Il documentario su Carla Fracci, Codice Carla, è in sala il 13, 14 e 15 novembre. Per l'occasione il regista Daniele Luchetti ci ha concesso un'intervista in quella che è stata una delle sue ultime case artistiche, il Teatro dell'Opera di Roma, dove è stata direttrice del corpo di ballo dal 2000 al 2010.
Chi è Carla Fracci? È la domanda a cui cerca di rispondere il film, attraverso le voci e le testimonianze di tanti intervistati illustri: in Codice Carla intervengono infatti i colleghi Roberto Bolle, Alessandra Ferri e Eleonora Abbagnato, ma anche eccellenze in altri campi, come Marina Abramovic e il premio Oscar Jeremy Irons.
Ne esce un ritratto di un'artista incredibile, che ha convissuto con una persona rimasta umile, nonostante sia stata non una semplice ballerina, ma tra le più grandi di sempre. Come sottolinea Luchetti: "Ha avuto sicuramente la fortuna di avere i piedi per terra. Veniva da una famiglia molto umile e aveva la coscienza della fortuna che il proprio talento aveva avuto. Non si è mai creduta qualcos'altro. Credeva nei rituali: ricevere i fiori, l'applauso, in quando feedback da un pubblico che aveva avuto qualcosa. Ma credeva anche nell'insegnamento. Alla fine della sua carriera ha insegnato tanto. Anche questo è stare per terra: non si è chiusa in una villa a contemplare le fotografie del passato. Ha formato un'altra generazione di danzatrici e danzatori".
Codice Carla: intervista a Daniele Luchetti
Oggi artisti, sportivi, giornalisti spesso sono più concentrati su se stessi e a fare self branding che sulla disciplina che hanno scelto. Carla Fracci invece è stata tra le prime figure in Italia a cercare di avvicinare il grande pubblico alla danza, mettendo in piedi tendoni itineranti in cui rappresentare parti del suo repertorio. Una cosa simile a quella fatta poi da Pavarotti per la lirica, con il suo Pavarotti & Friends, e che fa oggi Bolle con il Roberto Bolle and Friends.
Cos'è più importante quindi? Promuovere se stessi o il rispetto per la propria arte? Per Luchetti: "Credo esistano tanti modelli di artisti. C'è sicuramente quello che è bravo a fare promozione, e magari non è neanche un artista, e quello che invece crede nel mestiere e fa la fame. Lei certamente ha avuto molta fortuna oltre che un grande talento. È frutto di una selezione: nella sua classe di danza non tutte quelle che si sono impegnate come lei sono emerse come lei. Era un insieme di talento, intelligenza e la fortuna è l'opportunità che ti viene data una volta sola, o un numero ridottissimo di volte. Dopodiché se vai avanti vuol dire che sei diverso dagli altri. Era diversa dagli altri come artista, ma invece era come tanti altri come essere umano".
Carla Fracci: una vita dedicata alla danza
Sembra incredibile sentire queste parole, ma in Codice Carla Roberto Bolle dice che la ballerina non fosse poi così dotata fisicamente. Che viene da dire: se il fisico di Carla Fracci non è dotato, quello di chi si può definire tale? Eppure è diventata comunque la nostra interprete più famosa, una vera e propria icona.
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La differenza dove sta allora? Artisti come Marina Abramovic parlano di "daimon". Per Luchetti: "La differenza sta nel lavorare entro i propri limiti. Quando tu conosci il tuo limite sai dentro quali parametri ti devi muovere per dare il massimo. Se tu eccedi i tuoi limiti non è detto che tu ci riesca. Per un danzatore, per una persona che ha un corpo diverso, come Chiara Bersani, che dice una cosa interessantissima nel film, quando prendi consapevolezza di quello che sei puoi rappresentare un modello di perfezione e di bellezza che sei tu. Questo è il mio corpo, che non assomiglia a quello di qualcun altro. All'interno di quel corpo si può dare tantissimo".
Carla Fracci: tecnica ed emozione
In Codice Carla interviene anche Jeremy Irons, che spiega come, proprio come i ballerini, anche gli attori spesso sono un mistero: c'è chi ha una tecnica perfetta ma non riesce a emozionare, e c'è invece chi si distingue in mezzo alla folla. Qual è il "fattore X" quindi?
Per il regista è qualcosa di spietato: "C'è una crudeltà mostruosa dietro questo ragionamento. È una selezione naturale. Quelli che ci riescono sono quelli che ci sono riusciti. Ce ne sono tanti altri che ci hanno creduto altrettanto, con autostima enorme, ma hanno fallito. L'artista che emerge è una serie di coincidenze. Cento ci credono, cento si impegnano e uno ci riesce. La storia delle grandi icone è la storia di quelli che sono stati selezionati".
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Quindi è un destino? Per Luchetti: "Il destino è quando hai la fortuna di scoprire la tua vocazione, il tuo daimon. Arriva il momento in cui ognuno di noi, se sta attento, scopre la sua vocazione. E non è detto che la migliore per se stessi sia quella di essere conosciuti e famosi. Esistono tanti tipi di vocazione: la cura degli altri, l'assistenza sociale, essere normali. Ognuno ha la propria. Lei ha avuto la vocazione di essere una grande danzatrice e se n'è accorta".
Il segreto quindi è mantenere sempre l'entusiasmo? Può fare la differenza? Secondo l'autore: "L'entusiasmo è una cosa che si alimenta quando hai successo. E anche quando un insuccesso non ti distrugge. L'entusiasmo sta anche nel fatto che tu sai che stai dentro un qualcosa che sta funzionando. Almeno per te stesso. Poi a volte coincide anche con quello che vedono gli altri".