Lui guarda lei. Lei guarda lui. La folla scompare, la gente evapora, solo quattro occhi in mezzo al caos. Esistono soltanto Alice e Dan, pronti a regalarci uno dei colpi di fulmine più belli e indimenticabili della storia del cinema. Merito delle note dolci di The Blower's Daughter in sottofondo, della voce malinconica e straziante di Damien Rice, dello sguardo folgorante di Natalie Portman e del sorriso impacciato di Jude Law. Però, chi crede all'amore a prima vista, non finirà mai di innamorarsi. Non finirà mai di cercare. Nonostante parta con il più romantico degli incontri, Closer è un film che non ha alcuna intenzione di celebrare l'amore, ma di trattarlo con i guanti, vivisezionarlo, sondarlo e provare a capire qualcosa di questa oscura materia sentimentale in cui nessuno di noi potrà mai capire ogni cosa.
Perché, pur non salendo mai in cattedra per sentenziare chissà quali verità, la grandezza di Closer è nella sua amara presa di coscienza: in amore non bisogna pretendere nulla. Né il meglio, né il peggio. Il compianto Mike Nichols sembra suggerire che in amore sia meglio vivere tutto e pensare poco. Tanta pancia, molto cuore e meno cervello possibile per evitare di impazzire nel tentativo di comprendere davvero quell'enigma che sono i cuori degli innamorati. Così come quando non ci si chiede il perché di una relazione che inizia, dovremmo fare lo stesso anche con gli epiloghi. Accade tutto in un intrigante e misterioso intreccio amoroso, un gioco al massacro tra quattro persone che si attorcigliano, si amano, si desiderano e si fanno del male. Un gioco che è una via di mezzo tra il domino e gli scacchi.
Violento come delle tessere che cadono una dopo l'altra e ponderato come una mossa studiata per ferire l'avversario. Arrivato nei cinema americani il 3 dicembre del 2004 (in Italia è uscito esattamente una settimana più tardi) il bellissimo Closer porta benissimo i suoi 15 anni proprio perché è fatto della stessa materia di cui è fatto il male d'amore. Qualcosa che non muta, non invecchia e non vuole saperne di tramontare. E così, ancora ammaliati da quel fatidico incontro tra "stranieri", ecco perché Closer è ancora il nostro colpo di fulmine.
Prove d'attore
Anna è una donna sofisticata, sempre alla ricerca di un altrove in cui rifugiarsi, sempre eternamente insoddisfatta. Larry è un uomo sanguigno, istintivo, brutale, spietato. Dan è un ragazzo sensibile, debole direbbero alcuni, alla perenne ricerca di attenzioni, bravo ad elemosinare affetto. Alice è sfuggente, imprevedibile, dolce e indifesa solo in apparenza, ma sotto quell'aspetto morbido nasconde armi taglienti. Sono loro quattro i lati del quadrato di Closer. Quattro personaggi talmente ben delineati nei loro pregi e nei loro difetti, talmente messi a nudo nel loro essere miseri, sognatori, vigliacchi e fallibili da sembrare quasi persone vere. Mike Nichols abbraccia con maestra la natura teatrale dell'opera e utilizza al meglio i corpi in scena.
Attraverso un gioco sottile di sospiri, sguardi, battute taglienti e gesti, Julia Roberts, Jude Law, Clive Owen e Natalie Portman (gli ultimi due hanno vinto un Golden Globe e ricevuto una nomination all'Oscar) realizzano quattro prove attoriali affiatate e sopraffine. Senza mai risultare piatto e scolastico nella messa in scena, Nichols si muove tra i quattro amanti alternando intensi primi piani e battibecchi ritmati con occhio (e orecchio) scrupoloso. La sua è la curiosità del voyeur, di colui che si mette a spiare dietro porte socchiuse e sotto le lenzuola per rubare attimi di vita altrui. Tutte cose di cui noi spettatori non siamo mai sazi. Soprattutto quando si parla di amori finiti.
Le forme del sesso
Mentire è il divertimento più grande che una ragazza può avere senza spogliarsi
Il sesso è più complicato di quel che sembra. E forse dovremmo smetterla di considerarlo l'opposto dell'amore. Un altro ottimo consiglio di Closer, film senza peli sulla lingua e assai disinibito, che il sesso lo maneggia in tanti modi. Al contrario di altre pellicole scabrose (o presunte tali), Closer il sesso lo tratta con rispetto, non lo usa come facile mezzuccio per creare scalpore. Ecco, Closer è un film sia sessuale che sensuale. Due cose molto diverse. È sensuale perché sa di che pasta è fatto il desiderio, è attraversato da una costante tensione erotica (la scena dello strip club con Clive Owen e Natalie Portman è da antologia in quanto a carica di eros) mai fine a se stessa, ma sempre funzionale al racconto e al carattere dei personaggi. Ci sono film di sesso mostrato, esibito, usato. Closer, invece, è un film di sesso parlato.
Sono le parole il vero veicolo della sessualità. Perché la sceneggiatura del film, talvolta sboccata ma mai volgare nel senso stretto del termine, usa i dialoghi come via maestra per raccontare i desideri più reconditi dei nostri quattro amanti. Parole piene di disincanto, di delusione, di ardore, di spietata sincerità e di spudorate bugie (raccontate soprattutto a se stessi). Parole che, di fatto, rendono il sesso qualcosa di più di un semplice atto fisico. Il sesso può contenere senso di colpa, può essere vigliaccheria, può nascondere malessere, e diventare persino il migliore degli addii. Quello che rende Closer speciale è proprio questa matassa in cui cerebrale e fisicità si incastrano alla perfezione.
Brutale, doloroso, vero
Non tutti i bei film si rivedono volentieri. Closer è uno di questi. Perché il logorante ménage a quattro tra Anna, Dan, Alice e Larry ti lascia in bocca un sapore asprissimo e domande scomode che ti tartassano la testa. Dilemmi che, a suon di punti interrogativi affilatissimi, sgretolano poco per volta qualsiasi idealizzazione dell'amore. Closer ci mostra con lucido cinismo la sostanziale differenza tra la facilità dell'innamoramento e le difficoltà dell'amore, tra la spontaneità del prendersi e la fatica del tenersi stretti. Mentre Nichols ci butta in faccia la brutalità del tradimento, la viltà di chi preferisce essere amato invece che amare, i pericoli dell'accontentarsi e la tossicità di molti rapporti duri a morire, Closer ci fa capire quanto sia inutile (anzi, presuntuoso) credere nell'esistenza di un noi. Stare insieme non significa essere una cosa sola. Amare qualcuno non significa conoscerlo davvero e avere accesso alle sue zone d'ombra. Però, in mezzo a tanta amarezza, Closer una soluzione la trova.
E la soluzione si chiama sincerità. In quella selva oscura che sono le relazioni amorose, la sincerità è l'unica cosa utile a vederci chiaro. A costo di fare luce su verità dolorose, ovviamente. E così ecco personaggi ossessionati dalla verità, morbosamente attaccati a ogni confessione (la lite tra Anna e Larry è magistrale), a ogni dettaglio, a ogni briciolo di autenticità. È da quindici anni che il sensuale e cinico Closer ci ricorda che è meglio uno schiaffo vero di una finta carezza, che stare insieme è un compromesso, che innamorarsi è facile, ma amare è maledettamente difficile. Soprattutto per chi crede nei colpi di fulmine.