L'11 dicembre del 1992 arrivava nelle sale statunitensi un film estremamente importante, che ha riscritto un particolare genere cinematografico: il dramma giudiziario.
Nel passato, esso aveva incluso opere di prim'ordine quali La parola ai giurati (1957), Testimone d'accusa (1957) e Il verdetto (1982), ma proprio negli anni Novanta avrebbe vissuto una seconda giovinezza, sia nel cinema americano che in quello europeo. Tra i primi titoli, a inizio decennio, sarebbe arrivato Codice d'onore, diretto da Rob Reiner e scritto da Aaron Sorkin, con un cast in stato di grazia, che poteva vantare Tom Cruise, Jack Nicholson, Demi Moore, Kevin Bacon, Kevin Pollak e Kiefer Sutherland, tutti al loro massimo fulgore attoriale.
Una pellicola che avrebbe riaperto un filone che è, tutt'ora, estremamente popolare, ma proprio in quel periodo conobbe una rivalutazione complessiva, grazie a film straordinari come è Codice d'onore. Andiamo dunque a riscoprire A Few Good Men (titolo originale) nel dettaglio, in occasione del trentennale dal suo esordio cinematografico.
Codice rosso
Noi eseguiamo ordini, figliolo. Eseguiamo gli ordini altrimenti della gente muore. È tutto qui: semplice.
Cuba, base militare di Guantanamo. Il marine William Santiago viene ucciso in piena notte. Responsabili del delitto vengono ritenuti il caporale Harold Dawson (Wolfgang Bodison) e il soldato scelto Louden Downey (James Marshall), che vengono immediatamente trasferiti alla Corte Marziale a Washington per essere giudicati. Qui, l'accusa guidata dal capitano Jack Ross (Kevin Bacon) porta avanti la linea del pestaggio eseguito per una ritorsione, in quanto Santiago sarebbe stato testimone di un incidente avvenuto qualche tempo prima in territorio cubano; l'investigatrice navale e capotano di corvetta JoAnne Galloway (Demi Moore) ritiene invece che i due marines abbiano eseguito un ordine, il cosiddetto "codice rosso", impartito loro dai superiori. Esso consiste in una violenta punizione non ufficiale, che in questo caso è sfociata involontariamente nella morte del loro collega, il quale veniva giudicato al di sotto della media e per questo allontanato dal resto della compagnia, comandata dall'inflessibile colonnello Nathan R. Jessup (Jack Nicholson). Quest'ultimo aveva già respinto la richiesta di trasferimento più volte avanzata da Santiago.
Mentre la Galloway è certa dell'innocenza dei due marines accusati, la loro difesa viene affidata al tenente Daniel "Danny" Kaffee (Tom Cruise), brillante avvocato, appassionato di softball, che preferisce sempre patteggiare piuttosto che affrontare la corte. Sembra intenzionato a proseguire su questa linea anche per il caso di Dawson e Downey, avvalendosi della collaborazione del tenente Sam Weinberg (Kevin Pollak), ma la Galloway insisterà perché insieme riescano a chiarire i contorni oscuri della vicenda. Appare chiaro che a Guantanamo la verità venga abilmente nascosta, e che il colonnello Jessup, peraltro prossimo a un ulteriore avanzamento di carriera, diriga la base andando ben oltre le regole: ad aiutarlo vi sono anche il tenente colonnello Markison (J. T. Walsh) e il tenente Kendrick (Kiefer Sutherland), i due ufficiali più fedeli a Jessup. Sfidato a misurarsi su un terreno finora mai esplorato, il tenente Kaffee deciderà di ascoltare la Galloway, consapevole che dimostrare l'innocenza dei due marines sia un'ardua impresa...
La nuova epopea hollywoodiana
Io faccio colazione a trecento metri da quattromila cubani addestrati ad uccidermi, quindi non creda di poter venire qui a sventolare un distintivo nella speranza di farmi innervosire.
