oggi è anacronistico, insensato, addirittura offensivo. Conosciamo gli orrori perpetrati dal KKK e celebrarne il creatore è un affronto. Ma anche agli studenti di cinema, come agli spettatori dell'epoca, è impossibile non cogliere i lati positivi del carattere e delle imprese - definiamole così - di Ben. Com'è possibile non disprezzare il fondatore dell'odioso KKK e non condannare in toto il suo operato? La risposta è nel film che lo celebra: grazie al linguaggio del cinema.
Griffith non aveva inventato tutti i movimenti di macchina e le soluzioni narrative messe in mostra da Nascita di una nazione, ma per la prima volta li aveva mostrati al pubblico tutti insieme. E l'effetto era così forte da trasformare un mostro in un eroe.
Se vi sembra inconcepibile, sappiate che oltre un secolo dopo siamo ancora qui, a seguire le imprese di serial killer per i quali facciamo il tifo, sperando che la polizia non li prenda mai, dopo aver seguito e magari addirittura amato razzisti, terroristi, gangster e psicopatici di vario genere. Cannibali inclusi. E lo facciamo per due motivi. Primo perché il cinema e le serie TV ci intrattengono, facendoci evadere dalla quotidianità e permettendoci quindi di approvare comportamenti che nella realtà mai potremmo tollerare. Secondo, perché sappiamo che si tratta di una finzione. Anche quando ci sono di mezzo eventi storici reali, a meno che non stiamo guardando un film dichiaratamente tratto da una storia vera, sappiamo che gli autori si sono presi tutte le licenze poetiche del caso.
Il fascino del male
Il ragionamento naturalmente è molto articolato e approfondito da studi di carattere prettamente cinematografico e tecnico, ma non è difficile da comprendere: una volta appresi i meccanismi della sceneggiatura - un tipo di scrittura che è creativa solo nei contenuti, e tecnica nei modi - e i fondamenti della regia e del montaggio, ecco che siamo in grado di spingere il pubblico a fare il tifo per chiunque. Perfino per Hannibal the Cannibal.
Il successo planetario del personaggio interpretato da Anthony Hopkins nel pluripremiato Il silenzio degli innocenti lo prova: non era la prima volta che Hannibal Lecter compariva in TV. L'avevamo già conosciuto in quel capolavoro immortale chiamato Manhunter - Frammenti di un omicidio, che Michael Mann aveva portato sullo schermo dai romanzi di Thomas Harris. Il dottor Lecter - pardon: Lektor al cinema - era lì, accanto a Wolfgang Petersen (il futuro Grissom di C.S.I.). E a interpretarlo non c'era un attorucolo di secondo piano, bensì il grande Brian Cox. Eppure, oltre a non avere un ruolo ampio nel film, non lasciava il segno. Perché non era affascinante come il cannibale colto, intelligente e addirittura empatico di Hopkins.
Clarice Starling (Jodie Foster) cattura il serial killer di turno, viene encomiata, la prossima vittima è salva: Il silenzio degli innocenti ha un lieto fine. Anche perché Hannibal Lecter è libero e sta per "avere un vecchio amico per cena". Si tratta del fascino del male: un personaggio mostruoso diventa positivo nella misura in cui contribuisce a far sì che un lieto fine ci sia... e se arriva anche per lui, poco male: significa che lo rivedremo ancora.
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Dalla parte dei cattivi
Dal sorridere per ciò che attende l'odioso dottor Chilton a fare il tifo per un assassino per 8 stagioni (più revival), però, ce ne passa. Come ci siamo arrivati?
