C'era una volta un mondo magico, dove la fiaba diventa realtà e il disegno si trasforma in bocca che respira e in corpo che danza; c'era una volta il mondo di Come d'incanto e c'è ancora. La sua magia non è mai sparita, si è soltanto nascosta all'ombra di un lungo sonno, nella trepidante attesa di ricevere ancora quello sguardo pieno di sogni e desideri, così potente da farla risvegliare per ammantare tutto di spensieratezza e allegria.
Sono passati quindici anni da quando Giselle (Amy Adams) ha fatto capolino tra i tombini di New York. Il suo sguardo perso, così come il suo timore di muoversi tra strade sconosciute, facendosi largo tra ostacoli e minacce continue, non differivano molto da quelle stesse paure che iniziavano a intasare il cammino di vita di spettatori adolescenti, o poco meno che giovani adulti. Come Giselle, venivamo anche noi dal mondo delle fiabe, delle speranze e dei mondi colorati di estremo ottimismo. Cercavamo a tutti i costi il nostro "vissero felici e contenti", senza renderci conto di quanto veramente fossimo felici e non lo sapevamo. Poi un giorno ci siamo svegliati e le responsabilità hanno iniziato a farsi largo nel nostro quotidiano, spiattellandoci senza preavviso la durezza della vita. Non eravamo né principi, né principesse, eppure anche noi abbiamo iniziato inconsciamente a scrivere un nuovo capitolo della nostra vita, tra canti interiori, e malefici spiritelli incarnatesi in consegne da inviare, bollette da pagare, e stanze da pulire. Senza veramente accorgercene, siamo caduti, come Giselle, nel pozzo dell'età adulta; siamo diventati grandi, e tra una danza agli ostacoli, e pensieri positivi, anche noi abbiamo imparato ad accontentarci di un piccolo barlume di felicità, per (soprav)vivere da degni protagonisti lungo le pagine della nostra vita.
Ritorno al passato
Voluto o meno, Come d'incanto raccoglie in nuce tutte le tessere di un puzzle chiamato infanzia. La stessa Giselle si fa figlia perfetta, erede prediletta e unione armoniosa di tutte quelle prerogative che fanno delle principesse Disney modelli da seguire, e insegnamenti da interiorizzare. Galleria citazionistica e patchwork di infiniti topoi dei classici d'animazione, Come d'incanto si fa giacimento aureo di frammenti disseminati della nostra infanzia, di un mondo, cioè, che ci ha modellato, cresciuto, per poi scaraventarci via, nello stesso modo con cui la matrigna spinge Giselle nel mondo reale. Andalasia è pertanto l'infanzia perduta di tutti noi, una terra magica verso cui cerchiamo di far ritorno, imbarcandoci sull'onda dei ricordi, o attraverso la carica mnemonica di immagini, suoni, oggetti, tante e infinite Madeleine prosutiane pronte a lanciarci indietro nel tempo, in un tunnel spazio-cronologico dal sapore di casa e spensieratezza.
Come per disincanto, la recensione: tornare a casa senza esserne andati mai via
Ieri e oggi bloccati nel domani
Ma in un mondo come quello di Come d'incanto dove la perfezione di un universo votato alla felicità eterna viene barattato dall'imperfezione della visione adulta tra i comuni mortali, quello che viene azionato in un'opera del genere è un processo continuo di ribaltamento parodistico degli stereotipi delle favole classiche. Gettata nel mondo dei grandi, di uomini e donne sempre di corsa, Giselle è chiamata a integrare la propria visione innocente e fanciullesca, con quella di un adulto. Ecco perché tra i tanti riferimenti disneyani, a dominare le fasi più concitate della lotta finale tra la protagonista e la matrigna cattiva tramutatasi in drago (una iconica Susan Sarandon), non troviamo l'ennesima citazione ai classici dell'animazione, quanto un cult della storia del cinema mondiale: King Kong. Ancora una volta il mondo degli adulti va a braccetto con quello dei più piccoli, in un tira e molla continuo, tra ribaltamenti sarcastici e visioni disilluse di un mondo che ha perso il colore, ma non la speranza.
Giochi di infanzia nello specchio del presente
Realtà e finzione: sogno e sopravvivenza. In Come d'incanto gli opposti non solo si attraggono, ma si incontrano tra le strade di una città che non dorme mai, perché intenta a sognare a occhi aperti come New York. Robert e Giselle si elevano pertanto a massimi rappresentanti di una lotta intestina tra il desiderio di riprendersi una spensieratezza infantile lasciata tra la polvere di cofanetti, giocattoli, e diari perduti, e un pragmatismo razionale che ha fatto addormentare quel bambino che prima scalpitava in noi, e adesso è colto nell'attesa di potersi risvegliare. Lo scarto continuo tra rimandi alla nostra infanzia fatta di visioni bulimiche di classici Disney (dal ristorante Bella Notte di Lilli e il vagabondo, alla mela avvelenata di Biancaneve e i sette nani, fino agli animaletti pronti ad aiutare Giselle nelle mansioni domestiche, figli di tante altre principesse come Aurora, o Cenerentola) e un'anima più matura che ai sogni ha fatto spazio ai doveri dell'età adulta, è dunque il cuore pulsante di un corpo filmico capace di attrarre grandi e piccini per motivi divergenti, e che ancora oggi, dopo quindici anni, ci trascina nella sua danza magica, in un turbinio di emozioni incapaci di dissolversi nella foschia cittadina.