All'inizio degli anni Novanta, Hollywood stava vivendo un periodo frenetico. Grandi e medie produzioni occupavano la scena, mentre i film a più basso budget degli anni Settanta e Ottanta erano parte di una fase ormai superata. Sul piano creativo e artistico, stava creandosi una fusione affascinante. Accanto agli autori e agli interpreti di grande esperienza si affiancavano volti emergenti, di altrettanto talento: Codice d'onore rappresenta l'esempio perfetto.
Oltre alle individualità, gli anni Novanta americani sono stati fondamentali per aver ridato vigore a tantissimi generi cinematografici: è stato rispolverato il western con un capolavoro come Balla coi lupi (1990); ha trovato una nuova dimensione il thriller con titoli come Cape Fear - Il promontorio della paura (1991), Basic Instinct (1992) e Seven (1995); sono state prodotte commedie ormai cult come Mamma, ho perso l'aereo (1990), Insonnia d'amore (1993) e C'è posta per te (1998); hanno avuto grande risalto drammi come Philadelphia (1993), Forrest Gump e Le ali della libertà (1994), action straordinari come Caccia a Ottobre Rosso (1990), Heat - La sfida (1995) e Allarme rosso (1995), ed è stato realizzato il kolossal contemporaneo per antonomasia, ovvero Titanic (1997). Potremmo prolungare ancora questa lista: quel che è certo, è che Codice d'onore si inserisce magnificamente in tale contesto, perché ogni particolare del film è magistralmente calibrato e, globalmente, in esso si ritrova lo spirito magico del cinema di quegli anni.
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La firma di Sorkin e Reiner
Non serve una mostrina per essere un uomo d'onore.
Tra i punti di forza di Codice d'onore vi è certamente l'impianto narrativo e la sua messa in scena. Il dualismo tra Marina militare e corpo dei Marines è uno degli aspetti più interessanti. In particolare, viene rimarcata la dedizione maniacale alla divisa dei secondi, che rispondono solo a loro stessi e alle regole che il codice impone: Reparto, Corpo, Dio, Patria. Non si può sfuggire da essi, e niente conta di più. In realtà, i marines appaiono come degli invasati, che vivono in un mondo tutto loro, forse ancora convinti di essere in guerra come ai tempi del Vietnam. Non tutti però: vale certamente per gli uomini comandati da Jessup, non certo per Jack Ross, che si avvicinerà - suo malgrado - sempre di più alle posizioni della difesa guidata da Kaffee, Galloway e Weinberg. Questi ultimi appartenenti alla Marina e, del resto, più moderati, ma soprattutto spinti da un profondo senso di giustizia.
È affascinante il rapporto tra Danny e JoAnne, che dapprima si scontreranno per poi imparare a comprendersi e a migliorarsi. Kaffee saprà apprezzare il proprio ruolo, che mai aveva esercitato pienamente. Un avvocato che preferisce evitare il tribunale: in realtà, egli ha sempre voluto evitare il confronto con il padre, principe del foro scomparso qualche anno addietro. Solo grazie alla spinta di JoAnne, persuasa sin dall'inizio dell'innocenza di Dawson e Downey, Danny deciderà di andare fino in fondo, rischiando tutto, sfoderando le capacità che ha sempre tenuto nascoste per evitare di sbagliare. La Galloway, a sua volta, imparerà a controllarsi rispetto alla propria impulsività, che spesso la porta a sbattere contro l'evidenza dei fatti. Il moderatore del gruppo sarà il placido Sam, che non mancherà di sottolineare al momento giusto il proprio punto di vista a entrambi.