Siamo passati da Carrie White (Sissy Spacek), che risponde al bullismo e ai soprusi con una furia omicida per la quale, in fondo, non possiamo biasimarla. Abbiamo conosciuto un tale di nome Archibald, un vecchio e insopportabile razzista e sessista che però ci faceva ridere. E poi dalla sua serie erano nati I Jefferson, con un altro uomo per niente accomodante che amavamo odiare e odiavamo amare, ma non potevamo farne a meno. E ancora: abbiamo fatto il tifo per l'intera famiglia Corleone, ma in particolare per Michael, nella saga de Il padrino, abbiamo sperato che il rapinatore metà assassino e metà buddha interpretato da Patrick Swayze in Point break, Punto di rottura la facesse franca fino alla fine, perché in fondo non potevamo non volergli bene, almeno un po'. Abbiamo seguito per la bellezza di 7 anni un poliziotto violento, corrotto e disonesto (Michael Chiklis in The Shield) protagonista di una serie eccezionale. E senza di lui sarebbe finita...
Gli sceneggiatori di piccolo e grande schermo ci hanno fatto fare il tifo per i terroristi. Un certo Tyler Durden vi dice qualcosa? Magari no, in effetti, perché la prima regola del Fight Club è: non si parla del Fight Club...
Tony Soprano (il grande e compianto James Gandolfini), i Mad Men alcolisti, misogini e traditori, il rapitore a pagamento di Fargo (solo quello interpretato da Steve Buscemi, l'altro ci faceva paura), il bel vampiro Brad Pitt con un passato di omicidi intervistato da un giornalista, il ladro che non voleva niente da cui non si potesse sganciare in 30 secondi (Robert De Niro in Heat - La sfida), Tony Montana (Al Pacino in Scarface), il professore di chimica che si mette a cucinare metanfetamina (Breaking Bad), gli uomini del clan di Gomorra - La Serie, perfino quelli che hanno ammazzato le proprie mogli...
Potremmo continuare all'infinito, da Boardwalk Empire - L'impero del crimine a Il trono di spade (Jamie Lannister lancia un bambino giù da una torre ma tendiamo a dimenticarlo, alla fine...).
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La scala dei valori
E da tutti questi esempi approdiamo a un tizio di nome Joe, stalker e serial killer arrivato alla quarta stagione (di You) grazie al favore del pubblico e arriviamo a un certo Dexter Morgan, che nei romanzi aveva un "passeggero oscuro" e in TV un codice che gli ha permesso di diventare un eroe ai nostri occhi. Ma sì, in fondo ammazza solo brutta gente, fa un servizio alla società e al tempo stesso sfoga i propri istinti. Non è colpa sua, poverino, è nato nel sangue.
Lo pensiamo senza nemmeno rendercene conto per tutti gli episodi della serie, perché Dexter ha spostato la scala dei valori. Ci sono gli assassini di bambini e gli assassini di assassini di bambini. Facciamo delle distinzioni, moralmente parlando, perché chi ci sta raccontano la storia di Dexter Morgan - sceneggiatori, registi, interpreti - ci ha spiegato che ci sono diversi livelli di malvagità. E l'ha fatto così bene che in effetti speriamo che Dexter continui ad ammazzare la gente, anziché arrestarla e mandarla in galera.
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I giustizieri - come Il giustiziere della notte- da sempre attraggono le simpatie del pubblico perché puniscono in modo certo, diretto e inequivocabile chi è peggio di loro. Per questo tifiamo per Dexter. Allo stesso modo, gli anticonformisti che si trasformano in psicopatici terroristi dalla personalità dissociata - e torniamo a Fight Club - ci sembrano liberi. Ci danno un senso di libertà che nella realtà non vedremmo mai come tale. Si chiama catarsi, ed è il motivo per cui prendersi un bello spavento grazie a un film horror ci risparmia un paio di incubi notturni. Ma anche il motivo per cui non sono mai i film o le serie a creare i mostri: solo una mente già malata può subirne l'influenza fino a non distinguere più finzione e realtà. Questo dev'essere ben chiaro.
Il cinema e la TV sono liberi di raccontare ciò che vogliono perché chi li guarda sa che non si tratta di fatti reali. Siamo tornati al 1915, a Nascita di una nazione e al modo in cui ci si fa beffe delle nostre scale di valori spostandole sempre un po' più in là. Film dopo film. Episodio dopo episodio. Fino a che saremo felici che ci sia uno psichiatra cannibale in libertà.