I 10 film musicali da vedere su Disney+
Un incantesimo lungo 15 anni
Tante cose mutano in quindici anni. Anche lo sguardo diverge, cambia, sposta il proprio punto di vista modificando la natura degli obiettivi da raggiungere e le priorità da non dimenticare. In quindici anni anche un approccio a uno stesso titolo cambia profondamente, perché in quello spazio di tempo tanti ricordi si sono ammassati: i dolori e le emozioni si sono rincorsi tra gli strati più profondi dell'anima, mentre il cuore ha perso qualche battito, per poi tornare a correre all'impazzata, fino a scoppiare, per un amore mancato, o un altro tenuto stretto. Siamo così diversi, eppure così simili alla nostra versione di quindici anni fa: ritrovarsi ad affrontare un'opera come quella diretta da Kevin Lima significa pertanto scendere a patti con il nostro io del passato: significa, cioè, passare in rassegna i desideri realizzati, e le occasioni perdute, gli obiettivi conquistati e quelli tralasciati. Ma dal punto di vista prettamente spettatoriale, vedere Come d'incanto dopo quindici anni vuol dire soprattutto cogliere frammenti di un universo che davamo per scontato, come quello dell'animazione e dell'infanzia, per ricongiungerci con il nostro io più infantile e bambinesco. Sono dettagli visivi, o musicali, oggetti o movenze, che fanno da ponte all'universo disneyano con cui siamo cresciuti e che adesso ci riportano, come per magia, a quegli spettatori di quindici anni fa che pensavano che fosse tutto possibile, bastava solo sognarlo.
Ribaltare i canoni per far sognare in stile classico
Il tratto artigianale del mondo fiabesco che incontra il tocco architettonico di schemi urbanistici all'avanguardia, tra grattacieli e schermi pubblicitari: è un incontro magico, tra animazione e realtà, quello di Come d'incanto. Una scelta tecnica di certo non innovativa, ma perfettamente coerente nel dar vita a un giro di vite capaci di ribaltare lo stereotipo a loro affidato, oppure consolidarlo immergendolo nella fonte dell'ironia e del sarcasmo. Con Come d'incanto la Disney ha voluto prendersi in giro, scardinare i canoni su cui ha fondato interi classici dell'animazione, e modellato infinite memorie collettive. "Ma voi cantate tutti?" Chiede ad esempio Robert (Patrick Dempsey) dinnanzi all'ennesimo brano improvvisato dagli abitanti di Andalasia.
15 migliori film nostalgici su Disney+ da vedere
Una presa di coscienza che dà voce a una schiera di spettatori straniti e ormai esasperati per i continui inserti canori che vanno a bloccare la linearità narrativa, per tradurre in musica concetti ed emozioni difficilmente esprimibili a parole. Di primo acchito, con Come d'incanto sembra pertanto di assistere a un'ulteriore versione della più classica riproposizione degli schemi di Propp, con tanto di protagonista, antagonista e aiutante; eppure, tra gli inframezzi di questa conferma, tutto è pronto a scricchiolare, tanto da far esplodere questa bolla di illusoria perfezione, per rimodellare i canoni e aggiornare il proprio stile di racconto. La stessa Giselle si eleva a portatrice di una visione femminista, pronta a combattere il drago/matrigna e così salvare il proprio amato Robert. Non più il principe impavido alla guida del proprio cavallo, ora è la principessa che si autodetermina fautrice del proprio destino; una volta presa coscienza della portata dei propri sentimenti, Giselle scala con coraggio i grattacieli di New York per trarre in salvo l'amato umano; una versione modernizzata di Ariel, certo, ma anche e soprattutto riflesso speculare della fantasia che torna a prendere il sopravvento sulle nostre paure, traendo in salvo - nello spazio di un secondo - la nostra natura di imperfetto essere umano rinchiuso nel corpo di un adulto.
C'era una volta Come d'incanto, e per fortuna c'è ancora. Piccolo sospiro di dolci speranze in un mondo in cui "nessuno vive felice e contento" dopo quindici anni il film diretto da Lima si fa ancora traghettatore di anime sognanti, occhi ricolmi di spensieratezza e sguardi pronti a incrociarsi, tra vie di una cittadina vestita di sogno a occhi aperti, in un incontro costante tra fantasia e realtà, fiaba e ordinarietà, principi e streghe, sogni e incubi.