Le sfumature del rapporto tra tutti i personaggi in scena vengono colte perfettamente dalla regia di Rob Reiner, che trae il meglio dalla sceneggiatura di Aaron Sorkin: due maestri nei rispettivi ambiti. Reiner, reduce da successi quali Stand by me - Ricordo di un'estate (1986), La storia fantastica (1987), Harry, ti presento Sally (1989) e Misery non deve morire (1990), mostra la propria abilità nel descrivere la personalità di ciascuna figura senza tralasciare nulla: conosciamo bene Danny, JoAnne, Sam, Jack già alla prima inquadratura. Ogni sequenza, poi, è studiata nel minimo dettaglio, fino all'indimenticabile finale. Un lavoro di precisione che del resto non poteva essere da meno, data la base di partenza. La scrittura di Sorkin, qui al suo esordio cinematografico, è costruita a orologeria: non sfugge alcun particolare, e la storia si incastra come una scacchiera, dove ogni personaggio si muove in funzione dell'altro, chiudendo ogni passaggio narrativo. L'autore di altri film eccezionali quali La guerra di Charlie Wilson (2007), The Social Network (2010), Steve Jobs (2015), dimostra subito di essere una penna prodigiosa per gli studi hollywoodiani, che conquisterà nel tempo, un lavoro dopo l'altro, fino a ottenere l'Oscar nel 2011 e numerose altre candidature di rilievo.
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Cruise vs Nicholson
Io voglio la verità!
Tu non puoi reggere la verità!
Cast creativo, ma anche cast artistico: Codice d'onore può vantare interpreti che qui offrono delle prove sensazionali. Spicca certamente la presenza della bellissima Demi Moore, all'epoca tra le attrici di riferimento nel panorama americano, così come quella di Kevin Bacon; ma lo scontro tra Kaffee e Jessup, ovvero tra Tom Cruise e Jack Nicholson, è entrato di diritto nella storia del cinema.
Quando, come ultima carta da giocare, Danny, JoAnne e Sam non avranno altro che tentare di ottenere una confessione sull'ordine del "codice rosso" direttamente dal colonnello, in tribunale andrà in scena un confronto che presto salirà di tono, fino a raggiungere vette di altissima tensione. Kaffee cercherà deliberatamente di provocare la reazione di Jessup, riuscendo a incartarlo fino a farlo tradire. In realtà, per il colonnello non si tratterà dell'ammissione di un reato, poiché egli considera la pratica del codice rosso perfettamente in linea con la consuetudine del corpo dei Marines: ma la legge e l'ordinamento degli Stati Uniti non possono non condannare quanto accaduto al soldato Santiago, ed evitare che ciò si ripeta. Il duello tra Cruise e Nicholson è quantomai aspro, fino alla svolta conclusiva.
"Figliolo, viviamo in un mondo pieno di muri e quei muri devono essere sorvegliati da uomini col fucile. Chi lo fa questo lavoro, tu? O forse lei, tenente Weinberg? Io ho responsabilità più grandi di quello che voi possiate mai intuire. Voi piangete per Santiago e maledite i Marines. Potete permettervi questo lusso. Vi permettete il lusso di non sapere quello che so io: che la morte di Santiago nella sua tragicità probabilmente ha salvato delle vite, e la mia stessa esistenza, sebbene grottesca e incomprensibile ai vostri occhi, salva delle vite! Voi non volete la verità perché nei vostri desideri più profondi che in società non si nominano, voi mi volete su quel muro, io vi servo in cima a quel muro. Noi usiamo parole come onore, codice, fedeltà: usiamo queste parole come spina dorsale di una vita spesa per difendere qualcosa. Per voi non sono altro che una barzelletta. Io non ho né il tempo né la voglia di venire qui a spiegare me stesso a un uomo che passa la sua vita a dormire sotto la coperta di quella libertà che io gli fornisco, e poi contesta il modo in cui gliela fornisco. Preferirei che mi dicesse la ringrazio e se ne andasse per la sua strada; altrimenti gli suggerirei di prendere un fucile e di mettersi di sentinella. In un modo o nell'altro io me ne sbatto altamente di quelli che lei ritiene siano i suoi diritti!"
"Ordinò lei il codice rosso??"
"Ho fatto il lavoro che..."
"Ordinò lei il codice rosso??"
"Certo che l'ho ordinato! Che cazzo credi??"
Sipario.
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